Il cantiere edilizio abusivo di Capo Colonna-Punta Scifo (Crotone) va demolito.

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Crotone, Torre di Punta Scifo

Pronuncia lapidaria del Consiglio di Stato in relazione ai provvedimenti che han disposto la demolizione e il ripristino ambientale delle opere abusive realizzate nel cantiere di Capo Colonna-Punta Scifo, sulla costa di Crotone.

Il complesso turistico-edilizio del Marine Park Village, a breve distanza dalla nota area archeologica nazionale di Capo Colonna, posto sotto sequestro preventivo nel febbraio 2017 anche su esposto del Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG) e finito pesantemente nelle cronache giudiziarie degli anni scorsi, avrebbe i giorni contati.

La sentenza Cons. Stato, Sez. VI, 11 gennaio 2023, n. 348 ha deciso con un unico provvedimento i vari ricorsi esperiti in appello per precisa “integrale connessione soggettiva ed oggettiva” degli stessi, rammentando che, “in punto di fatto, le vicende giuridiche attinenti alle opere oggetto di demolizione sono oramai ferme e consolidate, di talché dette opere, sotto il profilo giuridico, risultano essere state realizzate in assenza di un valido (ed efficace) titolo edilizio” per precedenti provvedimenti giurisdizionali definitivi (Cons. Stato, Sez. IV, 19 febbraio 2020, n. 1251).

Il Giudice amministrativo d’appello non ha ritenuto applicabile il regime più mite nei confronti delle opere accertate quali abusive di cui all’art. 38 del D.P.R. n. 380/2001 e s.m.i. (T.U. dell’edilizia), perché “l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, consentenza 7 settembre 2020, n. 17, ha precisato che l’applicazione della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 38 d.P.R. 380/2001 qualora non sia possibile la rimozione dei vizi delle procedure o la restituzione in pristino, può trovare applicazione unicamente a fronte di vizi che riguardino la forma e la procedura e che – alla luce di una valutazione in concreto effettuata dall’amministrazione – risultino non rimuovibili. L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha, dunque, delimitato la portata della ‘fiscalizzazione’ dell’abuso edilizio, precisando che esso non può operare, come sostenuto invece da un diverso filone giurisprudenziale (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 14 aprile 2020 n. 2419), in presenza di vizi sostanziali, che – come accade nella specie – ricorrono quando l’opera sia in contrasto con le norme che regolano le attività edilizie”.

Cisto (Cistus)

Nel caso concreto il Comune di Crotone aveva esplicitamente affermato (ordinanza di demolizione n. 88/2019) che “non è ravvisabile la soddisfazione delle due condizioni che possano legittimare l’applicazione della sanzione pecuniaria in luogo della demolizione, ai sensi dell’art. 38 del T.U. “Testo Unico dell’Edilizia” D.P.R. n. 380/2001”, pertanto indicando nella disposizione di cui all’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 e s.m.i. il presupposto normativo del provvedimento sanzionatorio comportante la demolizione delle opere abusive di ingenti dimensioni.

In proposito, sottolinea il Consiglio di Stato che “pare evidente che sia la ragione dell’annullamento in autotutela del titolo edilizio, relativa ad un presupposto non meramente formale che aveva colpito patologicamente l’originario titolo, sia la rilevante consistenza delle opere per il quale detto titolo era stato rilasciato [per la ‘realizzazione di un campeggio articolato in 79 bungalow ad uso turistico sito in località Alfieri (…)’] costituiscono elementi che militano, obiettivamente, per la inapplicabilità della previsione di cui all’art. 38 d.P.R. 380/2001 al caso in questione”.

Inoltre, nel momento in cui viene accertato il carattere abusivo nonché assolutamente insanabile dell’opera realizzata non può che conseguire per legge il provvedimento di demolizione e ripristino ambientale, avente natura vincolata per giurisprudenza costante (Cons. Stato, Ad. Plen., 17 ottobre 2017, n. 9).   Quanto disposto dall’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 e s.m.i. ha interpretazione giurisprudenziale univoca in quanto “l’ordinanza di demolizione ha natura di atto dovuto e rigorosamente vincolato, dove la repressione dell’abuso corrisponde per definizione all’interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi illecitamente alterato, con la conseguenza che essa è già dotata di un’adeguata e sufficiente motivazione, consistente nella descrizione delle opere abusive e nella constatazione della loro abusività” (fra molte vds. Cons. Stato, Sez. VI, 6 febbraio 2019, n. 903).

Le sanzioni amministrative pecuniarie seguono, poi, per la mera ragione dell’inottemperanza all’ordine di demolizione e di ripristino ambientale, anche in tal caso secondo giurisprudenza amministrativa costante (vds. Cons. Stato, Sez. VI, 3 novembre 2021, n. 7347e Cons. Stato, Sez. VI, 3 gennaio 2019, n. 85).

Il complesso edilizio abusivo di Capo Colonna – Punta Scifo dovrà pertanto esser demolito e quel tratto di costa, ricco di testimonianze archeologiche, dovrà vedere finalmente il necessario ripristino ambientale.

dott. Stefano Deliperi, Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)

Crotone, progetto ricettivo agrituristico Capo Colonna – Punta Scifo

N. 00348/2023REG.PROV.COLL.

N. 00128/2020 REG.RIC.

N. 01077/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 128 del 2020, proposto dal signor Salvatore Scalise, rappresentato e difeso dagli avvocati Domenico Grande Aracri e Francesco Scalzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio legale dell’avvocato Elvira Riccio in Roma, via G.B. Martini, n. 2;

contro

il Comune di Crotone, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Achille Morcavallo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, via Arno, n. 6;

sul ricorso numero di registro generale 1077 del 2022, proposto dal signor Salvatore Scalise, rappresentato e difeso dagli avvocati Domenico Grande Aracri e Francesco Scalzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio legale dell’avvocato Franco Brugnano in Roma, via Palestro, n. 56;

contro

il Comune di Crotone, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Sabatino Rainone, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia;

nei confronti

del signor Armando Scalise, non costituito nel presente grado di giudizio;

per la riforma

quanto al ricorso n. 128 del 2020, della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, Sede di Catanzaro, Sez. II, 30 novembre 2019 n. 1808, resa tra le parti;

quanto al ricorso n. 1077 del 2021, della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, Sede di Catanzaro, Sez. II, 4 ottobre 2020 n. 1602, resa tra le parti.

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in entrambi i giudizi del Comune di Crotone nonché i documenti prodotti;

Vista l’ordinanza della Sezione 24 febbraio 2020 n. 869 con la quale è stata respinta la domanda cautelare proposta nel giudizio n. R.g. 128/2020;

Esaminate le ulteriori memorie, anche di replica e la nota d’udienza, depositate dalle parti con documenti in entrambi i giudizi;

Visti tutti gli atti delle cause;

Relatore nell’udienza del 24 novembre 2022 il Cons. Stefano Toschei e uditi, per le parti, gli avvocati Domenico Grande Aracri, in proprio e per delega dell’avvocato Francesco Scalzi e Achille Morcavallo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. – Con un primo ricorso in appello, n. R.g. 128/2020, il signor Salvatore Scalise ha chiesto la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, Sede di Catanzaro, Sez. II, 30 novembre 2019 n. 1808 con la quale è stato respinto il ricorso (n. R.g. 1544/2019) dallo stesso proposto in primo grado al fine di ottenere l’annullamento dell’ordinanza di demolizione n. 88 adottata dal Comune di Crotone in data 20 agosto 2019.

Con un successivo ricorso in appello, n. R.g. 1077/2021 lo stesso signor Scalise ha chiesto la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, Sede di Catanzaro, Sez. II, 4 ottobre 2020 n. 1602 con la quale è stato respinto un secondo ricorso (n. R.g. 548/2020) che egli aveva proposto al fine di ottenere l’annullamento dell’ordinanza 7 aprile 2020 n. 23 che il Comune di Crotone aveva adottato nei suoi confronti ingiungendogli il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria prevista dall’art. 31, comma 4-bis, d.P.R. 6 giugno 2021, n. 380 per non avere eseguito l’ordine di demolizione impostogli con la precedente ordinanza n. 88/2019.

2. – La vicenda che fa da sfondo al presente contenzioso, costituito dai due ricorsi in grado di appello suindicati, può essere sinteticamente ricostruita sulla scorta dei documenti e degli atti prodotti dalle parti controvertenti nei due gradi di giudizio nonché da quanto sintetizzato nella parte in fatto delle due sentenze qui oggetto di appello, come segue:

– il signor Salvatore Scalise è stato destinatario dell’ordinanza di demolizione per opere abusive, realizzate nella sua proprietà in località Altieri, n. 88 disposta dal Comune di Crotone in data 20 agosto 2019;

– nello specifico le opere in questione consistono in “n. 79 piastre in cemento per la posa dei bungalow, di cui parte risultavano ubicate al di fuori della recinzione di cantiere; – bungalow in legno utilizzato temporaneamente a deposito materiali; – piscina costruita da una vasca in c.a.; – scavo con battuto di cemento, nelle immediate vicinanze della piscina, riguardante i servizi tecnologici della piscina; – manufatto destinato a ristorante – pizzeria costituito da: a) piastra di fondazione con pilastratura in legno e copertura in legno; b) struttura in legno ondulato (lato mare), ed al rispristino dello stato dei luoghi ante intervento”;

– tale provvedimento di demolizione seguiva all’ordinanza n. 83 del 18 maggio 2017, assunta in autotutela dallo stesso Comune di Crotone, con la quale era stato annullato il titolo abilitativo (n. 162/NC del 20 dicembre 2011 e la relativa proroga n. 106/NC del 30 settembre 2015) precedentemente rilasciato in favore di entrambi i proprietari dell’area in questione, i signori Salvatore Scalise e Armando Scalise;

– detti proprietari avevano impugnato il suindicato provvedimento assunto in autotutela dal Comune di Crotone, ma il TAR per la Calabria con sentenza n. 1409 del 20 settembre 2017, successivamente confermata in appello dal Consiglio di Stato con sentenza n. 3984 del 14 giugno 2018, aveva respinto la richiesta di annullamento dell’impugnato provvedimento di autotutela;

– il solo signor Salvatore Scalise, in quanto unico destinatario dell’ordinanza n. 88/2017, impugnava il provvedimento di demolizione con ricorso dinanzi al TAR per la Calabria che però, con la sentenza n. 1808/2019, lo respingeva perché infondato;

– successivamente all’adozione dell’ordinanza di demolizione, non essendo state demolite le opere contestate come abusive, il Comune di Crotone ingiungeva il pagamento della conseguente sanzione amministrativa pecuniaria prevista dall’art. 31, comma 4-bis, d.P.R. 380/2001, ancora una volta, al solo signor Salvatore Scalise;

– quest’ultimo, quindi, impugnava anche tale secondo provvedimento (ordinanza 7 aprile 2020 n. 23) dinanzi al TAR per la Calabria, che respingeva il ricorso con sentenza n. 1602/2020.

3. – Le sentenze sopra richiamate con le quali il TAR per la Calabria ha respinto i due ricorsi proposti dal signor Salvatore Scalise sono, ora, da quest’ultimo fatte oggetto di due ricorsi in appello con i quali se ne chiede la riforma perché errate.

In primo luogo, con il ricorso in appello n. R.g. 128/2020, il signor Salvatore Scalise ritiene errata la sentenza del TAR per la Calabria n. 1808/2019 (attinente alla richiesta di annullamento dell’ordinanza di demolizione n. 88/2019) per i seguenti motivi:

I) Violazione degli artt.31 e 38 d.P.R. 380/2001, violazione l. 241/1990, eccesso di potere per difetto ed erroneità dei presupposti, difetto di motivazione e di istruttoria, contraddittorietà, travisamento dei fatti, sviamento di potere. Il provvedimento che ordina la demolizione delle opere asseritamente abusive è illegittimo perché è stato adottato ai sensi dell’art. 31 d.P.R. 380/2001 e non dell’art. 38 del medesimo Testo unico dell’edilizia, avendo quale fonte principale il previo annullamento in autotutela di un titolo edilizio già regolarmente rilasciato dallo stesso Comune di Crotone (nello specifico il permesso di costruire n. 162/NC del 20 dicembre 2011 e la relativa proroga n. 106/NC del 30 settembre 2015). Tale seconda previsione normativa infatti, applicabile al caso di specie, costituisce disposizione più favorevole rispetto a quella prevista dall’art. 31, quanto a previsione di modalità, presupposti e sanzioni, oltre alla possibilità di sanatoria ed alla applicabilità di sanzione pecuniaria (c.d. fiscalizzazione dell’abuso) in luogo della demolizione nonché per la circostanza che la norma richiamata (l’art. 38) non prevede neppure la sanzione estrema dell’acquisizione gratuita al patrimonio comunale. Peraltro l’errata previsione normativa, sulla scorta della quale è stato esercitato il potere repressivo sanzionatorio dal comune, non è stata accompagnata da alcuna motivazione che indicasse le ragioni di tale scelta, sicché l’ordinanza di demolizione si presta ad essere dichiarata illegittima per difetto assoluto di motivazione e di istruttoria nonché per eccesso di potere per travisamento dei fatti, per difetto di motivazione ed istruttoria e contraddittorietà, in particolare laddove l’ordinanza medesima ritiene di sanzionare le opere in questione perché realizzate senza permesso di costruzione, che invece esisteva al momento della loro realizzazione e contraddicendo la diversa e distinta norma speciale recata dal citato art. 38. A ciò si aggiunga che tale decisione assunta dal Comune di Crotone non ha tenuto conto del contenzioso ancora pendente nei confronti del provvedimento di autotutela di annullamento del precedente titolo edilizio, visto che la sentenza del Consiglio di Stato che ha definito quel giudizio è stata fatta oggetto di ricorso per revocazione;

II) Violazione degli artt. 7 e segg. l. 241/1990, eccesso di potere per difetto ed erroneità dei presupposti, difetto di motivazione e di istruttoria, travisamento dei fatti. Il giudice di primo grado ha mancato di scrutinare il motivo di ricorso in quella sede dedotto con il quale si contestava la mancata partecipazione procedimentale dei proprietari in vista dell’adozione dell’ordinanza di demolizione. Né potrebbe sostenersi che l’ordinanza in questione costituisce il frutto dell’esercizio di un potere vincolato, atteso che la corretta previsione normativa applicabile nella specie, in ragione di quanto si è sopra detto, costituita dall’art. 38 d.P.R. 380/2001, riferita alle opere realizzate in forza di titolo esistente ed annullato successivamente, non assegna all’amministrazione un potere di tipo vincolato, come si potrebbe sostenere con riferimento alla previsione di cui all’art. 31 d.P.R. 380/2001, che è rivolta a perseguire le costruzioni in difetto genetico del titolo autorizzativo;

III) Violazione degli art. 31 e 38 d.P.R. 380/2001, eccesso di potere per difetto ed erroneità dei presupposti, violazione l. 241/1990, violazione dell’art. 73 e 74 c.p.a., difetto di motivazione e di istruttoria, travisamento dei fatti. La motivazione della sentenza di primo grado, peraltro in forma semplificata, si presenta significativamente scarna e pone questioni rilevate d’ufficio, senza la previa sottoposizione alle parti in giudizio, “tra cui quella in ordine alla tesi sulla applicabilità dell’art. 38 in considerazione alla subordinazione dello stesso alla esistenza di “un certo affidamento del privato” di cui sarebbe privo Salvatore Scalise argomentando tale assunto (semplicemente enunciato) richiamando il disposto della sentenza della sez. IV n. 3964/19 emessa in distinto giudizio (sul quale non si è nemmeno formato il giudicato) e che pure non era in atti ma è stata ricercata ed acquisita d’ufficio al di fuori di ogni contraddittorio (in violazione del diritto alla difesa costituzionalmente garantito ed assicurato dal disposto dell’art. 73 c.p.a.) e che, peraltro, non è pertinente poiché la sentenza medesima si occupa dell’affidamento non quanto al disposto dell’art. 38 quanto piuttosto a quello di cui si può tener conto in ordine ai presupposti dell’annullamento d’ufficio che la giurisprudenza ha ritenuto in passato precluso quando sia decorso tempo tale da far insorgere affidamento nel costruttore (principio giurisprudenziale peraltro non attuale posto che la norma vigente – art. (2)1 nonies della legge n. 241/90 e s.m. ha fissato il termine di 18 mesi come limite all’esercizio del potere di autotutela)” (così, testualmente, alle pagg. 16 e 17 del ricorso in appello). La sentenza di primo grado si manifesta errata anche perché ha effettuato richiami giurisprudenziali inconferenti e comunque non attinenti al caso in esame;

IV) Violazione degli art. 31 e 38 d.P.R. 380/2001, eccesso di potere per difetto ed erroneità dei presupposti, difetto di motivazione e di istruttoria, travisamento dei fatti. Va ribadito, alla luce di molti precedenti giurisprudenziali, che nel caso di opere realizzate sulla base di un titolo annullato, la loro demolizione deve essere considerata quale extrema ratio, privilegiando l’amministrazione, ogni volta che ciò sia possibile, la riedizione del permesso di costruire emendato dai vizi riscontrati. Nel caso di specie, peraltro, l’annullamento del titolo edilizio originario è stato provocato dalla contestata (ai proprietari da parte del comune) mancata esecuzione del piano di utilizzazione aziendale, che si concretizza in un inadempimento contrattuale contenuto nella convenzione priva della previsione di termine di efficacia o di decadenza, per cui sarebbe stato sufficiente per l’amministrazione, piuttosto che disporre la demolizione delle opere, assegnare ai proprietari un nuovo termine di esecuzione del suddetto obbligo e ciò senza considerare la pendenza del ricorso per revocazione dinanzi al Consiglio di Stato – e del quale si è sopra accennato – fondato su di un evidente errore fattuale in ordine al calcolo del tempo trascorso dalla emissione dei permessi di costruire all’annullamento che è superiore a quello massimo consentito dalla legge. A ciò si aggiunga che la illegittimità dell’ordinanza di demolizione sussiste anche con riferimento alla mancanza della esatta individuazione dei terreni di pertinenza assoggettabili alla acquisizione ed alla eseguibilità immediata ed automatica allo scadere del termine assegnato nell’ordine di demolizione. Oltre al fatto che, incomprensibilmente, l’ordine di demolizione è stato rivolto solo ad uno dei due proprietari, vale a dire al signor Salvatore Scalise e non anche al signor Armando Scalise, quando entrambi sono stati destinatari del provvedimento di annullamento in autotutela del titolo edilizio, che hanno entrambi impugnato dinanzi al TAR per la Calabria (proponendo entrambi anche il ricorso per revocazione della sentenza del Consiglio di Stato emessa a conclusione di quel giudizio).

Da qui la richiesta di riforma della sentenza del TAR per la Calabria n. 1808/2019 e l’annullamento dell’ordinanza n. 88/2019 del Comune di Crotone.

4. – In secondo luogo, con il ricorso in appello n. R.g. 1077/2021, il signor Salvatore Scalise ha chiesto a questo Consiglio la riforma della sentenza del TAR per la Calabria n. 1602/2020 con la quale è stato respinto il ricorso di primo grado dallo stesso proposto per ottenere l’annullamento dell’ordinanza 7 aprile 2020 n. 23 che il Comune di Crotone aveva adottato nei suoi confronti, ai sensi dell’art. 31, comma 4-bis, d.P.R. 380/2001, intimando il pagamento di € 20.000,00 per non avere proceduto alla demolizione delle opere abusive per come ingiunto con la precedente ordinanza n. 88/2019. Il motivo di (tale secondo) appello, unico e complesso, reca in sintesi la presente rubrica: “Violazione degli artt. 31 e 38 d.P.R. 380/2001, violazione l. 241/1990, eccesso di potere per difetto ed erroneità dei presupposti, difetto di motivazione e di istruttoria, contraddittorietà, travisamento dei fatti, illegittimità derivata, sviamento di potere, omesso esame di capi essenziali, mancata corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato”.

Con tale motivo l’appellante lamenta che l’ingiunzione di pagamento disposta dal Comune di Crotone fa esplicito riferimento alla previsione di cui all’art. 31 d.P.R. 380/2001 senza preoccuparsi di motivare in forza di quali ragioni al caso di specie non si è ritenuto, più correttamente, di fare applicazione della previsione di cui all’art. 38 del Testo unico dell’edilizia, che peraltro non prevede l’irrogabilità della sanzione amministrativa pecuniaria nel caso di mancata demolizione delle opere edilizie ritenute abusive. Il TAR per la Calabria ha respinto tale contestazione ricordando che il trattamento di cui “all’art. 38 presuppone un affidamento qualificato che il legislatore avrebbe inteso tutelare e che nella specie tale affidamento non esisteva nel ricorrente in quanto autore di comportamento scientemente illegittimo quale il non aver effettuato in toto un previsto piano di miglioramento agrario aziendale” (così, testualmente, a pag. 4 dell’atto di appello).

Ancora una volta l’odierno appellante ricorda come la intera situazione dalla quale è generata sia l’ordinanza n. 88/2019 sia la ordinanza n. 23/2020 sia ancora sottoposta all’attenzione del Consiglio di Stato e che quindi non può costituire un legittimo fondamento, neppure in fatto, per l’esercizio del potere repressivo sanzionatorio da parte del Comune di Crotone, oltre alla circostanza che “la mancata realizzazione di un piano di trasformazione agraria, sopravvenuto al permesso di costruire il cui annullamento attiene alla fase genetica del rapporto, non costituisce certo un illecito essendo solo una violazione a carattere privatistico e contrattuale sanabile la assegnazione di un termine per la realizzazione delle opere (…)” (così, testualmente, a pag. 5 dell’atto di appello).

A ciò si aggiunga che “Illegittimamente, infine, i provvedimenti poi sono stati emessi nei confronti del solo Salvatore Scalise e non anche di Armando Scalise che è comproprietario, cointestatario dei permessi di costruire e parte nei giudizi di impugnativa giurisdizionale per come risulta dal fatto che stati intestati anche ad Armando Scalise i permessi di costruire annullati per cui lo stesso è parte nei giudizi con relative sentenza (del TAR e del Consiglio di Stato oltre che in quello per revocazione) proposti per l’annullamento del permessi medesimi” (così, testualmente, a pag. 8 dell’atto di appello).

A parere dell’appellante va, dunque, riformata la sentenza di primo grado n. 1602/2020 e, in accoglimento del ricorso proposto in quella sede, deve essere annullata l’ordinanza n. 23/2020.

5. – Si è costituito in entrambi i giudizi il Comune di Crotone contestando analiticamente le avverse prospettazioni e sostenendo la correttezza delle procedure svolte dagli uffici e la piana legittimità dei provvedimenti impugnati in primo grado. Il comune appellato quindi chiedeva la reiezione di entrambi gli appelli per l’infondatezza dei motivi dedotti.

Nel giudizio di cui al ricorso in appello n. R.g. 128/2020 la Sezione, con ordinanza 24 febbraio 2020 n. 869, respingeva la domanda cautelare proposta dal signor Salvatore Scalise.

Le parti depositavano in entrambi i giudizi memorie, anche di replica, confermando le conclusioni già rassegnate nei precedenti atti processuali depositati.

6. – In via preliminare deve disporsi la riunione dei due ricorsi in appello qui in esame, atteso che la vicenda fattuale che li caratterizza costituisce lo sviluppo dello stesso esercizio del potere repressivo sanzionatorio posto in essere dal Comune di Crotone nei confronti del signor Salvatore Scalise e da quest’ultimo contestato in giudizi definiti con le due sentenze del TAR per la Calabria qui oggetto di appello.

Va a tal proposito rammentato, in via generale e per completezza espositiva, che nel processo amministrativo, con riferimento al grado di appello, sussiste l’obbligo per il giudice di disporre la riunione degli appelli allorquando questi siano proposti avverso la stessa sentenza (art. 96, comma 1, c.p.c.), mentre in tutte le altre ipotesi la riunione dei ricorsi connessi attiene ad una scelta facoltativa e discrezionale del giudice, come si desume dalla formulazione testuale dell’art. 70 c.p.a., con la conseguenza che i provvedimenti adottati al riguardo hanno carattere meramente ordinatorio, sono privi di valenza decisoria e restano conseguentemente insindacabili in sede di gravame con l’unica eccezione del caso in cui la medesima domanda sia proposta con due distinti ricorsi dinanzi al medesimo giudice (cfr., tra le ultime, Cons. Stato, Sez. V, 24 maggio 2018 n. 3109).

Nel caso dei due ricorsi in appello qui in esame, seppure proposti nei confronti di due diverse sentenze di primo grado, emerge (anche dall’avvicendarsi dei fatti come sopra si è rappresentato) in tutta evidenza, la integrale connessione soggettiva ed oggettiva tra gli stessi, recando quali parti processuali le stesse già costituite nel giudizio di primo grado ed avendo ad oggetto la delibazione di motivi di appello dal contenuto pressoché sovrapponibile.

Deriva da quanto sopra che va disposta la riunione del ricorso in grado di appello n. R.g. 1077/2021 al ricorso in grado di appello n. R.g. 128/2020, in quanto quest’ultimo ricorso (in appello) è stato proposto in epoca antecedente, perché siano entrambi decisi in un unico contesto processuale e ciò sia per evidenti ragioni di economicità e di speditezza dei giudizi sia al fine di prevenire la possibilità (eventuale) di un contrasto tra giudicati (cfr., ancora, Cons. Stato, Sez. VI, 1 aprile 2021 n. 2727).

7. – Per quanto è stato riferito in precedenza, l’ordinanza di demolizione n. 88/2019, impugnata con il ricorso che ha condotto alla sentenza di primo grado n. 1808/2019, ha disposto la demolizione, ai sensi dell’art. 31 d.P.R. 380/2001, di alcune opere edilizie realizzate sulla base di un titolo edilizio (il permesso di costruire n. 162/NC del 20 dicembre 2011 e la relativa proroga n. 106/NC del 30 settembre 2015) poi annullato in autotutela dal medesimo comune con provvedimento n. 83 del 18 maggio 2017, a propria volta impugnato dinanzi al TAR per la Calabria che con sentenza n. 1409 del 20 settembre 2017, successivamente confermata in appello dal Consiglio di Stato con sentenza n. 3984 del 14 giugno 2018, respingeva il ricorso.

L’appellante ricorda che, al momento dell’adozione dell’ordinanza n. 88 da parte del Comune di Crotone, in data 20 agosto 2019, il giudizio nei confronti del provvedimento di autotutela, in conseguenza del quale il comune ha ritenuto di disporre la demolizione delle opere abusive in quanto realizzate in assenza di titolo edilizio, fosse ancora pendente, atteso che la sentenza del Consiglio di Stato n. 3984 del 14 giugno 2018 era stata fatta oggetto di ricorso per revocazione.

Tuttavia, detto giudizio è stato definito con sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, 19 febbraio 2020 n. 1251, che lo ha dichiarato inammissibile.

In particolare in detta pronuncia è chiarito che “la sentenza di appello, al punto 3.3.1, rimarca che “…non è trascurabile, però, da un canto che la stessa parte appellante, allorché nel 2015 chiese la proroga, non rappresentò all’Amministrazione l’accadimento medio tempore occorso (id est: revoca, con effetto retroattivo, del possesso della qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale resa con nota della Provincia di Crotone del 24 marzo 2014)…”, ancorando così la legittimità del provvedimento di annullamento d’ufficio e il rispetto del relativo termine per la sua adozione alla circostanza che vi sarebbe stato nel corso del procedimento amministrativo preordinato al rilascio del provvedimento di proroga, l’omessa (gravemente) colpevole rappresentazione di un fatto determinante da parte dell’interessato (tale conclusione è rafforzata dalla lettura sinottica dei punti 2.3. e 3.2. della impugnata sentenza). Tale circostanza, secondo il Giudice di ultima istanza avrebbe comportato l’irrilevanza o, comunque, il mancato decorso del termine de quo, in ragione di quell’orientamento ermeneutico di questo Consiglio, oramai ampiamente consolidatosi, sulla scorta del quale L’art. 21-nonies della L. n. 241/1990 deve essere interpretato nel senso che il superamento del rigido termine di diciotto mesi per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio degli atti amministrativi è consentito: a) sia nel caso in cui la falsa attestazione, inerenti i presupposti per il rilascio del provvedimento ampliativo, abbia costituito il frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante (indipendentemente dal fatto che siano state all’uopo rese dichiarazioni sostitutive): nel qual caso sarà necessario l’accertamento definitivo in sede penale; b) sia nel caso in cui l'(acclarata) erroneità dei ridetti presupposti risulti comunque non imputabile (neanche a titolo di colpa concorrente) all’Amministrazione, ed imputabile, per contro, esclusivamente al dolo (equiparabile, per solito, alla colpa grave e corrispondente, nella specie, alla mala fede oggettiva) della parte: nel qual caso non essendo parimenti ragionevole pretendere dalla incolpevole Amministrazione il rispetto di una stringente tempistica nella gestione della iniziativa rimotiva si dovrà esclusivamente far capo al canone di ragionevolezza per apprezzare e gestire la confliggente correlazione tra gli opposti interessi in gioco” (Cons. Stato, sez. IV, 18 luglio 2018, n. 4374; sez. V, 27 giugno 2018, n. 3940; in termini la decisione capostipite Ad. Plen., 17 ottobre 2017, n. 8)” (così, testualmente, al punto 4.1 della sentenza della Quarta sezione del Consiglio di Stato n. 1251/2020).

Ne deriva che, in punto di fatto, le vicende giuridiche attinenti alle opere oggetto di demolizione sono oramai ferme e consolidate, di talché dette opere, sotto il profilo giuridico, risultano essere state realizzate in assenza di un valido (ed efficace) titolo edilizio.

8. – Precisato quanto sopra, preme ora esaminare la fondatezza o meno della censura con la quale l’odierno appellante sostiene che il comune avrebbe dovuto fare applicazione della previsione normativa recata dall’art. 38 d.P.R. 380/2001 piuttosto che, come invece ha fatti, della previsione recata dall’art. 31 del predetto Testo unico dell’edilizia.

In argomento il Collegio ricorda che, come è noto, il fondamento del regime sanzionatorio più mite riservato dal legislatore agli interventi edilizi realizzati in presenza di un titolo abilitativo che solo successivamente sia stato dichiarato illegittimo – rispetto al trattamento ordinariamente previsto per le ipotesi di interventi realizzati in originaria assenza del titolo – va rinvenuto nella specifica considerazione dell’affidamento riposto dall’autore dell’intervento sulla presunzione di legittimità e comunque sull’efficacia del titolo assentito (cfr., di recente, Cons. Stato, Sez. VI, 2 novembre 2022 n. 9493).

A tal fine, la disposizione prevede tre possibili rimedi per rimuovere l’abuso sopravvenuto: a) la sanatoria della procedura, nei casi in cui sia possibile emendare i vizi riscontrati (senza applicazione di alcuna sanzione); b) l’applicazione della sanzione in forma specifica della demolizione, nel caso in cui non sia possibile la predetta sanatoria della procedura; c) l’applicazione della sanzione pecuniaria, qualora non sia possibile applicare la sanzione in forma specifica, in ragione della natura delle opere realizzate (in tal caso “[l]’integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all’articolo 36” del Testo unico sull’edilizia).

Sennonché, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza 7 settembre 2020 n. 17, ha precisato che l’applicazione della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 38 d.P.R. 380/2001 qualora non sia possibile la rimozione dei vizi delle procedure o la restituzione in pristino, può trovare applicazione unicamente a fronte di vizi che riguardino la forma e la procedura e che – alla luce di una valutazione in concreto effettuata dall’amministrazione – risultino non rimuovibili. L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha, dunque, delimitato la portata della “fiscalizzazione” dell’abuso edilizio, precisando che esso non può operare, come sostenuto invece da un diverso filone giurisprudenziale (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 14 aprile 2020 n. 2419), in presenza di vizi sostanziali, che – come accade nella specie – ricorrono quando l’opera sia in contrasto con le norme che regolano le attività edilizie.

Il Comune di Crotone, nel caso di specie, ha espressamente ritenuto – nel corpo dell’ordinanza di demolizione n. 88/2019 – che “non è ravvisabile la soddisfazione delle due condizioni che possano legittimare l’applicazione della sanzione pecuniaria in luogo della demolizione, ai sensi dell’art. 38 del T.U. “Testo Unico dell’Edilizia” D.P.R. n. 380/2001”, chiarendo quindi che il presupposto normativo del provvedimento demolitorio debba rinvenirsi nella previsione di cui all’art. 31 d.P.R. 380/2001. D’altronde pare evidente che sia la ragione dell’annullamento in autotutela del titolo edilizio, relativa ad un presupposto non meramente formale che aveva colpito patologicamente l’originario titolo, sia la rilevante consistenza delle opere per il quale detto titolo era stato rilasciato [per la “realizzazione di un campeggio articolato in 79 bungalow ad uso turistico sito in località Alfieri (…)”] costituiscono elementi che militano, obiettivamente, per la inapplicabilità della previsione di cui all’art. 38 d.P.R. 380/2001 al caso in questione.

9. – Il principale motivo di appello va dunque respinto.

Nello stesso tempo non si rinvengono, dalla lettura della sentenza di primo grado, le conseguenti criticità espresse negli ulteriori motivi di appello dedotti dal signor Scalise.

Una volta considerato legittimo l’esercizio del potere di demolizione attivato dal comune in virtù dell’art. 31 d.P.R. 380/2001, pare evidente che detto esercizio di potestà autoritativa sia caratterizzata dalla natura vincolata del potere discendente da tale norma (cfr. in argomento, ex plurimis, Cons. Stato, Ad. pl., 17 ottobre 2017 n. 9).

Conseguentemente, quanto al supposto vizio di motivazione dell’atto impugnato, deve ricordarsi che, in relazione alla motivazione di una ordinanza di demolizione adottata ai sensi dell’art. 31 d.P.R. 380/2001 la giurisprudenza di questo Consiglio è costante nell’affermare che, ribadita la natura vincolata dell’attività di repressione degli abusi edilizi, “l’ordinanza di demolizione ha natura di atto dovuto e rigorosamente vincolato, dove la repressione dell’abuso corrisponde per definizione all’interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi illecitamente alterato, con la conseguenza che essa è già dotata di un’adeguata e sufficiente motivazione, consistente nella descrizione delle opere abusive e nella constatazione della loro abusività” (cfr., tra le molte, Cons. Stato, Sez. VI, 6 febbraio 2019 n. 903).

Per la stessa ragione, considerato che l’esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce, notoriamente, manifestazione di attività amministrativa doverosa, non risultano rilevanti le supposte violazioni procedimentali che avrebbero precluso un effettiva partecipazione degli interessati al procedimento, dovendosi ribadire anche a questo proposito che l’esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce attività vincolata della pubblica amministrazione, con la conseguenza che, ai fini dell’adozione dell’ordinanza di demolizione, non è necessario l’invio della comunicazione di avvio del procedimento, non potendosi in ogni caso pervenire all’annullamento dell’atto alla stregua dell’art. 21-octies, l. 7 agosto 1990, n. 241 (cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, 7 novembre 2022 n. 9715).

Quanto all’ultimo profilo contestativo sollevato nel primo dei due ricorsi in appello qui esaminati, va ribadito che è legittima l’ordinanza demolitoria d’abuso edilizio notificata ad uno solo dei comproprietari dell’opera in ragione della natura della sanzione ripristinatoria, finalizzata al ripristino dei valori giuridici offesi dalla realizzazione dell’opera abusiva ed essendo la detta ordinanza di demolizione sufficientemente motivata con riferimento all’oggettivo riscontro dell’abusività delle opere ed alla sicura assoggettabilità di queste al regime del permesso di costruire, non essendo necessario, in tal caso, alcun ulteriore obbligo motivazionale (cfr., in argomento, Cons. Stato, Sez. VI, 28 febbraio 2022 n. 1392).

10. – Passando ora all’esame del secondo dei ricorsi in appello qui in esame, ritiene il Collegio che anch’esso non meriti accoglimento.

Come è noto l’art. 31, comma 4-bis, d.P.R. 380/2001 ai primi due periodi dispone che “l’autorità competente, constatata l’inottemperanza, irroga una sanzione amministrativa pecuniaria di importo compreso tra 2.000 euro e 20.000 euro, salva l’applicazione di altre misure e sanzioni previste da norme vigenti. La sanzione, in caso di abusi realizzati sulle aree e sugli edifici di cui al comma 2 dell’articolo 27, ivi comprese le aree soggette a rischio idrogeologico elevato o molto elevato, è sempre irrogata nella misura massima”.

Nell’ordinanza con la quale viene irrogata la sanzione pecuniaria a carico del signor Salvatore Scalise, in quanto già destinatario dell’ordinanza n. 88/2019 che disponeva la demolizione delle opere edilizie, si legge tra l’altro che:

– con verbale n. 70246 del 29 novembre 2019 la Polizia locale ha dato conto della mancata ottemperanza all’ordine demolitorio di cui sopra nei tempi ivi previsti;

– si è quindi disposto di irrogare la sanzione pecuniaria nella misura massima in quanto l’immobile rientra in un’area di cui all’art. 27 d.P.R. 380/2001, per come è previsto anche dalla delibera della giunta municipale n. 186 del 4 giugno 2019.

In via generale il presupposto dell’applicazione dell’art. 31, comma 4-bis, d.P.R. 380/2001 è costituito dall’inottemperanza all’ordinanza di demolizione, atteso che detta disposizione è finalizzata a sanzionare la mancata rimozione dell’abuso e non la sua realizzazione, visto che il presupposto è rappresentato dalla constatata inottemperanza all’ordine di demolizione. Si tratta, in particolare, di una misura coercitiva indiretta, volta ad indurre i soggetti che, potrebbero anche non avere responsabilità nella realizzazione dell’abuso, a rimuovere lo stesso, laddove ne abbiano la possibilità materiale e giuridica.

Chiarito, dunque, che la sanzione pecuniaria prevista dall’art. 31, comma 4-bis, d.P.R. 380/2001, non è autonoma ed aggiuntiva, ma viene inflitta in ragione della mera inottemperanza all’ordine di rimessione in pristino (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 3 novembre 2021, n.7347 e 3 gennaio 2019 n. 85), il solo fatto che l’abuso edilizio è stato effettivamente perpetrato, in quanto le opere sono state realizzate prive di titolo abilitativo (per essere lo stesso stato annullato in autotutela per profili sostanziali), dovendosene quindi disporre la demolizione ai sensi dell’art. 31 d.P.R. 380/2001 (per come si è più sopra articolatamente riferito) ed essendo stato accertato che l’abuso è stato realizzato in assenza del necessario titolo edilizio, tutto ciò giustifica l’irrogazione della sanzione nella misura massima di 20.000 euro prevista dalla norma suindicata.

Conseguentemente e con riferimento agli altri profili di censura dedotti con l’unico e complesso motivo di appello proposto:

– sotto un primo versante, tutte le prospettate illegittimità dell’ordinanza n. 23/2020 derivanti dalla asserita illegittimità dell’ordinanza di demolizione n. 88/2019 vengono meno, in quanto la legittimità dell’ordinanza di demolizione è stata confermata anche nel presente grado di appello;

– quanto al profilo di contestazione circa la mancata indicazione delle aree da acquisire al patrimonio del comune nell’ordinanza irrogativa della sanzione pecuniaria, per le ragioni evidenziate in via generale, la censura è del tutto inconferente rispetto al provvedimento impugnato, in quanto quest’ultimo non dispone l’acquisizione al patrimonio comunale delle aree, ma si limita a irrogare la sanzione pecuniaria prevista ex art. 31, comma 4-bis, d.P.R. 380/2001, per la mancata ottemperanza all’ordinanza di demolizione.

11. – In ragione di quanto si è sopra illustrato i due ricorsi in appello proposti ed esaminati congiuntamente, previa loro riunione, debbono essere respinti, con conseguente conferma delle due sentenze di primo grado fatte oggetto di appello.

Le spese seguono la soccombenza, in virtù del principio di cui all’art. 91 c.p.c., per come richiamato espressamente dall’art. 26, comma 1, c.p.a., di talché il signor Salvatore Scalise va condannato a rifondere le spese del grado di giudizio, con riferimento ad entrambi gli appelli, in favore del Comune di Crotone, che possono liquidarsi nella misura complessiva di € 4.000,00 (euro quattromila/00), oltre accessori come per legge. Spese compensate nei confronti della parte non costituita nel giudizio n. R.g. 1077/2021.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sugli appelli come meglio indicati in epigrafe:

1) dispone la riunione del ricorso n. R.g. 1077/2021 al ricorso n. R.g. 128/2020;

2) li respinge entrambi;

3) condanna il signor Salvatore Scalise a rifondere le spese del grado di giudizio, con riferimento ad entrambi gli appelli, in favore del Comune di Crotone, in persona del Sindaco pro tempore, che possono liquidarsi nella misura complessiva di € 4.000,00 (euro quattromila/00), oltre accessori come per legge;

4) compensa le spese del grado di appello nei confronti della parte non costituita nel giudizio n. R.g. 1077/2021.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 24 novembre 2022 con l’intervento dei magistrati:

Giancarlo Montedoro, Presidente

Alessandro Maggio, Consigliere

Stefano Toschei, Consigliere, Estensore

Davide Ponte, Consigliere

Francesco De Luca, Consigliere

 
 
L’ESTENSOREIL PRESIDENTE
Stefano ToscheiGiancarlo Montedoro
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO

pubblicato l’11 gennaio 2023

Gheppio (Falco tinnunculus)

(foto da mailing list ambientalista, M.F., S.D., archivio GrIG)

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