La petizione Si all’energia rinnovabile, no alla speculazione energetica! si firma qui.
Riceviamo e pubblichiamo molto volentieri.
Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)
Apriamo gli occhi sulla speculazione energetica!
Oltre all’avanzare della speculazione energetica, ci sentiamo sconfortati dall’avanzare delle brutture. Rischiamo di cedere allo sconforto e di accontentarci della polvere. È un sentimento che molti di noi condividono: vedere i paesaggi che amiamo feriti, le campagne cementificate, la bellezza sostituita dall’utile immediato. Eppure, è proprio da questo scoraggiamento che può nascere la forza per reagire. Non siamo condannati alla rassegnazione: possiamo informarci, possiamo unire le voci, possiamo agire.
Questo articolo vuole essere un invito a non abbassare lo sguardo. A non considerare inevitabile ciò che inevitabile non è. Perché la terra non ci appartiene: l’abbiamo solo in prestito, e difenderla significa difendere il nostro futuro e quello delle generazioni che verranno.
In queste settimane d’estate, mentre il paesaggio brucia di luce e di calore, rischiamo di non accorgerci che un’altra fiamma sta divampando, silenziosa: quella della speculazione energetica.
Il dottor Fabrizio Quaranta, agronomo ed ex primo ricercatore dell’Istituto Sperimentale per la Cerealicoltura (oggi CREA), ha lanciato un appello accorato sul Gruppo d’Intervento Giuridico (http://bit.ly/41Oqn1A): è ora di aprire gli occhi. Dietro l’etichetta del “verde” e della “transizione ecologica” si nasconde infatti un gigantesco assalto ai territori, il più grande della storia italiana, orchestrato da multinazionali e fondi finanziari a caccia di incentivi miliardari.
I numeri che non ci raccontano
– Oltre 400 miliardi di euro di incentivi pubblici (2010–2030) sono stati destinati agli impianti industriali eolici e fotovoltaici. Una cifra pari al 13% del debito pubblico italiano e a venti manovre finanziarie.
– 20.000 ettari di suolo agricolo già consumati, raddoppiati in un solo anno: campi fertili, colline, paesaggi rurali trasformati in distese di pannelli o in cantieri per torri eoliche alte 200 metri.
– 6.133 richieste di nuovi impianti presentate a Terna al luglio 2025, per una potenza complessiva di 336 GW (quattro volte l’obiettivo europeo al 2030).
– L’Italia incide solo per lo 0,71% delle emissioni globali di CO₂: anche azzerando tutta la produzione elettrica da fossili, la riduzione sarebbe dello 0,15%, irrilevante a livello mondiale.
– Intanto, la Cina ha emesso nel 2023 16.000 milioni di tonnellate di CO₂, il 30% del totale mondiale, con valori in crescita del +411% dal 1990.
– Eppure, mentre altri Paesi aumentano le emissioni, da noi si sacrifica il paesaggio, l’agricoltura e la coesione sociale per un beneficio climatico inesistente.
L’impatto nascosto
Quaranta parla senza mezzi termini di una “tragedia ambientale ipocritamente mascherata di verde”.
Gli effetti documentati sono pesanti:
– Consumo irreversibile di suolo agricolo e paesaggistico.
– Colate di cemento: circa 5.000 tonnellate per ogni base di turbina eolica, con 200 tonnellate di acciaio.
– Perdita di biodiversità: strage di insetti impollinatori e di avifauna, danni a flora e fauna terrestre e marina.
– Rischi idrogeologici: nuove frane, aumento delle cosiddette “bombe d’acqua” in cresta a causa della presenza di aerogeneratori.
– Microplastiche e inquinanti: ogni pala eolica rilascia fino a 150 kg di PFAS all’anno; ogni turbina contiene centinaia di litri di lubrificanti petrolchimici.
– Danni economici e sociali: svalutazione degli immobili vicini, perdita di attrattività turistica, conflitti nelle comunità locali, spopolamento delle aree interne.
Una strategia fallimentare
Nonostante i sacrifici, i risultati energetici sono minimi:
– L’Italia dipende ancora per l’80% da fonti fossili nei consumi complessivi.
– Eolico e fotovoltaico coprono appena il 4% dei consumi finali di energia.
– La produzione è intermittente: non sostituisce le centrali tradizionali ma le affianca, costringendo a nuove centrali a gas e a costi di rete crescenti.
– Il paradosso: le bollette aumentano, il debito pubblico cresce, mentre le multinazionali incassano utili sicuri.
Cosa succede a fine vita degli impianti?
Un punto quasi mai affrontato è quello della dismissione.
– Gli impianti hanno una durata prevista di 20–30 anni.
– Spesso le fideiussioni a garanzia dello smantellamento sono assenti o insufficienti: in molti casi ci sono solo promesse “a parole”.
– Le basi in cemento armato (migliaia di tonnellate) restano nel terreno: al massimo si scalfisce un metro, ma il suolo fertile dei primi centimetri non torna mai più.
– Il ripristino “identico” dello stato preesistente è praticamente impossibile: i processi naturali di formazione del terreno richiedono secoli.
– Il rischio reale è che, come i capannoni industriali degli anni ’70, i siti dismessi restino cattedrali vuote e inutilizzabili, lasciando dietro di sé paesaggi compromessi e costi ambientali perenni.
Un’eredità pesante che ricadrà sulle comunità locali e sulle generazioni future.
Esistono alternative concrete
Eppure una via diversa esiste, e ce lo ricordano da anni gli studi ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale):
– 100.000 ettari di tetti civili e capannoni industriali potrebbero ospitare da soli tra 70 e 90 GW di potenza fotovoltaica, già sufficienti a centrare l’obiettivo europeo 2030 (Fonte: ISPRA – Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici, Report n. 37/2023).
– A queste superfici si aggiungono 800.000 ettari di aree dismesse o già impermeabilizzate (cave, aree industriali abbandonate, parcheggi, aree logistiche), censite dall’ISPRA come perfettamente idonee a ospitare nuovi impianti senza ulteriore consumo di suolo agricolo (Fonte: Ecoscienza 2023, n. 2).
1. Puntare su Comunità Energetiche Rinnovabili significa produrre energia vicino al consumo, abbattere davvero le bollette, creare lavoro per piccole e medie imprese locali.
Non è utopia: è una scelta politica ed economica che metterebbe al centro le persone e i territori, invece dei fondi speculativi.
Cosa possiamo fare noi
Come cittadini, non possiamo restare indifferenti. Il paesaggio, l’agricoltura, la cultura non sono risorse infinite: la terra non ci appartiene, l’abbiamo solo in prestito.
Per questo:
1. Firmiamo la petizione https://www.change.org/p/si-all-energia-rinnovabile-no-alla-speculazione-energetica
2. Informiamoci e informiamo: non accettiamo passivamente la propaganda.
3. Uniti dal basso, sosteniamo le battaglie civili e legali per difendere i nostri territori.
Serve uno sguardo sistemico: ogni scelta energetica va letta nella rete della vita, non solo come questione tecnica, ma come intreccio di ecosistemi, comunità, cultura.
Non lasciamo che il “saccheggio verde” trasformi le nostre campagne, le nostre colline, i nostri orizzonti in anonime periferie industriali. Difendere la terra è difendere noi stessi, la nostra identità e il futuro delle generazioni che verranno.
Ufficio Stampa Assotuscania
(foto da Google Maps, cartografia AdT, per conto GrIG, S.D., archivio GrIG)

2 months ago
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