[CONTRIBUTO] Dossier – No alla memoria a senso unico: 5. H. Arendt sul collaborazionismo dell’élite ebraica nello sterminio della massa degli ebrei

3 months ago 45

Riceviamo e pubblichiamo questo contributo dei compagni della redazione Il Pungolo Rosso, già disponibile sul loro sito (vedi qui):

Dossier – No alla memoria a senso unico:

5. H. Arendt sul collaborazionismo dell’élite ebraica nello sterminio della massa degli ebrei

“Non potevamo immaginare che i tedeschi sarebbero riusciti a coinvolgere nelle loro azioni anche elementi ebraici, e cioè che gli ebrei avrebbero condotto alla morte altri ebrei” – così Yitzhak Zuckerman, uno dei capi della eroica rivolta ebraica del ghetto di Varsavia (19 aprile – 16 maggio 1943), in A Surplus of Memory, Oxford, 1993, p. 210.

Nel “giorno della memoria”, tra le verità storiche che si preferisce ignorare, e nascondere, per operare una ricostruzione apologetica del passato utile a giustificare in tutto e per tutto l’operato dello stato di Israele, c’è appunto l’attiva collaborazione dei capi delle comunità ebraiche nella deportazione e nel conseguente sterminio degli ebrei di cui erano rappresentanti.

“Per un ebreo, il contributo dato dai capi ebraici alla distruzione del proprio popolo, è uno dei capitoli più foschi di tutta quella fosca vicenda” (p. 125) Lo ricorda Hannah Arendt nel suo libro La banalità del male (Feltrinelli, UE, 2002), un’analisi/documento sul processo al burocrate nazista Eichmann, incaricato dal regime di organizzare prima l’emigrazione forzata, poi la deportazione degli ebrei nei campi, dove sarebbero stati in minima parte destinati ai lavori forzati e per lo più annientati.Il programma che mirava a sterminarli assieme ad altre “categorie” non gradite, tra cui i Rom, i comunisti, i disabili, gli omosessuali, dice Hannah Arendt, non avrebbe mai potuto essere completato senzaquesta preziosa (per i nazisti) collaborazione. Il ruolo dei capi delle comunità ebraiche è chiaramente descritto negli estratti dal testo che pubblichiamo. Il libro spiega con dovizia di particolari come le famigerate “liste di trasporto” fossero compilate dai Consigli ebraici conformemente ad alcune istruzioni generali diramate dalle SS riguardo al numero, età, sesso, professione e paese d’origine delle persone da deportare.

“Eichmann o i suoi uomini comunicavano ai Consigli ebraici degli Anziani quanti ebrei occorrevano per formare un convoglio, e quelli preparavano gli elenchi delle persone da deportare. E gli ebrei si facevano registrare, riempivano innumerevoli moduli, rispondevano a pagine e pagine di questionari riguardanti i loro beni, in modo da agevolarne il sequestro; poi si radunavano nei centri di raccolta e salivano sui treni. I pochi che tentavano di nascondersi o di scappare venivano ricercati da uno speciale corpo di polizia ebraico. A quanto constava ad Eichmann, nessuno protestava, nessuno si rifiutava di collaborare. (p. 123)

Eichmann si aspettava — e la ebbe in misura che si può definire eccezionale — la loro collaborazione.

“Senza l’aiuto degli ebrei nel lavoro amministrativo e poliziesco (il rastrellamento finale degli ebrei a Berlino, come abbiamo accennato, fu effettuato esclusivamente da poliziotti ebraici), o ci sarebbe stato il caos completo, oppure i tedeschi avrebbero dovuto distogliere troppi uomini dal fronte. (…) È fuor di dubbio che senza la collaborazione delle vittime ben difficilmente poche migliaia di persone, che per giunta lavoravano quasi tutte al tavolino, avrebbero potuto liquidare molte centinaia di migliaia di altri esseri umani. (…) È per questo che l’insediamento di governi – fantoccio nei territori occupati fu sempre accompagnato dalla creazione di un ufficio centrale ebraico (…). Ma mentre quei governi erano formati di solito da persone appartenenti ai partiti di minoranza, i membri dei Consigli ebraici erano di regola i capi riconosciuti delle varie comunità ebraiche, uomini a cui i nazisti concedevano poteri enormi finché, un giorno, deportarono anche loro (…). Ad Amsterdam come a Varsavia, a Berlino come a Budapest, i funzionari ebrei erano incaricati di compilare le liste delle persone da deportare e dei loro beni, di sottrarre ai deportati il denaro per pagare le spese della deportazione e dello sterminio, di tenere aggiornato l’elenco degli alloggi rimasti vuoti, di fornire forze di polizia per aiutare a catturare gli ebrei e a caricarli sui treni, e infine, ultimo gesto, di consegnare in buon ordine gli inventari dei beni della comunità per la confisca finale. (…) Nei manifesti che essi affiggevano — ispirati, ma non dettati dai nazisti — avvertiamo ancora quanto fossero fieri di questi nuovi poteri : “Il Consiglio ebraico centrale annunzia che gli è stato concesso il diritto di disporre di tutti i beni spirituali e materiali degli ebrei, e di tutte le persone fisiche ebree”, diceva il primo proclama del Consiglio di Budapest. Noi sappiamo che cosa provavano i funzionari ebrei quando divenivano strumenti nelle mani degli assassini; (…) si sentivano salvatori che “con cento vittime salvano mille persone, con mille diecimila”. Senonché la verità era ancor più mostruosa. In Ungheria, per esempio, il dott. Kastner salvò esattamente 1.684 persone al prezzo di circa 476.000 vittime” (pagg. 125-126).

Una domanda sorge spontanea: chi si sceglieva di salvare ?

“Coloro che avevano lavorato per tutta la vita per lo zibur”, ”cioè per la comunità, vale a dire i funzionari e gli ebrei “più illustri”, come dice Kastner nel suo rapporto.

“La soluzione finale si era svolta in un’atmosfera soffocante e avvelenata, e vari testimoni dell’accusa avevano confermato, lealmente e crudamente, il fatto già ben noto che nei campi molti lavori materiali connessi allo sterminio erano affidati a speciali reparti ebraici; avevano narrato come questi lavorassero nelle camere a gas e nei crematori, estraessero i denti d’oro e tagliassero i capelli ai cadaveri, scavassero le fosse e più tardi riesumassero le salme per far sparire ogni traccia; avevano narrato come tecnici ebrei avessero costruito camere a gas a Theresienstadt e come qui l’“autonomia” ebraica fosse arrivata al punto che perfino il boia era un ebreo.” (pag. 130)

La gravissima responsabilità dei capi ebraici nel garantire l’ordine mentendo sulla destinazione dei deportati e sventando così ogni pericolo di ribellione o di fuga (nella speranza di salvare se stessi, cosa che non sempre gli riuscì), e la conseguente passività degli ebrei nella deportazione, è sottolineata da questa testimonianza al processo:

“Ci sono persone, qui, le quali dicono che nessuno consigliò loro di fuggire: ma il cinquanta per cento di quelli che fuggirono furono ripresi e uccisi”. Egli (il testimone (ndr) dimenticava, però, che furono uccisi il novantanove per cento di coloro che non fuggirono. (…)

“L’argomento della collaborazione fu toccato dai giudici due volte. Il giudice Yitzak Raveh, interrogando un testimone sui tentativi di resistenza, riuscì a fargli ammettere che la “polizia del ghetto” era “uno strumento nelle mani degli assassini”, e che la politica degli Judenrat era una politica di “collaborazionismo” ; e il giudice Halevi, interrogando Eichmann, accertò che i nazisti consideravano questa collaborazione come “la pietra angolare” della loro politica ebraica. (…)

“La verità vera era che se il popolo ebraico fosse stato realmente disorganizzato e senza capi, dappertutto ci sarebbe stato caos e disperazione, ma le vittime non sarebbero state quasi sei milioni.” (pagg. 131-2).

Un altro mito destinato a crollare se si guarda agli effettivi svolgimenti storici, è quello secondo cui lo sterminio colpì indistintamente “tutti gli ebrei”. Oltre a chi poteva comprarsi passaporti falsi e fuggire, esistevano categorie privilegiate che non furono incluse nelle liste dei deportati.Seguendo le testimonianze rese al processo contro Eichmann, è evidente che

“… queste categorie erano state accettate fin dall’inizio dagli ebrei tedeschi, senza proteste, e l’accettazione di categorie privilegiate (gli ebrei tedeschi e non gli ebrei polacchi, i veterani di guerra e i decorati e non gli ebrei comuni, le famiglie con antenati nati in Germania e non i cittadini naturalizzati di recente, ecc.) aveva segnato il principio del crollo morale della rispettabile società ebraica.

“Anche dopo la guerra il testimone [Kastner] ha continuato a vantarsi di esser riuscito a salvare “ebrei illustri”, una categoria fissata ufficialmente dai nazisti nel 1942, come se anche per lui un ebreo famoso avesse più diritto di restare in vita di un ebreo comune. (…) e da un’istruzione diramata da Ernst Kaltenbrunner, capo dell’RSHA, noi sappiamo che una “cura speciale” si metteva nel “non deportare ebrei con legami e importanti aderenze nel mondo esterno”.

”In altre parole, gli ebrei meno “illustri” erano costantemente sacrificati a quelli che non potevano sparire senza provocare fastidiose inchieste.

Lo stesso Hitler, a quanto si dice, conosceva trecentoquaranta “ebrei di prim’ordine” e aveva concesso loro la posizione di tedeschi puri o almeno i privilegi garantiti ai mezzi ebrei. Migliaia di mezzi ebrei erano stati “esentati” e non dovevano sottostare ad alcuna restrizione, il che può spiegare come mai Heydrich e Hans Frank [che appartenevano a questa categoria – ndr] potessero salire così in alto nelle SS (pagg. 138-140).

E gli interventi in favore di ebrei illustri, ”quando venivano da persone anch’esse “illustri,” avevano spesso pieno successo.”

Il degrado morale e l’accanimento su basi di classe si è manifestato dunque anche all’interno della società ebraica durante la persecuzione nazista. Ricordarlo oggi significa togliere alla “memoria dell’olocausto” quell’aura di episodio irrazionale e irripetibile della storia umana che per i sionisti costituisce una pietra angolare della loro ricostruzione degli avvenimenti passati. In esso sono entrati in funzione gli stessi meccanismi di fondo che vediamo all’opera oggi, in cui lo Stato di Israele, vestendo le vesti della vittima eterna, si sente autorizzato a difendersi con i mezzi più nefandi che circa un secolo fa la quasi totalità degli ebrei-massa ha terribilmente subìto qui in Europa, e una buona quota della sezione più privilegiata degli ebrei ha invece avallato. Come allora, anche oggi tutta l’umanità è degradata dal genocidio in atto a Gaza. Nessun riscatto può avvenire sulla base della manipolazione del passato, delle menzogne, delle omissioni, dei ricatti, delle sopraffazioni. Ad una “memoria” che è propaganda ideologica (nel senso di falsificante, e lo è non solo il 27 gennaio bensì 365 giorni all’anno) finalizzata a legittimare il sempre più traballante dominio dell’imperialismo occidentale e del colonialismo sionista, contrapponiamo un’autentica memoria storica di tutte le forme di oppressione – ben inclusi evidentemente lo sterminio degli ebrei per opera del nazismo e le precedenti persecuzioni per opera delle istituzioni cristiane, zariste, etc.; contrapponiamo la lotta di liberazione degli oppressi del mondo intero, ben inclusa evidentemente la lotta di liberazione dei palestinesi dalla macchina di oppressione e di sterminio sionista!

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