Centrali a carbone, gelaterie, film d’amore: i fondi mondiali per il clima sono un buco nero. “Contabilità ingannevole. Gli aiuti reali? Un quarto”

9 months ago 54

Il grande buco nero della finanza climatica tra target mancati, annunci irreali e risorse erogate per progetti che nulla hanno a che fare con la crisi climatica, come la costruzione da parte del Giappone di centrali a carbone in Bangladesh, Indonesia e Vietnam e l’apertura in tutta l’Asia di gelaterie e cioccolaterie del marchio italiano Venchi, come racconta una recente inchiesta di Reuters. Non solo, infatti, i Paesi più ricchi e inquinanti sono indietro di tre anni rispetto all’impegno, preso nel 2015 a Parigi, di stanziare 100 miliardi all’anno per aiutare i Paesi a basso e medio reddito (ultimi responsabili e prime vittime della crisi climatica) a ridurre le emissioni e gestire gli impatti del climate change. Le cifre annunciate sono anche di gran lunga inferiori rispetto a quelle reali. Secondo il report di Oxfam “Climate Finance shadow”, nonostante i Paesi donatori affermino di aver stanziato 83,3 miliardi di dollari in aiuti nel 2020, la cifra reale va dai 21 e ai 24,5 miliardi di dollari, cioè circa un quarto. Tutto il resto? Molti dei progetti finanziati, spiega il dossier, sono stati erogati sotto forma di prestiti al loro valore nominale “aggravando il peso del debito estero di economie già fragilissime e fortemente indebitate, ancor di più in un periodo in cui i tassi di interesse stanno schizzando alle stelle” oppure “ne è stata sopravvalutata l’effettiva portata nel contrastare la crisi climatica”. Ed è in questa direzione che porta la recente inchiesta condotta da Reuters che, con la collaborazione di Big Local News, programma di giornalismo della Stanford University, ha esaminato 44mila documenti che i Paesi hanno inviato alle Nazioni Unite per documentare i contributi, scoprendo che dal 2015 al 2020 sono stati stanziati 182 miliardi, meno della metà rispetto a quanto promesso a Parigi. E per i progetti più disparati.

Più della metà sono prestiti, solo in piccola parte destinati all’adattamento
Più della metà di tutti i finanziamenti per l’adattamento ai cambiamenti climatici ai Paesi più poveri viene attualmente erogata non sotto forma di sovvenzioni, ma di prestiti: la Francia eroga ben il 92% degli aiuti bilaterali sul clima in questa forma, l’Austria il 72%, il Giappone 90%, la Spagna l’89%. Tra il 2019 e il 2020, il 90% di tutti i finanziamenti per il clima forniti dalle banche multilaterali di sviluppo, come la Banca Mondiale, è stato erogato secondo queste modalità. Ma questo non è l’unico problema. Oxfam stima che nel 2020 solo tra i 9,5 e gli 11,5 miliardi di dollari siano stati destinati a sostenere la capacità di adattamento dei Paesi a basso e medio reddito. Una cifra del tutto insufficiente in aree dove si devono affrontare inondazioni, uragani, incendi, siccità. Negli ultimi tre anni in India, Pakistan e America centro-meridionale si sono verificate ondate di calore record, seguite da inondazioni che solo in Pakistan hanno colpito oltre 33 milioni di persone. Eppure “negli Stati Uniti – racconta Nafkote Dabi, policy advisor di Oxfam sulla crisi climatica – si spende quattro volte di più ogni anno per nutrire cani e gatti”. D’altro canto nemmeno si è avverata la possibilità per i Paesi a basso e medio reddito di attrarre investimenti dal settore privato. Sono stati raccolti solo 14 miliardi di dollari all’anno, principalmente per la mitigazione.

Le pratiche contabili ingannevoli
E poi ci sono le zone d’ombra che si trasformano in vere e proprie “pratiche contabili ingannevoli” sviluppate da Paesi, banche e fondi multilaterali e altri finanziatori su cui non c’è un controllo sufficiente. Secondo gli analisti di Oxfam è quasi impossibile rintracciare dettagli su come venga utilizzato questo tipo di finanziamento privato o su chi effettivamente ne benefici. Un recente rapporto dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), stima che i finanziamenti privati per l’adattamento sono aumentati notevolmente da 1,9 miliardi di dollari nel 2018 a 4,4 miliardi di dollari nel 2020, principalmente per via di un mega progetto di energia a gas naturale in Mozambico che non prevede però eventuali attività di adattamento. D’altronde lo stesso impegno dei Paesi ricchi di stanziare 100 miliardi all’anno non è stato accompagnato da linee guida ufficiali su quali attività contano come finanziamenti per il clima. Alcune organizzazioni hanno sviluppato i propri standard, ma non esiste un sistema uniforme a cui attenersi. Una scelta dei Paesi sviluppati. In questo modo ognuno ne ha creato uno proprio.

L’inchiesta di Reuters
Proprio in questo contesto Reuters ha analizzato i documenti relativi a circa il 10% dei rapporti totali alle Nazioni Unite, arrivando a denunciare una mancanza di trasparenza del sistema che “ha reso impossibile stabilire quanti soldi andranno a sforzi che aiutano veramente a ridurre il riscaldamento globale e il suo impatto”. Insomma, impossibile avere un’idea precisa della destinazione di tutte le risorse. Anche perché “i Paesi non sono tenuti a comunicare i dettagli del progetto. Le descrizioni che rilasciano sono spesso vaghe o inesistenti, tanto che in migliaia di casi non identificano nemmeno il Paese in cui è andato il denaro”. Anche i Paesi che quei soldi li ricevono a volte non sono in grado di dire come sono stati spesi. Dall’indagine è emerso che “almeno 3 miliardi di dollari” sono stati spesi “in energia a carbone, aeroporti, lotta alla criminalità o altri programmi che fanno poco o nulla per facilitare gli effetti del cambiamento climatico”. Oltre 65 miliardi di dollari sono stati legati a progetti segnalati in modo così vago “che è impossibile dire per cosa siano stati pagati i soldi. Alcuni di quei registri non specificano nemmeno un continente in cui è stato inviato il denaro”. E sono stati segnalati più di 500 milioni di dollari per progetti che sono stati successivamente annullati senza che fossero stati pagati fondi.

Il caso italiano delle gelaterie Venchi
Tra gli esempi riportati anche quello della cioccolateria e gelateria italiana Venchi che ha aperto decine di nuovi punti vendita in Giappone, Cina, Indonesia e altrove in Asia. Come spiega Oxfam a ilfattoquotidiano.it per “gli stanziamenti per il Fondo Italiano per Clima (istituito nel 2021) sono del ministero dell’Ambiente, mentre i decreti attuativi e le linee guida stabiliti da un comitato di indirizzo che coinvolge i ministeri dell’Economia e delle Finanze, degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e il ministero per l’Ambiente e la sicurezza energetica”. “L’Italia ha rivendicato l’investimento azionario di 4,7 milioni di dollari come finanziamento per il clima” scrive Reuters, che ha chiesto lumi. All’agenzia britannica, un portavoce del ministero dell’Ambiente italiano, responsabile dei rapporti con l’Onu, ha affermato “che il progetto ha una componente climatica, ma ha rifiutato di approfondire”.

Dal film d’amore alle centrali a carbone
Ma non c’è solo il caso italiano. Il Belgio ha sostenuto con circa 8mila dollari il film La Tierra Roja, una storia d’amore tra un ex giocatore di rugby che lavora per un’azienda che disbosca foreste per produrre carta in Argentina e un’attivista ambientale che protesta contro le sostanze chimiche tossiche che inquinano l’acqua del produttore di carta. Poi ci sono i progetti mai realizzati, come quelli della Francia che con 267 e 108 milioni avrebbe dovuto sostenere rispettivamente la ristrutturazione della metropolitana di Città del Messico e ammodernamenti di alcuni porti in Kenya.

Il Paese che dichiara i maggiori investimenti in finanza climatica è il Giappone: 9 miliardi di dollari (sempre sotto forma di prestiti) per progetti che continueranno a fare affidamento sui combustibili fossili. Almeno alcuni di questi progetti, secondo quanto emerso, aumentano le emissioni anziché ridurle. È il caso di una nuova centrale elettrica a carbone da 1.200 megawatt che le aziende giapponesi stanno costruendo a Matarbari, un’isola sulla costa sud-orientale del Bangladesh. Il Giappone ha prestato al Bangladesh almeno 2,4 miliardi di dollari in finanziamenti per il clima per l’impianto, che dovrebbe entrare in funzione nel 2024, immettendo ogni anno in atmosfera 6,8 milioni di tonnellate di anidride carbonica. Ma senza la tecnologia giapponese, secondo Tokyo, le emissioni sarebbero state superiori del 6%. Ed ecco perché l’investimento è stato calcolato come “finanza climatica”. Ed ecco anche perché la potenza che ha ribadito l’impegno a porre fine ai finanziamenti internazionali per nuovi progetti sui combustibili fossili (senza tecnologie di abbattimento delle emissioni, come la cattura e lo stoccaggio), ha deciso di realizzare nuove centrali a carbone anche in Vietnam e Indonesia per totale di almeno altri 3,6 miliardi di dollari e di investirne altri tre per progetti che si basano sul gas naturale. Tutta finanza climatica.

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