RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO QUESTO COMUNICATO DEI PRECARI DI CoRDA SULLO SCIOPERO DEL 13 MAGGIO 25 A PADOVA.
LO PUBBLICHIAMO PERCHE’ RITENIAMO CHE IL CONTENUTO VADO NELLA DIREZIONE DELL’UNITA’ DI CLASSE PER UNIRE TUTTI I SETTORI E COME ELEMENTO DI RISVEGLIO VERSO UNA MOBILITAZIONE.
SI COBAS NAZIONALE
Come precarie e precari del coordinamento CoRDA il 12 maggio a Padova abbiamo partecipato alla giornata di
sciopero nazionale contro tagli, guerra e precarietà, che abbiamo costruito collettivamente con le tante
Assemblee Precarie nazionali e assieme a lavorator3, sindacati (ADL COBAS, CUB, CLAP, Confederazione
COBAS, FLC-CGIL, USI 1912, USB) collettivi studenteschi e organizzazioni, in difesa dell’Università e dell3 su3
lavorator3.
Una giornata di lotta che è iniziata alle 8 con un rumoroso picchetto al Polo di Psicologia, per spiegare a student3
e personale le ragioni della mobilitazione, ed è continuata alle 11 con un corteo che ha attraversato la città,
animato da circa 500 persone e da sindacati, collettivi, personale di tutti i settori dell’Ateneo.
Coerentemente con le parole d’ordine dello sciopero, CoRDA solidarizza con l’occupazione di SCIPOL da parte
dell’Intifada Studentesca, di cui appoggiamo la battaglia in sostegno del popolo palestinese.
Dalle reazioni del ministero e di certa stampa di fronte allo sciopero traspare la sorpresa di chi ha trovato
resistenza e unità dove si aspettava invece demoralizzazione e disorganizzazione. Alla ministra Bernini, infatti,
che chiede di giustificare lo sciopero “con i numeri”, rispondiamo prima di tutto con un semplice dato di fatto.
La mobilitazione nasce per rifiutare un tentativo peggiorativo e ancora più precarizzante di ristrutturazione del
pre-ruolo. Dalle ceneri dell’assegno di ricerca la proposta di riforma ministeriale vorrebbe infatti far nascere
cinque nuove figure, ancora più nebulose, precarie e mal inquadrate.
Di fronte all’ennesimo tentativo di rendere il lavoro di ricerca ancora più precario, flessibile, sfruttato e senza
tutele, tant3 si sono riunit3, riconosciut3 e attivat3 come non accadeva da anni. Lo hanno fatto per difendere
diritti, lavoro e tutta l’Università pubblica.
Lo sciopero nasce così dal riconoscimento, da parte di chi fa ricerca ad ogni livello, della propria identità
lavorativa meritevole di tutele e diritti, e del bisogno di socializzare la propria condizione, consapevole della
necessità e possibilità di organizzazione e mobilitazione. Vogliamo far sentire la nostra voce al di sopra della
frammentazione e delle gerarchie del lavoro universitario, che vorrebbero separare il personale di ricerca da
quello tecnico-amministrativo, da quello esternalizzato e dall3 student3.
Ieri abbiamo scioperato per esercitare un diritto che invece di essere garantito ci è spesso sottratto da contratti
brevissimi, fintamente autonomi, che spesso non costituiscono nemmeno rapporti di lavoro. La riappropriazione
di questo diritto ci permette di pensarci assieme e solidali, non più avversar3 in una competizione per i fondi,
ma lavorator3 che costruiscono pensiero e conoscenza. È questo, forse, l’unico merito del tentativo di riforma
Bernini: voleva renderci più precar3 e più isolat3, ci ha fatto invece scoprire che non siamo sol3 e che anzi,
possiamo scioperare e organizzarci, non solo per rispondere all’attacco, ma per rilanciare la lotta per
un’Università diversa. Una novità che forse fa paura.
Ma abbiamo scioperato anche per i numeri reali e spietati del lavoro di ricerca, tanto cari alla ministra e che
siamo più che disponibili a riproporre. Numeri («Jacobin Italia» n. 24 su dati OCSE e ISTAT) che raccontano di
un misero 1% del PIL investito nell’Università, contro l’1,5% della media OCSE, e di un rapporto tra student3 e
docenti più alto di 4 punti percentuali rispetto alla media OCSE, con oltre il 50% di docenti over 50 e solo il 38%
di docenti donne.
Oltre però ai numeri bugiardi e surreali del Ministero (11 miliardi in più ogni mese e 338 miliardi in più
quest’anno, rivendica una dichiarazione della ministra) è di ieri anche un intervento su «Il Foglio» della senatrice
a vita Elena Cattaneo. Un articolo che, attraverso un’interpretazione capziosa della precarietà, prefigura uno
spazio lavorativo ancor più selettivo, che replica anziché sovvertire le gerarchie della società. Il contratto di
ricerca, altro obiettivo critico dell’articolo, fa paura non tanto perché più costoso, ma perché meno informale e
più tutelato, capace quindi di offrire maggiore dignità, inquadramento – anche sindacale – e di sottrarsi alla
retorica del lavoro come mera esperienza formativa. Una retorica che esalta la flessibilità ad ogni costo e la
mobilità continua come tappe necessarie, dimenticandosi gli anni di sacrifici (anche affettivi e familiari) su cui
da tempo è basata l’accademia italiana. L’articolo ignora inoltre il pericolo rappresentato dal cronico
sottofinanziamento della ricerca pubblica in Italia: l’autonomia del sapere e di chi fa ricerca è minacciata ogni
giorno non da contratti più tutelati, ma dal progressivo asservimento dell’Università a interessi privati, bellici
ed eco-inquinanti, incompatibili alla vocazione della ricerca e dell’istruzione pubblica.
Per questo ieri siamo sces3 in piazza per dire NO alla precarietà creata dai tagli all’Università, compiuti nel
nome di un’economia ormai sempre più militarizzata, che comprime diritti, asseconda le speculazioni e si rende
complice di genocidi.
CoRDA
L'articolo 12 maggio 2025: chi ha paura dello sciopero del precariato? proviene da S.I. Cobas - Sindacato intercategoriale.