[CONTRIBUTO] Gli Stati Uniti: verso una seconda guerra civile?

1 year ago 46

Riceviamo e pubblichiamo questo contributi dai compagni della redazione Il Pungolo Rosso, già disponibile sul loro sito (vedi qui):

Gli Stati Uniti: verso una seconda guerra civile?

– Counterpunch

Questo articolo che riprendiamo da Counterpunch [vedi qui] pecca, e non poco, di schematismo, di semplificazioni eccessive. Su più aspetti: sull’Urss, sulla Cina, sulle elezioni, sulla sinistra statunitense, e su altro ancora, perfino sul suo tema centrale: le radici delle acute contraddizioni che spingono gli Stati Uniti verso una “seconda guerra civile”, e che hanno fatto rinascere tentazioni secessioniste in diversi stati dell’Unione. Nello sforzo di sintetizzare in breve e in chiaro vicende storiche di estrema complessità il suo tono complessivo appare alquanto naive.

La ragione per cui lo riprendiamo è che, pur con questi difetti molto rilevanti, dà conto di un dato di realtà che qui in Italia è quasi sconosciuto: in Amerika si discute ormai da anni, apertamente, della possibilità di una nuova guerra civile. E non si tratta semplicemente di una manovra diversiva per impedire schieramenti contrapposti di capitalisti e di proletari. Si tratta anche, se non anzitutto, della crescente difficoltà di ricomporre ad unità gli interessi dei diversi settori del capitale statunitense da parte di un establishment politico chiamato a gestire la perdita del dominio incontrastato e di egemonia nel mondo dell’asse Washington-Wall Street.

L’altro merito di Alain Simardone, sempre con i limiti sopra indicati, è che non ha esitazioni nel contrapporre lo sviluppo della lotta di classe anti-capitalista alla prospettiva della guerra civile – ben centrato è quanto si dice sull’immigrazione e sul rapporto lavoratori immigrati – lavoratori autoctoni. Certo, gli ultimatisti troveranno – ed è vero – che in questo articolo mancano i soviet, la strategia per la presa del potere, il programma di transizione e quant’altro. Viene colto bene, però, il grande pericolo, per gli sfruttati, di lasciarsi coinvolgere nelle “prove” di guerra civile inter-capitalistica (o di secessionismo), e il punto a cui è arrivato – al momento – il dibattito. E a differenza che in Italia dove c’è per tradizione una sovrapproduzione di ciarlatani, negli Stati Uniti il dibattito ha sempre conseguenze pratiche.

Redazione Il Pungolo Rosso

Una seconda guerra civile?

– Aidan Simardone

L’estrema destra la brama, i liberali la temono. Dopo l’attacco al Campidoglio del 2021, la possibilità di una seconda guerra civile americana è entrata nel dibattito mainstream. L’estrema destra la fa propria, un’apocalisse che darà vita ad uno stato di bianchi su base etnica. Spaventati, i liberali chiedono riforme elettorali e giudiziarie, o si richiamano ai bei tempi di Obama e Clinton, quando il consenso neoliberale garantiva una politica civile.

Socialisti e marxisti respingono l’idea che sia possibile una guerra civile. In base al loro principio secondo cui: “Ti fanno combattere una guerra culturale/ideologica per impedirti di combattere una guerra di classe”. Ciò nella presunzione che le guerre culturali siano superficiali, prive di una base economica. Dimenticando che la lotta di classe non è solo tra classi, ma anche all’interno delle classi. In America sta emergendo un conflitto tra capitalisti urbani e capitalisti rurali, con le guerre culturali/ideologiche usate come strumento di reclutamento della classe operaia. Se da un lato è nell’interesse collettivo dei capitalisti combattere la classe operaia, dall’altro è nell’interesse individuale di ciascun capitalista combattersi a vicenda con gli latri capitalisti per conquistare posizioni di monopolio. Di solito questo avviene tramite il mercato. Ma quando l’espansione del mercato raggiunge il suo limite, la guerra diventa un ulteriore mezzo per l’accumulazione del capitale.

Durante la “corsa all’Africa”, l’Europa godeva di una relativa pace mentre saccheggiava l’Africa. Finché ci furono altre terre africane da conquistare, la guerra non fu necessaria. Ma quando non ci furono, gli imperialisti europei dovettero combattere gli uni contro gli altri. Fu così che scoppiò la Prima Guerra Mondiale. Naturalmente, i capitalisti non combatterono direttamente tra loro. Il nazionalismo aiutò a reclutare la classe operaia nella guerra, guerra per la quale non essa aveva alcun interesse economico.

Allo stesso modo, durante la guerra fredda fu necessario uno sforzo collettivo [della classe capitalistica] per fermare l’Unione Sovietica. Quando poi l’Unione sovietica crollò, i capitalisti si sono rivolti l’un contro l’altro e hanno utilizzato le battaglie culturali/ideologiche per arruolare la classe operaia nello scontro, ognuno a proprio vantaggio. Finché le elezioni hanno avuto un peso, lo scontro è avvenuto nelle urne. Ma da quando l’arena politica è diventata una partita a somma zero e il sistema democratico ha perso la sua importanza, è aumentata la probabilità di una guerra civile.

Man mano che aumenta la probabilità di una guerra civile, emergono disfattisti e riformisti. I primi affermano che la guerra civile è inevitabile, facendo propria la pulsione di morte in una chiamata alle armi. I secondi chiedono una riforma elettorale e giudiziaria senza cambiamenti economici. L’analisi di classe può smascherare questa follia. La guerra non è inevitabile, ma è piuttosto una scelta della classe dominante, che trae vantaggio sacrificando i lavoratori. Le riforme possono far guadagnare tempo, ma non possono fermare le dinamiche di classe che portano alla guerra. È piuttosto la coscienza di classe – la consapevolezza che i lavoratori hanno un interesse collettivo [che li lega] – che renderà impossibile ai ricchi reclutare i poveri nella [loro] guerra.

Ritorno all’URSS

La polarizzazione politica è in atto ovunque, dal calcio all’aborto. Ciò che non è chiaro è il motivo di questo fenomeno. Si attribuisce la colpa a tutto, dal sistema dei collegi elettorali a Fox News. Pochi pensano all’Unione Sovietica.

Quando un gruppo si trova ad affrontare una minaccia esistenziale, ha bisogno di consenso. Di fronte a una minaccia ideologica e nucleare, la classe dirigente americana ha lavorato unita contro l’Unione Sovietica. Una marcata partigianeria avrebbe minato tale unità. Ed è per questo motivo che al tempo non si ponevano questioni che oggi dividono i partiti. Quando nel 1973 fu emessa la sentenza Roe contro Wade, repubblicani e democratici avevano opinioni simili sull’aborto [si tratta di una sentenza della Corte Suprema, presa a larga maggioranza, 7 contro 2, che ammise il ricorso all’aborto anche nei casi in cui non fosse a rischio la salute della madre]. Con il crollo dell’Unione Sovietica, scomparve la minaccia per il capitalismo americano. Non dovendo più guardare verso l’esterno, i capitalisti americani si sono volti verso l’interno e si sono combattuti a vicenda.

Questo aspetto viene ben illustrato dai grafici sull’opinione pubblica. Repubblicani e democratici condividono convinzioni simili, che divergono dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991. Di seguito altri tre esempi: fiducia nei giornali, legalizzazione della marijuana e aborto. La linea rossa verticale indica il 1991.

Una tendenza simile emerge nel Congresso. Prima del 1991 il peso dell’ideologia per i democratici al Senato e alla Camera appare minimo. In seguito, diventano più liberali. Le tendenze dei repubblicani sono più ambigue. Alla Camera, l’aumento del conservatorismo appare costante dagli anni ’70 ad oggi. Ma al Senato il fenomeno è chiaro: il conservatorismo accelera dopo il 1991. La tendenza è più netta se si esamina un singolo tema, come l’ambientalismo, con una netta divergenza tra democratici e repubblicani dopo il 1991.

La minaccia esistenziale dell’Unione Sovietica al capitalismo americano l’ha resa un fenomeno unico. Quando l’URSS crollò, i nuovi nemici divennero il terrorismo islamico, la Russia e la Cina. I quali però non rappresentano una minaccia significativa per il capitalismo americano. Il terrorismo islamico può interrompere le linee di approvvigionamento, causare danni alle proprietà e produrre incertezza sul mercato. Ma pochi credono che gruppi come Al Qaeda possano distruggere il capitalismo.

L’influenza della Russia è limitata principalmente alla sua periferia. Sebbene il suo arsenale nucleare sia grande, la guerra nucleare è meno probabile rispetto ai tempi della Guerra Fredda. Infine, la potenza economica e militare della Cina sfida l’America. Ma più che una minaccia, i capitalisti americani traggono vantaggio dalla Cina come mercato di produzione e (più recentemente) di consumo. Indipendentemente dall’opinione che si ha dell’Unione Sovietica, comunista o capitalista di Stato, la sua affermazione avrebbe posto fine al capitalismo americano. Quando l’Unione Sovietica crollò, il capitalismo vinse e iniziò la guerra tra capitalisti [negli Stati Uniti].

Tutti i conflitti sono conflitti di classe

“Se si teme una seconda guerra civile, la domanda da porsi non è se le persone si odiano… ma se questo odio deriva da interessi sociali ed economici inconciliabili”, scrive l’editorialista Jamelle Bouie. Secondo Bouie, l’abolizione della schiavitù era una minaccia esistenziale per i proprietari bianchi di schiavi, mentre “non è sicuro che ci sia qualcosa nella attuale società americana che abbia lo stesso ruolo”.

Bouie ha ragione. Idee e convinzioni sono importanti, ma non possono generare guerre se non hanno una base economica. Tuttavia, si sbaglia sul fatto che la polarizzazione post-1991 non abbia basi economiche. Ci sono interessi economici reali che dividono democratici e repubblicani. Negli anni Sessanta dell’Ottocento [la divisione] era tra Nord e Sud. Oggi è tra capitalisti rurali e urbani.

Lo vediamo nell’immigrazione. Donald Trump ha promesso di bandire gli immigrati dall’America. Ma, quello da cui sono stati esclusi non è l’America, è la sicurezza economica. Gli immigrati hanno continuato ad arrivare, ma illegalmente, senza diritti. Senza diritti, gli imprenditori agricoli possono tenere bassi i salari minacciando la loro espulsione. Benché Trump si vantasse di aver fermato i “clandestini”, le deportazioni sono state inferiori sotto la sua presidenza rispetto a quella di Obama. Un numero eccessivo di rimpatri avrebbe privato i proprietari di aziende agricole di manodopera sfruttabile. Per questo motivo, il settore agroalimentare ha finanziato molto di più Trump che Hillary Clinton o Joe Biden.

I democratici perseguono una politica opposta. Diversamente dal lavoro agricolo, l’occupazione professionale, che si concentra nelle città, richiede uno status legale. Pertanto, leggi come la Deferred Action for Childhood Arrivals e la Development, Relief, and Education for Alien Minors Act estendono il riconoscimento di diritti a coloro che non ne hanno. Ma c’è un problema. Sono ammessi solo coloro che superano il controllo dei precedenti penali e sono in possesso di un diploma di scuola superiore. Questi requisiti favoriscono gli immigrati che vogliono inserirsi nel settore del lavoro qualificato e sfavoriscono gli immigrati che svolgono lavori a basso salario. I primi è più facile che siano abitanti delle città, mentre i secondi è più probabile che abitino nelle zone rurali. Gli immigrati senza documenti costituiscono la metà della manodopera agricola americana e 6,5 milioni vivono nelle maggiori città americane. La divisione riguardo alla questione immigrazione non è solo una “questione di facciata”, ma influisce sui profitti dei capitalisti delle aree rurali e di quelli delle aree urbane.

Un altro settore su cui c’è conflitto sono i combustibili fossili. La crescente minaccia del riscaldamento globale spinge i democratici a passare all’energia pulita. E questo avrà un impatto proporzionale maggiore sulle aree rurali. I combustibili fossili rappresentano un quarto dell’economia degli stati rurali come il North Dakota e l’Oklahoma. In Canada, la minaccia percepita dal movimento ecologista all’Alberta, ricca di petrolio, ha portato a una legislazione che consente alla provincia di ignorare le leggi federali, creando una crisi costituzionale. Mentre le guerre ideologiche si infiammano, potrebbe accadere la stessa cosa in America.

Fin qui si tratta di due soli settori. Altri settori su cui si dividono le aree urbane e quelle rurali sono quelli della tecnologia, della finanza e dell’industria mineraria. Questi settori si stanno politicamente allineando come mai prima d’ora. Il grafico seguente mostra la differenza tra la quota di voto repubblicana rurale e quella urbana nelle diverse regioni degli Stati Uniti. Ancora una volta, la differenza è aumentata in modo sostanziale dopo la caduta dell’Unione Sovietica.

Questo deriva dal fatto che gli imprenditori rurali e urbani si sono schierati più nettamente. Dal 1990 al 2016, la quota di donazioni politiche del settore agroalimentare destinate ai repubblicani è cresciuta dal 59% al 73%. Per la tecnologia, che prevale nelle città, la quota destinata ai democratici è aumentata dal 57% al 71%. Quando c’era l’Unione Sovietica, i capitalisti davano un sostegno quasi uguale a ciascun partito. Ora prevalgono gli interessi di parte.

Guerra civile

Naturalmente, le donazioni non sono la stessa cosa di un conflitto armato. Indicano una polarizzazione politica, e dimostrano anche che i capitalisti pensano di poter vincere attraverso le urne. Ma cosa succede se la vittoria elettorale non è possibile?

La vittoria elettorale diventa impossibile quando un partito non riesce ad ottenere un numero sufficiente di voti o quando un partito con il maggior numero di voti non riesce a prevalere. Quest’ultima possibilità è insita nella politica americana. La sovra-rappresentazione degli Stati rurali nel Senato e nel Collegio elettorale ha impedito ai Democratici di aggiudicarsi il Senato e la Presidenza nonostante la vittoria ottenuta nel voto popolare. Il gerrymandering1 e l’indebolimento del diritto di voto hanno creato lo stesso problema alla Camera. Il controllo repubblicano del Congresso ha anche portato a una Corte Suprema che è più conservatrice del Paese.

Se i democratici continuano a perdere, hanno tre opzioni: possono cambiare la loro politica, secessionare dalla confederazione americana o cambiare le leggi elettorali. I democratici potrebbero fare appello agli elettori repubblicani o a quelli che non votano per ottenere un numero di voti sufficiente a vincere elezioni inique. Il problema dell’appello agli elettori repubblicani è che potrebbe alienare la loro base, facendo diminuire il numero dei loro voti. Una politica in favore della classe operaia potrebbe attrarre gli elettori demotivati. Ma i capitalisti urbani non permetteranno che ciò accada senza significative pressioni (per saperne di più, più avanti).

La seconda opzione è la secessione. Anche se drastica, potrebbe rendersi necessaria se i democratici non possono più attuare la loro politica. Per esempio, se la Corte Suprema o il Congresso vietano l’aborto a livello federale tramite la attribuzione di diritti soggettivi al feto, questo potrebbe essere il punto di partenza per la secessione di Stati come la California e New York. Ma senza una sinistra organizzata, questa battaglia non sarà un fine, ma soltanto un mezzo per raggiungere il predominio del capitalismo urbano. L’attuale movimento separatista della California è un buon esempio [di questa tendenza]. È sostenuto principalmente dalla Silicon Valley, che teme che la guerra commerciale di Trump con la Cina possa interrompere le catene di fornitura dei semiconduttori. Sebbene sia a favore di questa scelta, il movimento sostiene le tasse basse e i tagli ai servizi sociali, dimostrando che il suo vero obiettivo non è il progressismo, ma la garanzia dei profitti dei capitalisti urbani. La secessione, inoltre, non sarebbe pacifica. Un confine tra la California e gli Stati Uniti interromperebbe le catene di approvvigionamento e creerebbe un precedente per la secessione di altri Stati. Mentre i capitalisti urbani governano la California, i capitalisti rurali della Central Valley chiederebbero l’aiuto del governo federale. Ne deriverebbe una guerra.

Per questo motivo, i liberali vedono nella riforma elettorale la soluzione per evitare la guerra. Questa prevede la rappresentanza proporzionale, la fine del voto di scambio, l’ampliamento della Corte Suprema e il riconoscimento di entità statale a Puerto Portorico e a Washington D.C. Il partito con il maggior numero di voti vincerebbe, restituendo legittimità alla democrazia borghese. A loro volta, i capitalisti rurali faranno di tutto per conservare la propria. Se venissero fatte delle riforme e per i repubblicani diventasse impossibile vincere le elezioni, la secessione sarà un’opzione da perseguire. I repubblicani sono più favorevoli alla secessione rispetto ai democratici. A differenza della California, questo movimento non è marginale. Nel giugno 2022, il Partito Repubblicano del Texas ha appoggiato un referendum sulla secessione. Ma, ancora una volta, non sarebbe un referendum senza scontri. I capitalisti urbani, come le società tecnologiche delle Silicon Hills di Austin, cercherebbero l’aiuto del governo federale. La secessione porta alla guerra.

Ritorno alla classe

Niente di tutto questo è inevitabile. Anche se i lavoratori sono coinvolti nella guerra, la classe dei lavoratori non ha alcun interesse per la guerra. Ma, nonostante la sinistra faccia del suo meglio, la presa di coscienza della classe è più facile a dirsi che a farsi. Che fare?

La soluzione sta nell’analisi delle classi, che ricostruisce gli interessi economici delle guerre culturali. Prendiamo l’immigrazione, che viene dipinta come una questione “identitaria” tra repubblicani xenofobi e democratici multiculturalisti. L’analisi di classe smaschera questa rappresentazione. I repubblicani non vogliono tenere fuori gli immigrati, ma privarli dei diritti in modo che gli agricoltori possano mantenere bassi i salari. I democratici non si preoccupano degli immigrati, ma vogliono piuttosto concedere il riconoscimento dei diritti ad alcuni di essi in modo che possano lavorare per i capitalisti urbani, mentre continuano a rimpatriare gli altri. Se questo si realizzasse, sarebbe più difficile per i capitalisti urbani e rurali reclutare la classe operaia in una loro guerra civile. La classe operaia potrà quindi portare avanti una politica di classe. Nel caso dell’immigrazione, ciò significherebbe una campagna non solo per consentire l’ingresso degli immigrati, ma anche per promuovere i diritti dei lavoratori. Questo non solo proteggerebbe gli immigrati dallo sfruttamento, ma aumenterebbe anche il tenore di vita di tutta la classe operaia, compresi gli americani bianchi delle zone rurali. I lavoratori bianchi americani, comprendendo i vantaggi di una politica dell’immigrazione basata sull’analisi di classe, diventeranno più consapevoli della loro condizione e saranno meno propensi a lottare per i capitalisti rurali.

Non sarà facile. I capitalisti faranno tutto il possibile per proteggere il loro status. Ma con l’aumento delle disuguaglianze, la classe operaia cerca di trovare una spiegazione alla propria oppressione e alienazione. Il riscatto non avverrà con la guerra ideologica e con la guerra civile, ma con l’analisi e la coscienza di classe. Solo questo può evitare la guerra.

1 La “gerrymandering” è la pratica di definire i confini dei distretti elettorali per favorire specifici interessi politici all’interno degli organi legislativi, spesso attraverso la costruzione di distretti con confini contorti e tortuosi piuttosto che in aree compatte.

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