Il reato di bracconaggio quale furto aggravato ai danni dello Stato è procedibile d’ufficio.

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Trieste, Piazza Unità d’Italia

Pronuncia di rilevante interesse della Corte d’Appello di Trieste su un tema che ha dato luogo ad accesi dibattiti da decenni, la configurazione del reato di bracconaggio come furto aggravato ai danni dello Stato e, in particolare, la sua procedibilità d’ufficio.

La linea giurisprudenziale in tale senso si era man mano consolidata negli anni ’80 del secolo scorso con una nutrita serie di pronunce della Corte di cassazione sotto la vigenza della precedente legge n. 968/1977 e s.m.i. sulla caccia: la cattura di esemplari appartenenti a specie di fauna selvatica al di fuori delle condizioni e limiti stabiliti dalla normativa venatoria configurava il reato di furto aggravato ai danni dello Stato, a cui appartiene la fauna selvatica quale “patrimonio indisponibile” tutelato “nell’interesse della comunità nazionale” (art. 1 della legge n. 968/1977).

bracconaggio, Tordo al laccio

Anche la Corte costituzionale (sentenza n. 97/1987) aveva poi escluso ogni rapporto di specialità (ai sensi dell’art. 9 della legge n. 689/1981 e s.m.i.) fra le sanzioni amministrative di cui alla legge n. 968/1977 e le disposizioni del codice penale a tutela della proprietà.

Il legislatore del 1992, con la nuova legge n. 157/1992 e s.m.i. sulla caccia, ha inteso superare tale orientamento giurisprudenziale, infatti l’art. 30, comma 3°, afferma esplicitamente: “nei casi di cui al comma 1 (cioè per “le violazioni delle disposizioni della presente legge e delle leggi regionali”, n.d.r.) non si applicano gli articoli 624, 625 e 626 del codice penale”.

Analoga disposizione è contenuta riguardo le sanzioni amministrative nel successivo art. 31, comma 5° (“nei casi previsti dal presente articolo non si applicano gli articoli 624, 625 e 626 del codice penale”).

Tuttavia, nella legge n. 157/1992 e s.m.i. non c’è alcuna norma che esplicitamente sanzioni l’attività di caccia in assenza di licenza.

bossoli abbandonati in campagna da cacciatori

Se è vero che chi va in giro con un fucile a fini venatori senza aver conseguito la licenza di caccia in corso di validità commette il reato di porto abusivo d’arma (art. 699 cod.pen.), è vero anche che le ipotesi contemplate e sanzionate dagli artt. 30-31 della legge n. 157/1992 e s.m.i. non esauriscano tutte le situazioni in astratto verificabili, in primo luogo quella del bracconiere privo di licenza di caccia.

Le ipotesi di reato configurabili in danno del patrimonio indisponibile dello Stato tutelato “nell’interesse della comunità nazionale ed internazionale” (art. 1 della legge n. 157/1992 e s.m.i.) appaiono, quindi, quella del furto aggravato (artt. 624 – 625 cod. pen.), in caso di apprensione della fauna uccisa da parte del bracconiere privo di licenza di caccia, e del danneggiamento (art. 635 cod. pen.), in caso di mancata apprensione della fauna uccisa da parte del bracconiere privo di licenza di caccia.

Precedente emblematico è dato dalla sentenza Cass. pen., Sez. IV, 30 aprile 2020, n. 13506, che riguarda proprio il caso dell’esemplare di fauna selvatica ucciso, dopo ferimento occasionale, e prelevato da persona priva di autorizzazione alla caccia.

branco di Cervi europei (Cervus elaphus)

L’indirizzo giurisprudenziale appare costante negli ultimi anni (sentenza Sez. III, 28 gennaio 2015, n. 3930; sentenza Sez. IV, 11 agosto 2004, n. 34352), in particolare dalla sentenza Cass. pen., Sez. V, 24 maggio 2022, n. 20221, con cui è stata ribadita autorevolmente la qualifica del reato di furto aggravato (art. 625 cod. pen.) ai danni dello Stato commesso da chi abbatte o in ogni caso apprende, anche mediante uccellagione, uno o più esemplari di fauna selvatica in assenza di licenza di caccia.

La sentenza Corte App. Trieste, II Sez. Pen., 22 febbraio 2024, n. 360 ha puntualizzato la procedibilità d’ufficio nel caso del bracconaggio quale furto venatorio anche dopo l’entrata in vigore della c.d. Riforma Cartabia, in quanto “trattasi di furti commessi non solo su animali esposti per necessità e destinazione alla pubblica fede, ma anche su beni destinati a pubblica utilità, come recita la parte finale dell’art. 625 n. 7 c.p., trattandosi di fauna selvatica autoctona destinata alla fruibilità collettiva, a tutela della conservazione dell’ambiente naturale in tutte le sue componenti, vegetale e animale in primis”.

Un indirizzo giurisprudenziale quello del bracconaggio quale furto venatorio che si consolida, riprende consistenza e forza anche con l’attuale quadro normativo e che fa ben sperare per una più efficace tutela della fauna selvatica, viste le sanzioni penali più incisive.

Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)

Cervo europeo (Cervus elaphus)

dalla Rivista telematica di diritto ambientale Lexambiente, 18 marzo 2024

Corte di Appello di Trieste Sez. Pen. n. 360 del 22 febbraio 2024
Caccia e animali. Procedibilità di ufficio del furto venatorio.   

Il “furto venatorio” deve ritenersi tuttora procedibile di ufficio trattandosi di furto commesso non solo su animali esposti per necessità e destinazione alla pubblica fede, ma anche su beni destinati a pubblica utilità, come recita la parte finale dell’art. 625 n. 7 c.p., trattandosi di fauna selvatica autoctona destinata alla fruibilità collettiva, a tutela della conservazione dell’ambiente naturale in tutte le sue componenti, vegetale e animale in primis.

N. 718/2023 App. N. __________ Reg. Sent.

N. 1797/2016 RGNR Udine Udienza 22.02.2024

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte di Appello, Seconda Sezione penale, in persona dei signori magistrati:

Dott.ssa Mariagrazia BALLETTI – Presidente

Dott.ssa Monica BIASUTTI – Consigliere relatore

Dott.ssa Alessandra BURRA -Consigliere

all’esito dell’udienza camerale partecipata del 22.02.2024, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel procedimento penale a carico di:

DD, nato a omissis il omissis, con domicilio dichiarato in omissis – assente;

difeso di fiducia dall’avv. Gabriele BANO del Foro di Udine;

TG, nato a omissis il omissis, assente, con domicilio eletto presso lo studio del difensore di fiducia avv. Francesco LONGO del Foro di Pordenone

IMPUTATI

Come da fogli allegati

***

APPELLANTI: i difensori di fiducia degli imputati;

avverso la sentenza n. 1827/2022 del Tribunale di Udine in composizione monocratica che, all’esito di giudizio ordinario, visti gli artt. 533-535 c.p.p. ha ritenuto DD responsabile dei reati ascritti ai capi A, B, G, I, J, O, P, R, T, U di imputazione, e TG responsabile dell’unico reato ascrittogli al capo R, condannando DB, con le generiche e la continuazione, alla pena di anni 2 di reclusione ed euro 900 di multa, pena detentiva sospesa, e DB alla pena di mesi 4 di reclusione, sospesa, oltre entrambi al pagamento delle spese processuali e alle statuizioni civili.

Conclusioni del Procuratore Generale: conferma della sentenza inflitta in primo grado per l’imputato T; per l’imputato DB, non doversi procedere per difetto di querela per i capi O) e T); conferma della condanna inflitta in primo grado, previa riduzione della pena di un mese di reclusione e 50 euro di multa per i reati improcedibili e prescritti.

Conclusioni degli imputati:l’avv. BANO per l’imputato DBsi riporta alle conclusioni dedotte in appello e nei motivi aggiunti; l’avv. CAZZORZI, in sost. dell’avv. LONGO, si riporta alle conclusioni dedotte nell’atto di appello.

Conclusioni delle parti civili:si riportano alle conclusioni scritte depositate in udienza, insieme alla nota spese.

Svolgimento del processo

1.Con la sentenza appellata il giudice monocratico del Tribunale di Udine ha ritenuto DB responsabile dell’uccisione di un capriolo (art. 544 bis c.p. sub B) commesso il 16 marzo 2016 mediante uso di carabina di fabbricazione austriaca oggetto di detenzione e porto illegale (art. 2-4-7 L. 895/67 sub A), arma sequestratagli il 16 marzo 2016, provento del reato di illegale introduzione nel territorio nazionale (art. 648 c.p. sub G).

Ha ritenuto altresì l’imputato colpevole di ulteriori precedenti uccisioni di animali quali cervi, caprioli, camosci, stambecchi, commessi tra il 4 gennaio 2015 e il 22 febbraio 2016 (art. 544 bis c.p. sub capo I).

Un tanto era emerso dall’analisi delle foto e dei messaggi rinvenuti sui due cellulari sequestrati all’imputato in occasione dell’intervento della Forestale del 16 marzo 2016. In particolare vi erano numerose foto, riportanti la data e l’orario nonché le coordinate geografiche del luogo ove erano state scattate, che riprendevano DB vicino alla selvaggina abbattuta, esibendo le prede, con messaggi di commento a tali immagini. Si trattava di catture di fauna selvatica avvenuti taluni in periodo di chiusura di caccia, o all’interno di aree protette, o ancora ai danni di specie protette quali lo stambecco; foto spesso accompagnata e da messaggi con cui il DB commentava l’esito della battuta della caccia di frodo.

Alcune foto riprendevano invece il danneggiamento di una altana, struttura lignea di appostamento di proprietà privata, esposta alla pubblica fede (art. 635 sub capo J).

Il 22 ottobre 2016 la p.g. sequestrava a DB due ulteriori cellulari, che evidentemente avevano sostituito quelli sequestratigli il 16 marzo 2016, al cui interno venivano rinvenute ulteriori foto e messaggi comprovanti successive uccisioni di animali, avvenute in assenza della licenza di caccia, e dunque in concorso con il reato di furto, aggravato perché commesso ai danni di beni esposti alla pubblica fede. Anche per tali reati di cui agli artt. 544 bis e 624.625 n. 7 c.p., commessi il 14 settembre e l’8 ottobre 2016 (capi O e P), è intervenuta condanna.

L’imputato DB veniva poi ritenuto responsabile, in questo unico caso in concorso anche con DB, in ordine all’uccisione di un cervo avvenuta nell’area protetta del Parco Nazionale delle Prealpi Giulie il 25 settembre 2016 (art. 544 bis c.p., sub capo R).

Infine DB veniva condannato per il furto e l’uccisione di un camoscio avvenuta l’8 ottobre 2016 (capi T e U).

Venivano invece dichiarati prescritti tutti gli illeciti contravvenzionali (violazioni alla legge 157/1992 in materia di attività venatoria, art. 4 L. 110/574, art. 703 c.p.), oltre a furti e uccisioni di fauna selvatica risalenti al 2013.

Per quanto riguarda le statuizioni civili, vi è stata condanna generica al risarcimento dei danni, senza provvisionali.

Le spese legali delle parti civili sono state poste a carico del solo imputato DB, compensandole integralmente invece nei confronti di DB considerate le congrue offerte risarcitorie di costui, non accettate dalle parti civili.

2.Hanno proposto tempestivo appello entrambi gli imputati, la difesa T chiedendo l’assoluzione per insussistenza dell’unico reato ascrittogli al capo R), la difesa DB evidenziando altresì l’intervenuta prescrizione di cinque dei dieci reati contestatigli, e dolendosi in punto statuizioni civili.

3. Pervenuta l’impugnazione, veniva emesso decreto di citazione a giudizio per l’udienza del 22 febbraio 2024, che si svolgeva in presenza delle parti. Sentite pertanto le conclusioni, e all’esito della camera di consiglio, la Corte pronunciava la presente sentenza mediante lettura del dispositivo.

Ragioni della decisione

4.1 Preliminarmente occorre affrontare la questione inerente la prescrizione dei reati (motivo impugnazione DB).

In effetti risultano estinti per prescrizione i reati ascritti a DB al capo I (art. 544 bis c.p., limitatamente ai fatti risalenti al 2015), e J (art. 635 c.p. del 13.01.2015).

Non altrettanto può dirsi per i restanti reati commessi nel 2016, dovendosi tener conto delle sospensioni della prescrizione verificatisi nel corso del processo di primo grado, per i plurimi rinvii avvenuti sia causa emergenza Covid sia per impedimenti dei difensori.

Segnatamente, come risulta a pag. 20 della impugnata sentenza, il processo di primo grado ha subito una serie di differimenti con conseguente sospensione della prescrizione: rinvio di 64 giorni causa emergenza Covid, e tre successivi rinvii per impedimenti dei difensori, il primo di 30 giorni e gli altri due da ricondurre nel termine massimo di 60 giorni ciascuno. Dunque 150 giorni complessivi, pari a 5 mesi, per rinvii chiesti dai difensori, e altri 2 mesi e quattro giorni per sospensione Covid, con un totale di mesi 7 e giorni 4 che dovranno sommarsi ai sette anni e mezzo, prolungando così la prescrizione ad anni 8 mesi 1 e giorni 4.

Dunque, i reati commessi l’11 marzo 2016 (capo A detenzione illegale di arma comune da sparo, e capo B uccisione di animali), si prescriveranno il 15 aprile 2024.

Il capo I limitatamente ai fatti commessi dal 22.01.2016 si prescriverà a decorrere dal 26.02.2024.

I capi O e P si prescriveranno il 17.10.24 e 12.11.24; il capo R il 29.10.24; i capi T e U il 12.11.24

Un discorso a parte merita il reato di ricettazione di arma di cui al capo G), peraltro ritenuto più grave fra tutti i reati in continuazione.

L’imputazione indica il reato come “accertato il 11.3.2016” (data della perquisizione e sequestro della carabina effettuati a carico dell’imputato), ma come correttamente rilevato dall’appellante non può ritenersi questa la data di commissione del reato, che si perfeziona all’atto dell’acquisto o comunque del ricevimento del bene di provenienza delittuosa.

Sostiene la difesa che poiché la carabina in questione, come appurato nel corso del processo, era stata acquistata in un’armeria in Austria nel 1990 da tale BA di Pontebba-UD (vedasi la nota del Centro di Cooperazione di Polizia di Thorl-Maglern, dimessa dalla difesa all’udienza del 10.10.22), da costui introdotta illegalmente in Italia senza autorizzazione il 12 dicembre 2011 (reato presupposto di cui all’art. 1 della L. 895/67 in relazione all’art. 7) ebbene, non essendo noto quando il B o chi per lui abbia ceduto la carabina al DB, o meglio quando l’imputato sia venuto in possesso dell’arma, ne deriva che in omaggio al principio in dubio pro reo, la ricettazione deve considerarsi commessa in prossimità temporale con il reato presupposto, ossia appunto nel 2011, da allora essendo ampiamente decorso il termine massimo di prescrizione di anni 10 (8 anni aumentato di un quarto); vedasi tra le tante Cass. sent. n. 44322/2021..

Si impone pertanto una declaratoria di non doversi procedere per prescrizione anche del reato di cui all’art. 648 c.p. contestato al capo G).

Non vi sono invece i presupposti per una pronuncia di assoluzione nel merito, ai sensi dell’art. 129 co. 2 c.p.p., richiamandosi sul punto le condivisibili argomentazioni spese dal giudice di prime cure nella sentenza di primo grado, qui da intendersi richiamate in punto sussistenza dei reati nei loro estremi oggettivo e soggettivo. Quanto poi al danneggiamento dell’altana, stante la contestata aggravante del fatto commesso su cosa esposta alla pubblica fede, il reato era ed è tuttora anche post riforma Cartabia procedibile d’ufficio, per cui inapplicabile l’art. 162 ter c.p.

4.2 Fondato appare l’appello proposto nell’interesse dell’imputato DB.

L’imputato ricordiamo è stato condannato per il solo capo R), ossia per aver partecipato con il DB all’uccisione di un cervo avvenuta il 25 settembre 2016 secondo l’accusa all’interno del Parco Nazionale delle Prealpi Giulie.

Il principale motivo di gravame consiste nel ribadire la versione fornita dall’imputato in sede di esame dibattimentale, secondo cui in realtà il ferimento del cervo sarebbe avvenuto al di fuori dell’area protetta, nel parco essendo avvenuto solo il recupero dell’animale ormai morto.

Il Giudice di primo grado non ha dato credito a tale resoconto poiché ha ritenuto inverosimile che in mezz’ora appena (dal ferimento del cervo collocato da T verso le ore 7, al successivo raggiungimento del sito ove l’animale era deceduto, con la foto delle ore 07.23 che riprende i due imputati accanto all’animale abbattuto all’interno dell’area protetta), ebbene non era plausibile che in tale breve arco di tempo “DB abbia seguito le tracce del cervo, lo abbia reperito già morto, abbia contattato T per chiedere aiuto nel trasportarlo, e che T, dopo essersi recato a posare il fucile all’interno dell’immobile di sua proprietà, abbia raggiunto DB all’interno del Parco”, ritenendo altresì improbabile che un’animale ferito possa percorrere una tale distanza, dall’esterno all’interno del Parco.

Replica la difesa che anzitutto T ha riferito che l’animale era stato colpito “verso le 7, 7 meno qualcosa”, e che comunque i tempi erano assolutamente compatibili con la versione difensiva, stante la breve distanza di circa 500 metri tra luogo del ferimento e luogo del recupero (anche il teste del P.M. ha riferito che la foto delle ore 07.32 risultava scattata a circa 400 metri dal confine del Parco, contermine alla riserva di caccia di Moggio Udinese ove era iscritto il T); distanza percorribile da cacciatori allenati in pochi minuti. Prova ne sia che per compiere l’altro tragitto, ben più lungo e faticoso, seguito dai due prevenuti per trascinare il cervo a valle, sino ai margini della strada comunale che fungeva da ulteriore confine esterno dell’area protetta, ove veniva caricato su autocarro, ebbene per trascinare si ripete lungo tale tragitto un animale imponente del peso di ben 100-150 chili, i due imputati avevano impiegato non più di 55 minuti (come desumibile dalla foto delle ore 08.27 scattata sul ciglio strada).

Né era sostenibile la tesi che un cervo ferito non potesse percorrere una tale distanza di circa 500 metri, contra avendo il T riferito di avere colpito l’animale al fianco, dunque ben potendo, specie se attinto non al torace e ad organi vitali bensì all’addome, percorrere distanze anche maggiori.

In ogni caso era stato lo stesso teste dell’accusa, Maresciallo TC del Corpo Forestale Regionale, ad ammettere che non era possibile stabilire il punto ove il cervo era stato colpito, vale a dire se all’interno o all’esterno del Parco Nazionale delle Prealpi Giulie.

Sottolinea inoltre parte appellante il corretto modo di procedere del T, il quale una volta colpito a morte il cervo all’interno della riserva di caccia di Moggio Udinese, confinante con il Parco, aveva provveduto a registrare l’abbattimento sul suo libretto, e ad avvertire telefonicamente nell’immediatezza uno dei responsabili della riserva, per informarlo appunto che era stato abbattuto l’ultimo cervo per il quale era ancora aperta la caccia, sì da avvertire gli altri cacciatori della chiusura della caccia di selezione.

Ordunque, ritiene questa Corte che le argomentazioni difensive siano condivisibili, nella parte in cui evidenziano l’assenza di prove certe atte a dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, il luogo esatto ove è avvenuto il ferimento del cervo, se all’interno della riserva di caccia ovvero all’interno della contermine area protetta.

Al di là delle supposizioni sulle tempistiche impiegate da T per riporre l’arma nel capanno a sua disposizione, e raggiungere DB all’interno del Parco (la planimetria dei luoghi depone peraltro per un percorso nel bosco solo nell’ultimo tratto scosceso, con una minima differenza di altitudine), ad ogni buon conto resta il fatto che, essendo anche tale episodio del 25 settembre 2016 emerso solo ex post dall’analisi dei cellulari sequestrati il 22 ottobre 2016, non si dispongono di accertamenti nell’immediato, ad esempio per localizzare le tracce di sangue, del ferimento e della fuga dell’animale, che possano suffragare una tesi piuttosto dell’altra. Così come non è dato sapere in quale punto esatto del corpo l’animale è stato colpito, e dunque per quanto possa avere resistito prima di cedere a terra.

Decisiva risulta del resto la deposizione fornita dal principale teste dell’accusa, autore delle articolate attività di indagini, Mar. T: “Non possiamo dire che sia stato abbattuto lì, certo” (p. 13 trascrizioni del 06.04.2022).

Dunque, i dubbi avanzati dal giudice di prime cure in ordine all’attendibilità della versione resa dall’imputato T non si basano su dati certi e incontrovertibili, in grado di smentire quanto dichiarato, il che impone l’assoluzione di entrambi i prevenuti da tale capo d’accusa, sia pure con la formula dell’insufficienza di prove.

Rimangono assorbiti in tale pronuncia tutti gli ulteriori motivi di appello della difesa T, in particolare caducandosi anche le statuizioni civili a suo carico.

4.3 Infondato invece il motivo d’appello DB, secondo cui le foto estrapolate dai cellulari non varrebbero a provare gli abbattimenti contestati ai capi I, O, P, R, T, U.

Sostiene la difesa che non è dato sapere se tali foto siano state scattate dal DB, o da altri e poi inviategli via Whatsapp, e che lo stesso giudice di primo grado ha assolto l’imputato dal capo N) non ritenendo sufficientemente attendibili le risultanze fotografiche.

In realtà, l’assoluzione dal capo N) è stata motivata poiché nelle foto del 2014, nelle date di cui al richiamato capo M), a differenza delle altre immagini a carico del prevenuto, “gli animali non sono ritratti in luogo prossimo a quello dell’abbattimento”, ma ad esempio mentre vengono macellati. In quel caso dunque effettivamente non era possibile stabilire con certezza dove e quando fosse avvenuta la cattura (se in zona o periodo di divieto di caccia).

Irrilevante poi il fatto che le foto, relative agli abbattimenti del 2016, siano state scattate con uno dei cellulari del DB, da lui stesso in modalità selfie o da chi era con lui in quel momento, ovvero siano state effettuate con altro apparecchio e poi inviategli, avendo comunque impresso l’imputato in atteggiamento di caccia, con la preda non solo in una certa data e ora, ma anche in un esatto punto geografico con longitudine latitudine e altitudine, essendo riusciti gli inquirenti, peraltro conoscitori dei posti, ad individuare con esattezza anche il luogo dei fatti, scattando a loro volta delle foto che messe a confronto documentano l’esattezza della localizzazione.

L’imputato dunque dovrà rispondere di tali uccisioni e furti di fauna selvatica, richiamandosi per il resto alla dettagliata ricostruzione dei fatti operata dal giudice di prime cure.

4.4 Si pone, ed è stato affrontato dalle parti in sede di discussione, la questione relativa alla procedibilità, in assenza di querela, dei reati di furto venatorio (capi O e T).

Invero i capi di imputazione in questione citano l’art. 625 n. 7 c.p. con riferimento all’esposizione alla pubblica fede, essendo dunque all’epoca il reato procedibile d’ufficio; non così in seguito alla riforma Cartabia di cui al D. Lgs. 150/2022 che ha introdotto la nuova regola della procedibilità a querela, restando procedibili d’ufficio solo le ulteriori ipotesi contemplate dal n. 7 dell’art. 625 c.p., che sostanzialmente attengono a furti in danno del patrimonio e di interessi pubblici.

Ma proprio a tale proposito, posto che i capi d’accusa indicano espressamente che si tratta di furti commessi ai danni di animali facenti parte del “patrimonio indisponibile dello Stato”, è chiara la natura pubblicistica dell’interesse giuridico protetto. Segnatamente, come correttamente argomentato dal difensore delle parti civili WWF Italia e Legambiente FVG, trattasi di furti commessi non solo su animali esposti per necessità e destinazione alla pubblica fede, ma anche su beni destinati a pubblica utilità, come recita la parte finale dell’art. 625 n. 7 c.p., trattandosi di fauna selvatica autoctona destinata alla fruibilità collettiva, a tutela della conservazione dell’ambiente naturale in tutte le sue componenti, vegetale e animale in primis. Sulla destinazione a pubblica utilità degli alberi di un parco naturalistico, o della flora demaniale, si è già espressa del resto la Cassazione (sent. n. 694 del 26.10.2021), che pure ha ravvisato la doppia aggravante del 625 n. 7 c.p. nel caso di furto di sabbia o ghiaia dal lido marino e dal letto dei fiumi, intaccando beni messi a disposizione della collettività e a loro beneficio.

L’aggravante in questione risulta dunque implicitamente contestata ai capi O e T, sia per il corretto richiamo alla norma di riferimento (625 n. 7 c.p.), sia soprattutto nella parte descrittiva dell’imputazione facendo riferimento a casi di furto venatorio, commesso su beni esposti a pubblica fede e destinati a pubblica utilità.

Si ravvisa dunque la duplice aggravante, con conseguente procedibilità d’ufficio dei reati de quo.

4.5 Infondato anche il motivo relativo alla condanna generica al risarcimento dei danni a favore delle parti civili.

La difesa DB evidenzia che prima della dichiarazione di apertura del dibattimento l’imputato aveva offerto somme a titolo risarcitorio sia alle due Riserve di Caccia di Pontebba e di Venzone, sia a favore delle due associazioni Legambiente Friuli Venezia Giulia e WWF Italia, accettate dalle predette parti civili a titolo di acconto, ma che il Giudice di primo grado ha ritenuto congrue come definite in sentenza, tanto da compensare integralmente le spese legali. Dunque, ad avviso dell’appellante, le somme offerte dall’imputato alle parti civili, in quanto giudicate congrue, dovevano ritenersi integralmente sattisfative, a tacitazione di ogni ulteriore pretesa risarcitoria.

Il motivo è infondato poichè il giudizio di congruità espresso dal primo giudice risulta formulato con specifico e unico riferimento alla questione della condanna alla rifusione delle spese di costituzione e rappresentanza sostenute dalle parti civili (considerando la mancata accettazione delle congrue offerte risarcitorie giusta causa per la compensazione). Tale giudizio dunque non attiene all’an e al quantum del risarcimento dovuto, che il giudice a quo ha correttamente rimesso alla competente sede civilistica.

4.6 Le doglianze in punto trattamento sanzionatorio vengono trattate in uno con la rideterminazione della pena per i reati residuati dalla presente pronuncia.

Confermandosi invero la condanna per il capi A), B), I) limitatamente ai fatti commessi nel 2016, O), P), T), U), confermando la ravvisata continuazione tra i predetti reati, si ritiene più grave in concreto il furto aggravato commesso l’8 ottobre 2016, di cui al capo T), in quanto ultimo episodio di ennesima reiterazione di condotta illecita, avente ad oggetto peraltro la cattura di un camoscio specie protetta.

Si concedono all’imputato, come già fatto dal primo giudice, le attenuanti generiche, in giudizio di equivalenza con le ravvisate aggravanti dell’art. 625 n. 7 c.p. Escluso un giudizio di prevalenza stante la gravità dei fatti, reiterati anche dopo il controllo dell’11 marzo 2016, persistendo con particolare intensità del dolo nella condotta illecita.

Non è applicabile l’ulteriore attenuante dell’art. 62 n. 6 c.p. non essendovi stato un risarcimento integrale.

Vista la cornice edittale dell’art. 624 c.p. (reclusione da 6 mesi a 3 anni e multa da 154 a 516 euro) si stima adeguata ai sensi dell’art. 133 c.p. la pena base di mesi 6 e giorni 24 di reclusione ed euro 172 di multa (il minimo scarto dal minimo edittale giustificato dalla già evidenziata gravità del fatto).

Gli aumenti ex art. 81 co. 2 per i reati satellite non potranno avvenire in misura superiore a quella disposta dal giudice di primo grado, il quale peraltro non ha distinto i singoli aumenti, applicando un unico aumento di mesi 8 di reclusione ed euro 300 di multa, che diviso per i 9 reati all’epoca in continuazione corrisponde a 26 giorni di reclusione ed euro 38 di multa per ciascun reato.

Anche in questa sede dunque, per ciascuno dei 6 delitti qui in continuazione, l’aumento di pena viene quantificato in 156 giorni, ossia 5 mesi e 6 giorni di reclusione, ed euro 228 euro di multa, per una pena finale di anni 1 di reclusione ed euro 400 di multa.

Si conferma il beneficio di cui all’art. 163 c.p., l’imputato risultando tuttora incensurato.

Il deposito della motivazione, stante il carico del ruolo e la complessità, viene riservato in giorni 60.

PQM

Visti gli artt. 605 e 592 c.p.p.

in parziale riforma

della sentenza emessa il 26 ottobre 2022 dal Tribunale di Udine appellata da DB e DB

assolve

DB dal reato a lui ascritto perché il fatto non sussiste.

assolve

DB dal reato sub R) perché il fatto non sussiste

dichiara

non doversi procedere nei confronti di DB in ordine al reato di ricettazione sub G), nonché al reato di uccisione di animali sub I), limitatamente ai fatti commessi fino a tutto il 2015, ed in ordine al danneggiamento sub J) essendo i reati estinti per intervenuta prescrizione.

Ridetermina la pena

a carico di DB per i capi A), B), I) limitatamente ai fatti commessi nel 2016, O), P), T), U), riconosciuta la continuazione e ritenuto più grave il furto aggravato sub T), ritenute le già concesse circostanze attenuanti generiche equivalenti alle ritenute aggravanti, nella misura di anni 1 di reclusione ed euro 400 di multa; pena sospesa.

Conferma per il resto l’impugnata sentenza.

Condanna DB alla rifusione delle spese delle parti civili Riserva di caccia di Pontebba e Riserva di caccia di Venzone che liquida in complessivi euro 2457 oltre spese generali (15%) iva e cpa.

Condanna DB alla rifusione delle spese delle parti civili WWF Italia e Legambiente FVG che liquida in complessivi euro 2457 oltre spese generali (15%) iva e cpa

Revoca le statuizioni civili a favore di Parco naturale delle Prealpi Giulie

Visto l’art. 544 comma 3 c.p.p.,

riserva il deposito della motivazione entro il termine di giorni sessanta.

Così deciso a Trieste il 22.02.2024

Il Consigliere estensore Il Presidente

dott.ssa Monica Biasutti dott.ssa Mariagrazia Balletti

Roma, Corte di cassazione

(foto P.F., S.D., archivio GrIG)

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