Follow the money: ecco chi (e come) finanzia la crisi climatica

1 year ago 352

Mentre è sotto i nostri occhi continuamente l’aggravarsi della crisi climatica, i combustibili fossili e l’agricoltura industriale, entrambi settori che contribuiscono maggiormente al cambiamento climatico, continuano a espandersi. Le banche globali dichiarano a gran voce di affrontare il problema ma la portata dei loro continui finanziamenti ai combustibili fossili e all’agricoltura industriale è ancora sconcertante. È la denuncia del rapporto “How the finance flows” di Action Aid che traccia i flussi finanziari dalle banche ai combustibili fossili e all’agricoltura industriale nei 134 Paesi del Sud del mondo.

«Nessuna parte del mondo è al sicuro dagli impatti climatici, e ora stiamo addirittura assistendo ai terribili effetti di inondazioni, ondate di caldo e incendi senza precedenti in Europa. Ma il Sud Africa, l’Asia e l’America Latina stanno sperimentando gli impatti peggiori del cambiamento climatico. Cinque stagioni consecutive di piogge scarse nella regione del Corno d’Africa, in Kenya, Etiopia e Somalia, significano che la siccità sta causando fame, povertà, migrazione e una terribile malnutrizione infantile nella regione. Altrove in Africa e nel resto del Sud del mondo, gravi inondazioni, siccità, cicloni e l’innalzamento del livello del mare stanno influenzando la vita e i mezzi di sussistenza delle persone», spiega a TPI Teresa Anderson, responsabile per la giustizia climatica di ActionAid International e autrice del rapporto. «E sono sempre le comunità più povere e le donne a subire gli impatti peggiori, anche se hanno fatto ben poco per causare il problema del cambiamento climatico. Le donne e i bambini hanno quattordici volte più probabilità di morire a causa di disastri climatici rispetto agli uomini».

Chi ci rimette di più
I Paesi del Sud del mondo stanno ospitando un numero crescente di combustibili fossili e sviluppi agricoli industriali come miniere di carbone, pozzi di gas, oleodotti, centrali elettriche a carbone e piantagioni di monocolture irrorate con prodotti chimici per l’agricoltura come fertilizzanti fossili e pesticidi. Questi portano a conflitti per la terra e l’acqua, causano morti premature, distruggono gli ecosistemi, avvelenano fiumi e laghi e aumentano gli impatti dei cambiamenti climatici che già devastano le loro comunità.

«L’espansione dei combustibili fossili e dell’agricoltura industriale in Africa, Asia e America Latina sta portando all’accaparramento di terre, alla deforestazione, all’inquinamento delle acque e alla perdita dei mezzi di sussistenza delle comunità. Queste industrie stanno spingendo le persone emarginate sempre più nella povertà o alla migrazione. Quando è stato firmato l’accordo di Parigi nel 2015, c’era un impegno globale a spostare i flussi finanziari che stanno causando la crisi climatica», aggiunge Anderson mostrando invece con la ricerca di ActionAid che i finanziamenti bancari forniti all’industria dei combustibili fossili nel Sud del mondo hanno raggiunto circa 3.200 miliardi di dollari nei sette anni trascorsi dall’adozione dell’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici. 

Dall’Accordo le banche hanno fornito venti volte più finanziamenti ai combustibili fossili e alle attività agricole nel Sud del mondo di quanto i governi del Nord del mondo abbiano fornito come finanziamenti per il clima per promuovere soluzioni per far fronte agli impatti climatici e adottare tecnologie verdi. «Questo è assurdo», denuncia. «Le banche hanno il potere di dire “No” alle multinazionali dei combustibili fossili e dell’agricoltura industriale. Hanno il potere di chiudere i rubinetti e di salvare letteralmente il mondo ma scelgono di finanziarne la distruzione. Anche se le comunità che affrontano siccità e inondazioni dall’altra parte del mondo possono sembrare lontane, è tempo che i banchieri nei loro consigli di amministrazione comprendano il danno che stanno causando e smettano di causare così tanti danni».

I soggetti coinvolti
Questa massa di finanziamenti non ecosostenibili è fornita da molte delle più grandi banche del mondo. I maggiori finanziatori europei dei combustibili fossili e dell’agroalimentare sono HSBC con oltre ottanta miliardi di dollari, seguito da BNP Paribas con quarantanove miliardi e da Société Générale e Barclays con quarantuno miliardi. Nelle Americhe le tre maggiori banche statunitensi, Citigroup, JPMorgan Chase e Bank of America, sono state le finanziatrici più entusiaste di entrambi i settori. I maggiori finanziatori asiatici di combustibili fossili e agricoltura industriale sono Industrial and Commercial Bank of China, China CITIC Bank, Bank of China e Mitsubishi UFJ Financial. A beneficiarne è principalmente la Bayer, la multinazionale tedesca che nel 2018 ha acquistato la controversa azienda agrochimica e biotecnologica Monsanto. Secondo le stime, dal 2016 Bayer ha ricevuto 20,6 miliardi di dollari di finanziamenti per le sue attività agroalimentari nel sud globale. Gli altri principali beneficiari di finanziamenti bancari per l’agricoltura industriale nel sud globale sono tutti coinvolti nella vendita di prodotti agrochimici che favoriscono il riscaldamento climatico o di mangimi e biocarburanti che causano la deforestazione.

Tra i maggiori destinatari dei finanziamenti ai combustibili fossili nel sud globale figurano la State Power Investment Corporation (203,9 miliardi di dollari dal 2016) e varie altre compagnie e produttori cinesi di energia che hanno fortemente investito nel carbone; il trader di materie prime Trafigura e le principali compagnie petrolifere e del gas, tra cui Saudi Aramco, Petrobras, Eni, Exxon Mobil, BP e Shell. Diverse banche (tra cui Barclays, BNP Paribas, HSBC e Citigroup) hanno ora l’obiettivo a lungo termine di eliminare gradualmente i prestiti al carbone, ma nel frattempo continuano a finanziare alcuni dei maggiori produttori di energia elettrica da carbone e società minerarie, responsabili di progetti controversi che stanno devastando le comunità e gli ecosistemi locali. Nessuna delle principali banche ha politiche che prevedono l’eliminazione totale dei finanziamenti per gas e petrolio, anche se ciò è necessario per conformarsi all’obiettivo climatico di raggiungere 1,5°C. Al contrario, i principali destinatari dei finanziamenti bancari sono le maggiori compagnie petrolifere e del gas.

Il ruolo dell’agroecologia
È stato riconosciuto da centinaia dei principali scienziati climatici del mondo, nel sesto rapporto di valutazione dell’IPCC, pubblicato all’inizio di quest’anno, l’importante ruolo che l’agroecologia svolge nell’affrontare la crisi climatica, poiché evita l’uso di fertilizzanti chimici che richiedono combustibili fossili per la loro produzione e che portano anche all’erosione del suolo e alle emissioni di gas serra quando vengono applicati ai campi.

Tra le banche da lei intervistate, chiedo ad Anderson, ce ne sono alcune che prevedono politiche che limitino il finanziamento del settore agricolo o favoriscano l’agroecologia? «Le persone generalmente sanno che i combustibili fossili sono la principale causa di emissioni di gas serra, ma molte meno persone sanno che l’agricoltura industriale è il secondo maggior contributore al cambiamento climatico a livello globale, a causa del suo ruolo nella deforestazione, nei fertilizzanti derivanti dai combustibili fossili e nella produzione di bestiame industrializzato. L’agricoltura industriale è passata inosservata, ma è ora di metterla sotto i riflettori sul clima accanto ai combustibili fossili, a cui appartiene», risponde. «Nessuna delle banche che abbiamo studiato nel nostro rapporto ha politiche che limitano il finanziamento dell’agricoltura industriale e nessuna cerca di ridurre il danno derivante dalla produzione e dall’applicazione di fertilizzanti azotati basati su combustibili fossili. In alcuni casi, alcune banche hanno politiche relative a specifici prodotti agricoli come l’olio di palma o la soia, ma fanno affidamento su schemi di certificazione che si sono rivelati inefficaci. Le politiche che affrontano il ruolo che i produttori di carne svolgono nella deforestazione, soprattutto in Amazzonia, sono inadeguate o del tutto assenti. Nel frattempo, nessuna delle banche da noi analizzate adotta politiche che favoriscono l’agroecologia».

«Dobbiamo urgentemente trasformare i nostri sistemi alimentari se vogliamo avere la possibilità di affrontare il cambiamento climatico e nutrire il mondo e l’agricoltura agroecologica è sempre più riconosciuta come una valida alternativa a quella industrializzata perché è dimostrato che gli approcci agroecologici che lavorano con la natura invece che contro di essa, sono efficaci nella produzione alimentare», aggiunge. «Lavoriamo con donne agricoltrici in prima linea nella crisi climatica che stanno adottando con entusiasmo l’agroecologia, perché risparmiano denaro evitando l’acquisto di costosi fertilizzanti derivanti da combustibili fossili e le loro colture sono più resistenti ai cambiamenti climatici. Queste donne sono i veri leader climatici».

Una di loro è Mary Sakala, un’agricoltrice dello Zambia,  e presidente dell’Assemblea delle donne rurali. Ha quattro figli maschi e tre femmine e si occupa di agricoltura da trentacinque anni. «A causa del cambiamento climatico subiamo dei flash flood e periodi lunghi di totale siccità e ciò ci sta rendendo estremamente vulnerabili. Ci siamo trovati più volte in condizioni di insicurezza alimentare. A Mumbwa, dove mi trovo, le falde acquifere si sono abbassate prima del previsto, rendendoci incapaci di irrigare i raccolti per integrare il deficit del nostro cibo a causa dello scarso raccolto registrato. I nostri animali  viaggiano fino a 6-7 chilometri per andare a prendere acqua da bere poiché i nostri pozzi vicini producono solo acqua da bere e pochi solo per usi domestici. A mio avviso, i responsabili delle opportunità climatiche sono gli esseri umani, ma anche i nostri governi che si incontrano sempre per discutere le questioni relative al cambiamento climatico ma non hanno alcun impatto positivo sul cambiamento. Ancora abbiamo bisogno di molto supporto in termini finanziari e in termini politici perché se nessuno ci supporta quando veniamo colpiti dalla siccità, continueremo a essere vulnerabili. Sappiamo che il cambiamento climatico è presente e se non abbiamo le adeguate tecnologie o soluzioni di resilienza climatica rischiamo anche di morire di fame», racconta Maya suggerendo come soluzione la transizione all’agroecologia: «È la cosa migliore in quanto agisce come misura di resilienza e adattamento per la sostenibilità alimentare per i piccoli agricoltori nelle aree rurali come me, ci permette di mangiare il tipo di cibo che conosciamo e di conservare l’ambiente in modo molto amichevole e sano. È tempo di unire le forze e condividere le risorse come mondo globale, in modo da ridurre il riscaldamento globale. Attualmente l’Africa è la più colpita, ma un giorno periremo tutti».

Fondi pubblici per il fossile
Le energie rinnovabili hanno la capacità di superare di gran lunga la domanda energetica globale prevista entro il 2050 e, nella maggior parte dei casi, sono già più convenienti dei combustibili fossili ma i governi continuano a convogliare fondi pubblici verso di essi. 

Per sua natura, l’energia rinnovabile è anche più adatta a soddisfare le esigenze delle comunità rurali ed emarginate lasciate indietro dai combustibili fossili. Non disponendo di elettricità, poiché sono lontane da centrali elettriche centralizzate a combustibili fossili, possono beneficiare di pannelli solari sui tetti, impianti eolici su piccola scala e micro-generatori idroelettrici. 

ActionAid promuove un modello di “democrazia energetica” che richiede un miglioramento della governance energetica basato sulle energie rinnovabili. Che possa affrontare la crisi climatica e allo stesso tempo affrontare le esigenze di sviluppo delle comunità emarginate.

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