ENI tenta di zittirci con una causa per diffamazione, ma non ci fermiamo!

9 months ago 72

Mentre in Italia l’emergenza climatica miete vittime e causa danni incalcolabili da nord a sud, il colosso petrolifero ENI, una delle compagnie maggiormente responsabili della crisi climatica, ha deciso di intentare una causa di risarcimento danni per diffamazione nei confronti di Greenpeace Italia e ReCommon per aver osato chiedere una vera strategia di decarbonizzazione. 

Lo scorso 10 maggio, insieme a 12 cittadine e cittadini, abbiamo notificato al gigante fossile un atto di citazione per il lancio di una civile davanti al Tribunale di Roma per chiedere l’accertamento dei danni derivanti dai cambiamenti climatici, a cui ENI ha contribuito negli ultimi decenni, continuando a investire nei combustibili fossili. Chiediamo anche che ENI sia obbligata a rivedere la propria strategia energetica per rispettare gli impegni internazionali dell’Accordo di Parigi sul clima. Si tratta della prima climate litigation italiana contro una società privata e ha avuto una vasta eco sui media internazionali, spingendo ENI a reagire nei nostri confronti con un evidente intento intimidatorio.

Proprio nei giorni in cui migliaia di persone vivono sulla propria pelle gli effetti disastrosi della crisi climatica, con un tempismo davvero sconcertante ENI pensa di zittirci minacciando una causa di risarcimento danni per diffamazione”, dichiara Chiara Campione, responsabile dell’Unità Clima di Greenpeace Italia. “I vertici di ENI devono sapere che questa richiesta di risarcimento non farà che motivarci ancora di più nella nostra battaglia in difesa del clima e delle generazioni presenti e future”.

Sapevamo a cosa andavamo incontro quando abbiamo lanciato la Giusta Causa e abbiamo scelto di farlo perché nessun rischio è più grande di quello climatico. Intendiamo resistere a questo tentativo di intimidazione da parte di ENI e chiediamo il sostegno di tutte le persone e gli enti pubblici e privati che hanno a cuore la causa della giustizia climatica, a partire da chi vive e opera nei territori che stanno vivendo sulla propria le conseguenze catastrofiche della crisi”, dichiara Antonio Tricarico di ReCommon. 

È paradossale che la più importante multinazionale italiana, partecipata dallo Stato, chieda un risarcimento danni a chi non ha fatto altro che sollecitare un reale cambiamento nelle sue politiche fossili che minacciano il pianeta e la sicurezza delle persone. ENI non ha ancora quantificato le richieste economiche alle due associazioni ma, a quanto si legge nell’atto notificato saranno superiori a 50 mila euro per ciascuna organizzazione.

Non resteremo in silenzio

Cause come questa che ENI ha annunciato contro Greenpeace Italia e ReCommon vengono denominate SLAPP (Strategic Lawsuit Against Public Participation, o cause strategiche contro la pubblica partecipazione). Si tratta di cause civili che, sebbene siano spesso basate su accuse infondate, sono intentate da grandi gruppi di potere per disincentivare la protesta pubblica, sottraendo risorse economiche alle parti chiamate in causa. In altre parole, si tratta di uno stratagemma ormai ben collaudato per soffocare sul nascere ogni critica e ogni forma di protesta, ma che conosciamo bene. Non basterà a fermare la nostra richiesta di abbandonare il gas e il petrolio per salvarci dall’inferno climatico!

Cosa puoi fare tu

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