Il marzianino blu di Bad Axe e altri travestimenti alieni

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di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo

Il 25 aprile del 1958, tra tante testate, anche i quotidiani americani Detroit Free Press e Indipendent di Long Beach, California, fecero uno strano annuncio: nel paese di Bad Axe, capoluogo della contea di Huron, nel Michigan, dopo trenta giorni di scorribande erano stati individuati i responsabili delle apparizioni di un “marziano azzurro”.

Un alieno a zonzo

A quanto pare, era da un mese che il “marziano” andava in giro libero, il giovedì sera, per le strade di campagna della zona. Si era fatto vedere da parecchi automobilisti. Di solito saltava fuori da qualche fossato e si piazzava al centro della strada. Secondo alcuni testimoni era fosforescente e aveva in testa una specie di elmetto, altri riportarono che corresse più veloce di quanto avrebbe potuto fare qualsiasi essere umano. La sua altezza era descritta in modo contraddittorio: per alcuni era un nanerottolo di circa 70 centimetri, per altri era un individuo di una discreta statura

Alla fine, l’ufficio dello sceriffo aveva scoperto gli autori della messinscena e li aveva arrestati. Si trattava di tre giovani tra i 22 e i 23 anni. Uno di loro, Jerry Sprague, si vestiva con mutandoni e una canottiera aderente di lana, entrambi di colore azzurro, ma pitturati con vernice fosforescente. In testa portava un casco da football rivestito di plastica e lucine da albero di Natale. Completavano il tutto una maschera – anche quella azzurra – e un lungo mantello: saran stati pure marziani, ma era anche il periodo in cui i supereroi spopolavano sui fumetti americani, ed è difficile dire esattamente a quale immaginario i tre volessero attingere. 

Se Jerry Sprague aveva il ruolo di protagonista principale, gli altri due della combriccola fornivano il supporto logistico allo scherzo. Leroy Schultz e Donald Weiss trasportavano in auto il “marziano” sui luoghi delle apparizioni – in genere strade di campagna isolate – e lì andava in scena lo show. Poi lo facevano risalire rapidamente sul veicolo, dileguandosi prima che il malcapitato testimone potesse capire che cosa stesse accadendo. Nella loro confessione, ammisero che Sprague aveva dovuto impersonare l’invasore perché era il solo al quale i mutandoni calzavano bene. 

Spiegarono pure che per la loro impresa si erano ispirati a una canzone uscita da poco: “The Little Blue Man” di Betty Johnson. Il testo parla in realtà di una specie di Gremlin più che di un extraterrestre, ma si direbbe che i tre burloni avessero preferito dare al loro scherzo una “atmosfera spaziale”

L’epilogo della vicenda 

Ai tre giovanotti non andò troppo male. Dovettero presentarsi dinanzi al procuratore della contea di Huron, James Umphrey, che per loro fortuna si limitò a una ramanzina. I tre promisero di smettere. Il magistrato però li avvisò: se qualcun altro avesse presentato un esposto, avrebbe dovuto convocarli di nuovo.

James Umphrey rivelò ai giornali un particolare interessante sulla dinamica dei fatti. Le segnalazioni dello strano essere erano affluite solo in seguito all’avvistamento da parte di una persona conosciuta nella cittadina, il dirigente della locale Elkton School, James Davis. Soltanto dopo che lui ebbe “rotto il ghiaccio”, cominciarono ad arrivare i racconti di altri. Davis aveva infatti denunciato l’episodio più clamoroso di tutti, avvenuto il giovedì precedente: il “marziano blu” si era parato davanti all’autobus della scuola che riportava i bambini a casa. L’autista si era precipitato dal dirigente, che a sua volta aveva chiesto all’ufficio dello sceriffo di aprire le indagini.

Come succede sovente nel folklore contemporaneo statunitense, anche una storia di questo tipo è stata ritenuta degna di essere preservata. L’Elkton Area Historical Society Museum gli ha dedicato addirittura un’intera stanza, in cui ha trovato posto anche il costume originale indossato da Sprague nel 1958, che all’epoca era stato sequestrato dallo sceriffo. 

Il solo sopravvissuto del gruppo, Donald Weiss, ha raccontato all’inizio del 2022 i motivi di quello scherzo: lui e i suoi amici avevano da poco finito il servizio di leva, e dopo un po’ si sarebbero sposati… Quindi, semplicemente, avevano ancora un bel po’ di tempo libero e volevano divertirsi. Fu soltanto quando videro che diverse auto della polizia statale del Michigan erano arrivate per indagare sull’attacco all’autobus scolastico, che preferirono presentarsi alla polizia, la quale poi li consegnò allo sceriffo locale e al procuratore Umphrey. Weiss ha anche ricostruito il breve momento di notorietà che i tre vissero: la storia fu ripresa da molti giornali e finì persino su Life, uno settimanali più popolari nell’America del tempo. Ecco, a sinistra, come il marziano apparve su quel periodico.

Mascherarsi da marziani, anche in Italia

È plausibile che fin dagli albori del mito UFO (1947) un certo numero di avvistamenti di “extraterrestri” sia stato dovuto a iniziative come quella del trio di Bad Axe. Sulla base della casistica disponibile, è possibile che cose del genere siano successe anche in Italia, soprattutto quando i “marziani” venivano visti andare a spasso senza l’accompagnamento del disco volante, più difficile da far entrare in scena.

Ma, in Italia, come potrebbe esser venuto in mente a qualcuno di impersonare i marziani? Quali erano l’entroterra culturale e i presupposti che rendevano culturalmente praticabile una cosa del genere? Per noi ci sono almeno due vie che negli anni ‘50 portarono alcuni burloni a impersonare i nuovi personaggi del folklore, gli extraterrestri. 

La prima, che noi studiamo da qualche anno, è quella dei travestimenti da fantasmi e da altre entità soprannaturali (il diavolo, fra gli altri). Era una vera mania, dalla metà dell’Ottocento. Quando nacquero i dischi volanti la moda stava cominciando a scemare, ma tutti l’avevano ancora presente. 

Per questo, venne naturale organizzare messinscene su vasta scala, come quella che si verificò il 28 ottobre 1954 presso il campo sportivo di Tradate (Varese). Quella sera un gruppetto di giovani si travestì da marziani e mise in scena un disco volante fatto con lucine e teli di plastica, ma finì bersagliato da pomodori e verdura. 

Lo scherzo era in origine diretto a un loro conoscente, il corrispondente locale del quotidiano milanese La Notte, ma finì per sfuggire di mano. La vicenda ebbe grande risonanza (si era al culmine della colossale ondata di avvistamenti di quell’autunno, sia sulla carta stampata sia nei cinegiornali). I Carabinieri la presero male e denunciarono diverse persone per diffusione di notizie false e tendenziose alla Procura della Repubblica di Varese. 

Otto giorni prima, per una scommessa, a Modena un giovane si era travestito in modo buffo, con tuba e abiti portati al rovescio e un paiolo in mano, e così, di sera, aveva spaventato diversa gente. Subito, i giornali di mezza Italia lo avevano trasformato in uno scherzo “marziano”, dimostrando che il travestimento “anormale”, lo scherzo e i marziani erano, nella mentalità del momento, cose molto simili.

La seconda via attraverso cui alcuni probabilmente pensarono di “fare i marziani” fu quella dei travestimenti per il Carnevale. Almeno dal 1951, in occasione delle sfilate di carri allegorici, furono costruite scenografie e costumi con dischi volanti e marziani vari. Qui un esempio significativo: bambini vestiti da marziani nel febbraio del 1955, per il Carnevale di quell’anno, a Montevarchi (Arezzo). Avvenne meno di quattro mesi dopo lo scalpore suscitato dalla storia di Rosa Lotti, che in un paese vicino, Bucine, aveva raccontato il suo incontro con due “nanetti” e il loro piccolo Ufo, un “fuso” piantato nel terreno (Giuseppe Stilo, Il quinto cavaliere dell’Apocalisse – Tomo 2, UPIAR, Torino, 2016, pp. 11-41). 

L’evoluzione, tuttavia, fu con ogni probabilità assai lenta. Ci si poteva vestire da marziani già prima che accanto a loro ci fossero i dischi volanti, come accadde nel Carnevale di Biella del 1937 (Stampa Sera, 11 febbraio 1937). Ma per farlo in altri momenti dell’anno, per il semplice gusto dello scherzo, occorreva che ci fosse già la consuetudine di assumere altre sembianze fantastiche.

E questa, in effetti, c’era: era già successo con il vasto folklore della figura inglese di Spring-heeled Jack (“Giovannino tacchi a molle”), che aveva prodotto “nipoti” come i Phosphorus Jack, figure spettrali e luminose comparse in Nuova Zelanda nel 1905-6. Almeno una parte delle apparizioni, è accertato, dipendeva da burloni che si divertivano ad andare in giro mascherati, al solo scopo di spaventare i passanti. Ma era accaduto anche con i “fantasmi” australiani che, a cavallo fra il Diciannovesimo e il Ventesimo secolo, erano impersonati da insospettabili mattacchioni e piccoli criminali: notevoli i loro travestimenti, che facevano ampio uso di vernici fosforescenti e accessori kitsch come finte bare e frustini.

A metà tra figure diaboliche, fantasmi e primi eroi negativi della letteratura popolare moderna, in qualche modo erano già un po’ marziani, perché usavano gadget, vestiti e trucchi legati alla tecnica (sia chiaro, quella consona al tempo e alle aspettative del momento, non alle fantasie degli ufologi). In questo modo, finirono per diventare una cerniera fra l’immaginario tradizionale e il mondo moderno: fantasmi e marziani, egualmente sfruttati per stupire, spaventare, divertirsi alle spalle di altre persone. 

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