Alluvione e nuove dighe.

11 months ago 56

Non s’impara mai nulla in questo fantastico Bel Paese.

Una riflessione piuttosto amara sulla recente, ennesima, calamità innaturale rappresentata dall’alluvione in Emilia-Romagna di Sauro Turroni.

Quando finalmente cambieremo registro?

Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)

alluvione nella Pianura Padana

da Italia Libera, 5 maggio 2023

L’alluvione. I fiumi della Romagna straripano e Salvini propone nuove dighe. (Sauro Turroni)

L’alluvione che ha provocato devastazione e lutti in Romagna ripropone problemi antichi e ancora irrisolti. Servirebbero politiche efficaci e rigorose per la manutenzione dei corsi d’acqua, attuate da personale competente e preparato, servirebbero progetti e investimenti per riportare i fiumi in sicurezza, servirebbe personale di vigilanza che tenga sotto controllo argini e alvei. Il ministro dell’Infrastrutture Matteo Salvini, ma con lui anche gran parte dell’opposizione nazionale e locale, propone invece nuove dighe, senza nemmeno provare a interrogarsi su cosa serva davvero.

LA ROMAGNA È SOTT’ACQUA, le violente piogge cadute nelle ultime ore hanno provocato in molte zone lo straripamento del fiumi con le tragiche conseguenze che ben conosciamo: lutti, danni, devastazioni La natura ha leggi che non ammettono violazioni o sottovalutazioni, chi ci governa dovrebbe saperlo ma si continua imperterriti a ignorarlo. I cambiamenti climatici sono in atto e le popolazioni ne pagano le conseguenze che sono sempre più visibili: da anni ormai periodi di siccità e temperature sempre più elevate che inaridiscono le terre e compromettono i raccolti si alternano con fenomeni metereologici di intensità crescente che provocano frane e alluvioni. L’ennesimo rapporto dell’Ippc appena pubblicato avvisa i governanti e anche gli stessi cittadini che non c’è più tempo, che occorre cambiare da subito e radicalmente i modi con cui si alterano gli ultimi precari equilibri del clima. Ciò nonostante non solo si continua come prima, anzi con la scusa del riscaldamento globale, dell’urgenza, si salta ogni pianificazione e ogni valutazione ambientale per fare opere sbagliate e controproducenti.

Sembra che la natura abbia voluto darci un avvertimento, proprio nella zona più colpita che appare essere il ravennate, il luogo destinato per i prossimi decenni allo sviluppo dell’uso dei combustibili fossili, all’insediamento del rigassificatore, alla costruzione di una nuova ragnatela di tubi per il gas che da Ravenna si dirama ovunque, alle nuove trivellazioni, allo stoccaggio sia di Gas sia di Co2 nei pozzi e così via. Mentre l’Eni riunisce il proprio consiglio di amministrazione a a Ravenna e la fa da padrone e detta la linea, altre misure insensate vengono proposte o attuate, si dice per porre rimedio a ciò che sta accadendo: Salvini e gran parte della opposizione nazionale e locale, invece di accelerare i processi di rinaturalizzazione dei corsi d’acqua restituendo ai fiumi spazi sottratti dalle insensate urbanizzazioni del passato, invece di impiegare le risorse per delocalizzare insediamenti in posti sbagliati o pericolosi propongono all’unisono nuove dighe,

Mentre si continuano a piantare kiwi nelle campagne e ampliare le coltivazioni idroesigenti, si asfaltano e urbanizzano, impermeabilizzandoli, centinaia di ettari di territorio, a cominciare da Ravenna che ha visto in un paio d’anni raddoppiare l’urbanizzato costruito negli ultimi 60 anni lungo una costa sempre più erosa ed irrigidita. Mentre emerge la necessità di una pianificazione rigorosa, fondata sul rispetto degli elementi costitutivi del territorio e del paesaggio, si fanno leggi come quella urbanistica regionale che annullano la pianificazione stessa, sostituendola con accordi fra gli imprenditori e le amministrazioni pubbliche, dettati dagli interessi dei primi. Temiamo che l’attuale governo voglia cogliere ancora una volta l’occasione, con la scusa del disastro appena verificatosi, non solo per riproporre le opere sbagliate di sempre ma intenda mettere in campo ancora i commissari, per operare con dichiarazione di stato di emergenza, al di fuori di ogni regola o principio, per accontentare questa o quella lobby.

Servirebbero politiche efficaci e rigorose per la manutenzione dei corsi d’acqua, attuate da personale competente e preparato, servirebbero progetti e investimenti per riportare i fiumi in sicurezza, servirebbe personale di vigilanza che tenga sotto controllo argini e alvei. Ciò che davvero servirebbe non c’è però praticamente più, gli uffici sono sguarniti, i tecnici ridotti all’osso, le loro competenze frazionate lungo i confini provinciali secondo il più becero localismo, come se i corsi d’acqua non fossero un organismo unitario che come tale va governato, come se avesse senso praticamente azzerare la vigilanza lungo i fiumi. Lo spezzettamento delle competenze con la conseguente impossibilità di gestire adeguatamente i diversi fenomeni che si avvicendano, tra piene eccessive e siccità estreme trovano la loro più esemplare testimonianza costituita dall’affidamento alla Protezione civile regionale della gestione dei corsi d’acqua mentre le concessioni di derivazione dell’acqua dei fiumi sono affidate all’Arpa. Un quadro desolante! Tutti però pronti a dare la colpa alla eccezionalità dell’evento, a invocare lo stato d’emergenza, a chiedere poteri straordinari che, messo qualche costoso cerotto, lasceranno le cose come stanno. Tutto ciò, ovviamente, senza comprendere l’interdipendenza dei fenomeni e che la stessa urgenza di cambiare metodo impone comunque misure adeguate, diverse da quelle che ci hanno portato fin qui.

con un disegnino, comprensibile anche per un bimbo, forse si riesce a capire

(foto A.N.S.A.)

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