Il “silenzio assenso” nella tutela del paesaggio.

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foglie nel bosco

Pronuncia di grande interesse in tema di silenzio – assenso nell’ambito delle competenze sulla tutela del paesaggio.

La sentenza Cons. Stato, Sez. VII, 2 febbraio 2024, n. 1093 pare aver definitivamente superato le oscillazioni giurisprudenziali degli ultimi anni che distinguevano fra rapporti intercorrenti fra amministrazioni pubbliche (es. Ministero/Soprintendenza – Regione/Comune subdelegato) e la restante parte delle fattispecie concrete.

Osserva il Consiglio di Stato che deve ritenersi “definitivamente formato il silenzio assenso sulla richiesta di parere obbligatorio formulata ai sensi dell’art. 167, comma 5, D.lgs. n. 42/2004” quando sia trascorso “il prescritto termine di 90 giorni” e l’ipotesi deve ritenersi estendibile anche al parere che la Soprintendenza competente deve rendere nell’ambito delle conferenze di servizi di cui all’art. 17 bis della legge n. 241/1990 e s.m.i.

Un quadro normativo e interpretativo che dovrebbe spingere organi centrali e periferici del Ministero della Cultura a una maggiore presenza nei luoghi e nei momenti delle decisioni e delle analisi poste alla tutela delle parti più meritevoli

Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)

gemme, acqua, bosco

dalla Rivista telematica di diritto ambientale Lexambiente, 27 febbraio 2024

Consiglio di Stato Sez. VII  n. 1093 del 2 febbraio 2024

Beni ambientali. Il silenzio assenso previsto dall’art. 17 bis l. 241 del 1990 è applicabile anche al parere della Soprintendenza.

Il meccanismo del silenzio assenso orizzontale previsto dall’art. 17-bis della l. n. 241 del 1990 va esteso anche al parere da rendersi da parte della Soprintendenza in seno a una conferenza di servizi indetta nell’ambito della disciplina del procedimento di autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146, d.lgs. n. 42 del 2004.

N. 01093/2024 REG.PROV.COLL.

N. 10617/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10617 del 2019, proposto dalla S.r.l. Antonio Valerio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Gianluca Pescolla, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

il Comune di Monteroduni, la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del Molise e la Regione Molise, non costituiti in giudizio;
il Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise (Sezione Prima) n. 179/2019

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero per i beni e le attività culturali;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.;

Relatore all’udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del giorno 15 dicembre 2023 il Cons. Daniela Di Carlo e udito per la parte appellante l’avvocato Andrea Latessa, su delega dell’avvocato Gianluca Pescolla;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. La società appellante ha impugnato la sentenza con cui il Tar del Molise ha in parte dichiarato improcedibile, per la restante parte respingendo, il ricorso integrato da motivi aggiunti proposto per:

1) accertare e dichiarare l’illegittimità del silenzio serbato dalle Amministrazioni resistenti e il conseguente obbligo di provvedere sull’istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica inoltrata dalla società ricorrente in data 11 maggio 2017;

2) accertare e dichiarare, ai sensi dell’art. 31, comma 3, c.p.a., la fondatezza della pretesa oggetto dell’istanza in parola e, dunque, l’obbligo delle Amministrazioni resistenti di rilasciare il richiesto accertamento di compatibilità paesaggistica, previo accertamento del silenzio assenso formatosi sull’istanza in conseguenza dell’inerzia serbata dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del Molise;

3) condannare le Amministrazioni resistenti a provvedere – nel termine di dieci giorni o in quello diverso ritenuto di giustizia – sull’istanza della società ricorrente e, quindi, a concludere il procedimento rilasciando il richiesto accertamento di compatibilità paesaggistica, sulla base della istanza del 11 maggio 2017.

2. L’appello deduce:

I) Errores in iudicando: erroneità della sentenza per manifesta illegittimità – violazione di legge – violazione e falsa applicazione dell’art. 17-bis della l. 241/1990 – violazione dell’art. 3 della l. 7 agosto 2015 n. 124 – violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 10-bis e 21-nonies, della l. 241/1990 – violazione dell’art. 167, d.lgs. n. 42/2004 – difetto di motivazione – eccesso di potere.

La società appellante sostiene che, sulla base del summenzionato quadro normativo di riferimento, la sentenza sarebbe erronea nella parte in cui, rigettando i primi motivi aggiunti, ha motivato che “Quanto al primo motivo si osserva che nel caso di specie la Soprintendenza ha comunicato alla Regione Molise il preavviso di rigetto, corredato delle relative motivazioni, con nota pec del 29.01.2017, e quindi entro il termine di novanta giorni dalla ricezione della richiesta da parte dell’Amministrazione regionale (15.06.2017), la qual cosa, nei rapporti interni tra le amministrazioni procedenti, vale a formalizzare la volontà dissenziente dell’ente titolare della funzione consultiva e quindi impedisce la formazione del provvedimento di assenso tacito ai sensi dell’art. 17 bis, co. 3, l. 241/1990”.

II) Errores in iudicando: intrinseca illogicità della motivazione – violazione e falsa applicazione degli artt. 21 e 167, d.lgs. n. 42/2004 – violazione del decreto di vincolo n. 56/2016 – eccesso di potere per errore nei presupposti di fatto e di diritto – difetto di istruttoria – sviamento di potere – irragionevolezza – omessa o insufficiente motivazione – erroneità, illogicità, incoerenza, arbitrarietà, contraddittorietà e insufficienza della motivazione – travisamento dei fatti.

La sentenza impugnata sarebbe errata anche perché ha trascurato di considerare che la Soprintendenza ha adottato il proprio parere negativo ai sensi dell’art. 167, d.lgs. n. 42/2004, sulla base della circostanza che anche nella parte superficiale dell’area erano presenti reperti archeologici, mentre non ha effettuato alcuna concreta valutazione sotto il profilo paesaggistico.

3. Il Ministero per i beni e le attività culturali si è costituito in giudizio.

4. All’udienza straordinaria del 15 dicembre 2023, la causa è passata in decisione.

5. L’appello è fondato.

6. In fatto, la vicenda è chiara.

La s.r.l. Antonio Valerio ha stipulato con la s.r.l. Valle un contratto di affitto di fondo rustico avente ad oggetto un terreno agricolo sito nel Comune di Monteroduni e un contratto di locazione di un immobile sito sempre nel medesimo Comune, al fine di esercitare un’impresa vitivinicola.

Il fondo agricolo è sito, in particolare, nella località Guado San Nicola, e ricade in un’area soggetta a vincolo paesaggistico, in virtù del piano territoriale di area vasta (PTPAAV).

Una porzione di tale terreno è gravata, altresì, da un vincolo archeologico, imposto dalla Commissione Regionale per il Patrimonio Culturale con decreto n. 56/2016, in forza del quale “nelle aree perimetrate e oggetto di tutela diretta in cui sono rinvenuti nel sottosuolo e in dispersione materiale archeologici di epoca paleolitica, le arature ed i lavori di movimento terra anche di scopi agricoli, non dovranno essere superiori a 70 cm di profondità. Qualora fosse necessario effettuare interventi che richiedano una profondità maggiore dei 70 cm questi dovranno essere sottoposti a preventiva valutazione da parte dei competenti uffici preposti alla tutela del patrimonio culturale dell’art. 21 del D.Lgs. 42/2004 e effettuati, se autorizzati, con assistenza archeologica al fine di documentare e recuperare eventuali reperti”.

Al fine di poter realizzare la propria attività produttiva, la società appellante ha dunque presentato, in data 28 novembre 2016, una richiesta di permesso di costruire per la ristrutturazione del casale e per la realizzazione di nuovi volumi funzionali allo svolgimento dell’attività produttiva, per la sistemazione esterna e la recinzione dell’intero lotto finalizzata all’impianto di un vigneto.

In data 20 aprile 2017, la Soprintendenza rendeva il proprio parere, esprimendosi favorevolmente con riguardo alla ristrutturazione del casale mentre, con riferimento alla realizzazione di nuovi volumi, rendeva parere negativo.

Conseguentemente, la società appellante chiedeva all’Amministrazione di stralciare dalla richiesta di permesso di costruire la realizzazione dei lavori afferenti i nuovi volumi non autorizzati dalla Soprintendenza.

Attesa però la necessità di procedere all’impianto del vigneto, con nota del 16 febbraio 2017 la società appellante comunicava al Comune di Monteroduni e al Corpo Forestale dello Stato l’avvio dello svolgimento dell’attività vitivinicola a decorrere dal successivo 20 febbraio. Allo stesso tempo, apponeva una recinzione provvisoria nel rispetto delle prescrizioni imposte dal succitato decreto n. 56/2016. In particolare, la recinzione provvisoria consisteva nell’apposizione di una rete metallica sorretta da paletti conficcati nel terreno ad una profondità di 40-50 cm (il vincolo archeologico prevedeva la profondità massima di 70 cm) e, in prossimità degli accessi, venivano interrati dei piccoli cordoli con piattaforme a raso per la futura apposizione di cancelli, sempre nel rispetto del suddetto limite.

È poi accaduto che, malgrado i lavori fossero stati già interamente eseguiti, con nota del 28 marzo 2017 la Soprintendenza disponeva la sospensione dei lavori e si riservava l’adozione di futuri provvedimenti, mai peraltro emanati.

Il successivo 5 aprile anche il Comune di Monteroduni adottava analoga ordinanza di sospensione dei lavori, motivando che i lavori erano “assoggettabili al solo regime della denuncia di inizio attività di cui all’art. 22 e in seguito al regime della segnalazione certificata di inizio attività di cui all’art. 19 della legge n. 241/1990 con la relativa conseguenza che in casi di opere abusive si provveda unicamente alla sanzione pecuniaria e non alla demolizione e quindi applicabile l’art. 37 commi 1 e 6 del DPR 380/2001”, e che “per quanto previsto dal combinato disposto degli artt. 167 comma 4 e 5 e l’art. 146 del D.Lgs. 42/2004 può essere presentata richiesta di rilascio di autorizzazione paesaggistica in sanatoria”.

In data 11 maggio 2017, la società appellante presentava dunque una SCIA in sanatoria con richiesta di accertamento di compatibilità paesaggistica ai sensi dell’art. 167, D.lgs. n. 42/2004, avente ad oggetto le opere così descritte: “- cordolo in cemento armato interrato con estradosso per alloggiamento di cancello di accesso su strada pubblica in località Guado San Nicola ricadente sul Foglio 8, p.lla 349, delle dimensioni in pianta di 12,20 x 0,50 mt, con altezza di 40 cm; – cordolo in cemento armato interrato con estradosso a raso per alloggiamento di cancello di accesso su strada pubblica Veticalone ricadente sul Foglio 3, p.lla 264, delle dimensioni in pianta di 5,50 x 0,55 mt, con altezza di 40 cm; – cordolo ad “L” in cemento armato interrato con estradosso a raso di dimensioni in pianta 2 + 5 mt x 0,55 con altezza di 30 cm e cordolo interrato con estradosso a raso per apertura di cancello di accesso su strada comunale Veticalone, ricadente su Foglio 8, p.lle 350 e 349, delle dimensioni in pianta di 5,50 x 0,55 mt, con altezza di 30 cm; – realizzazione di recinzione esterna sul perimetro del lotto, realizzata mediante pali di castagno infissi direttamente nel terreno, ad una profondità che varia tra i 40 e i 50 cm, con altezza fuori terra di circa 1,90 mt, posti ad una distanza tra loro di circa 2 metri e su cui è stata apposta una recinzione metallica.”.

A quel punto, il Comune di Monteroduni, con atto del 5 giugno 2017, trasmetteva richiesta di parere alla Regione Molise evidenziando la necessità di acquisire il parere obbligatorio della Soprintendenza ai fini del rilascio del provvedimento di accertamento di compatibilità paesaggistica, propedeutico anche alla sanatoria urbanistica.

La Regione Molise, in data 15 giugno 2017, ha in effetti inoltrato alla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del Molise una nota corredata di parere favorevole, con la motivazione che “in riferimento alla conformità delle opere realizzate in assenza di autorizzazione rispetto ai valori paesaggistici riconosciuti dal vincolo, dalla documentazione agli atti si rileva che l’intervento risulta compatibile con le norme del Piano Territoriale Paesistico Ambientale di Area Vasta n. 5 ricadendo in area AX2 del Piano e ove si applica la modalità di tutela TC1 (produttivo agricolo) e VA (pericolosità geologica) per le opere assimilabili alla categoria di uso antropico b.5, 6 ammissibili pertanto dalla normativa di piano. Esaminati gli elaborati prodotti ed effettuate le verifiche di compatibilità paesaggistica rispetto ai vincoli che gravano sull’area, per quanto di competenza, si ritiene l’intervento compatibile paesaggisticamente ai sensi dell’art. 167 del D.lgs. 42/04 e ss. mm. ii.

La medesima proposta di parere favorevole veniva inoltrata anche al Comune di Monteroduni.

Malgrado tutto ciò, è però accaduto che le Amministrazioni procedenti siano poi rimaste inerti, originando così l’odierno contenzioso.

Più nel dettaglio, il contenzioso è iniziato con la proposizione di un ricorso avverso il silenzio finalizzato alla declaratoria dell’obbligo delle competenti Amministrazioni di concludere il relativo procedimento mediante il rilascio del provvedimento formale richiesto, anche in virtù del silenzio assenso formatosi sul parere obbligatorio della Soprintendenza ai sensi dell’art. 17-bis, L. 241/1990.

Dopodiché, il giudizio è stato integrato con la proposizione di due motivi aggiunti, avendo le Amministrazioni competenti ricominciato a provvedere in corso di causa.

In particolare, con i primi motivi aggiunti sono stati impugnati il preavviso di parere negativo del 29 agosto 2017 e il definitivo parere negativo del 3 maggio 2018 della Soprintendenza, entrambi incentrati sulla motivazione che l’intervento edilizio ricade su un’area sottoposta a vincolo archeologico diretto.

Con i secondi motivi aggiunti, invece, è stata impugnata la nota prot. n. 146113 del 16 novembre 2018, con cui la Regione Molise, prendendo atto del parere negativo espresso dalla Soprintendenza, rigettava anch’essa la richiesta di accertamento di compatibilità paesaggistica, con la motivazione che “la valutazione è stata espressa in riferimento ai valori paesaggistici e non esclusivamente a quelli della salvaguardia del bene archeologico il quale risulterebbe non intaccato dalla recinzione”.

7. Così ricostruiti i fatti, il Collegio ritiene che l’operato posto in essere dalle Amministrazioni competenti sia illegittimo alla luce del chiaro quadro normativo di riferimento vigente.

Il decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42 (in Suppl. ordinario n. 28 alla Gazz. Uff., 24 febbraio, n. 45). – Codice dei beni culturali e del paesaggio, all’art. 167, comma 5, disciplina le modalità per la remissione in pristino o per il versamento della indennità pecuniaria, prevedendo che “Il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell’immobile o dell’area interessati dagli interventi di cui al comma 4 presenta apposita domanda all’autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini dell’accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi. L’autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni. Qualora venga accertata la compatibilità paesaggistica, il trasgressore è tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione. L’importo della sanzione pecuniaria è determinato previa perizia di stima. In caso di rigetto della domanda si applica la sanzione demolitoria di cui al comma 1. La domanda di accertamento della compatibilità paesaggistica presentata ai sensi dell’articolo 181, comma 1-quater, si intende presentata anche ai sensi e per gli effetti di cui al presente comma.”.

La legge generale sul procedimento amministrativo 7 agosto 1990, n. 241 (in Gazz. Uff., 18 agosto, n. 192) ha previsto all’art. 17-bis (come inserito dall’art. 3 della legge 7 agosto 2015, n. 124 e modificato dal d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito dalla legge 11 settembre 2020, n. 120) la disciplina degli effetti del silenzio e dell’inerzia nei rapporti tra amministrazioni pubbliche e tra amministrazioni pubbliche e gestori di beni o servizi pubblici.

Questa disciplina prevede che: “1. Nei casi in cui è prevista l’acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni pubbliche e di gestori di beni o servizi pubblici, per l’adozione di provvedimenti normativi e amministrativi di competenza di altre amministrazioni pubbliche, le amministrazioni o i gestori competenti comunicano il proprio assenso, concerto o nulla osta entro trenta giorni dal ricevimento dello schema di provvedimento, corredato della relativa documentazione, da parte dell’amministrazione procedente. Esclusi i casi di cui al comma 3, quando per l’adozione di provvedimenti normativi e amministrativi è prevista la proposta di una o più amministrazioni pubbliche diverse da quella competente ad adottare l’atto, la proposta stessa è trasmessa entro trenta giorni dal ricevimento della richiesta da parte di quest’ultima amministrazione. Il termine è interrotto qualora l’amministrazione o il gestore che deve rendere il proprio assenso, concerto o nulla osta rappresenti esigenze istruttorie o richieste di modifica, motivate e formulate in modo puntuale nel termine stesso. In tal caso, l’assenso, il concerto o il nulla osta è reso nei successivi trenta giorni dalla ricezione degli elementi istruttori o dello schema di provvedimento; lo stesso termine si applica qualora dette esigenze istruttorie siano rappresentate dall’amministrazione proponente nei casi di cui al secondo periodo. Non sono ammesse ulteriori interruzioni di termini.

2. Decorsi i termini di cui al comma 1 senza che sia stato comunicato l’assenso, il concerto o il nulla osta, lo stesso si intende acquisito. Esclusi i casi di cui al comma 3, qualora la proposta non sia trasmessa nei termini di cui al comma 1, secondo periodo, l’amministrazione competente può comunque procedere. In tal caso, lo schema di provvedimento, corredato della relativa documentazione, è trasmesso all’amministrazione che avrebbe dovuto formulare la proposta per acquisirne l’assenso ai sensi del presente articolo. In caso di mancato accordo tra le amministrazioni statali coinvolte nei procedimenti di cui al comma 1, il Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, decide sulle modifiche da apportare allo schema di provvedimento.

3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano anche ai casi in cui è prevista l’acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali e della salute dei cittadini, per l’adozione di provvedimenti normativi e amministrativi di competenza di amministrazioni pubbliche. In tali casi, ove disposizioni di legge o i provvedimenti di cui all’articolo 2 non prevedano un termine diverso, il termine entro il quale le amministrazioni competenti comunicano il proprio assenso, concerto o nulla osta è di novanta giorni dal ricevimento della richiesta da parte dell’amministrazione procedente. Decorsi i suddetti termini senza che sia stato comunicato l’assenso, il concerto o il nulla osta, lo stesso si intende acquisito.

4. Le disposizioni del presente articolo non si applicano nei casi in cui disposizioni del diritto dell’Unione europea richiedano l’adozione di provvedimenti espressi.

L’esegesi che ne ha dato il Consiglio di Stato, sia nell’esercizio della funzione consultiva (Adunanza della Commissione speciale del 23 giugno 2016, parere n. 1640), sia in quella giurisdizionale [Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza 2 ottobre 2023, n. 8610, a valere anche come precedente specifico e conforme ai sensi degli artt. 74, comma 1 e 88, comma 2, lett. d), c.p.a.], è univoca nel senso di affermare che “l’art. 17-bis riveste nei rapporti tra amministrazioni pubbliche una portata generale analoga a quella del nuovo articolo 21-nonies nei rapporti tra amministrazioni e privati, e che “il Consiglio di Stato ritiene si possa parlare di un ‘nuovo paradigma’: in tutti i casi in cui il procedimento amministrativo è destinato a concludersi con una decisione ‘pluristrutturata’ (nel senso che la decisione finale da parte dell’Amministrazione procedente richiede per legge l’assenso vincolante di un’altra Amministrazione), il silenzio dell’Amministrazione interpellata, che rimanga inerte non esternando alcuna volontà, non ha più l’effetto di precludere l’adozione del provvedimento finale ma è, al contrario, equiparato ope legis a un atto di assenso e consente all’Amministrazione procedente l’adozione del provvedimento conclusivo.

La portata generale di tale nuovo paradigma fornisce una importante indicazione sul piano applicativo dell’art. 17-bis, poiché ne consente una interpretazione estensiva, quale che sia l’amministrazione coinvolta e quale che sia la natura del procedimento pluristrutturato (cfr. infra, i punti successivi). (così il citato parere n. 1640/2016).

Ed inoltre che “Nell’ambito della disciplina del procedimento di autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146, D.Lgs. n. 42/2004, va esteso anche al parere, da rendersi da parte della Soprintendenza, il meccanismo del silenzio assenso previsto dall’art. 17-bis della L. n. 241/90, applicabile anche in seno a una conferenza di servizi. Tutti i pareri vincolanti partecipano alla formazione di un provvedimento finale pluri-strutturato, in quanto la decisione dell’amministrazione procedente richiede per legge l’assenso vincolante di un’altra amministrazione. Si evidenzia, infatti, al riguardo che il parere della Soprintendenza è “espressione di una cogestione attiva del vincolo paesaggistico. A tali pareri si applicherebbe pertanto l’art. 17-bis della legge n. 241/1990, diversamente che ai pareri consultivi (non vincolanti), che restano assoggettati alla disciplina di cui agli artt. 16 e 17. Dunque, alla stregua di tale ricostruzione, la formulazione testuale del comma 3 dell’art. 17-bis consente di estendere il meccanismo del silenzio assenso anche ai procedimenti di competenza di amministrazioni preposte alla tutela di interessi sensibili, ivi compresi i beni culturali di modo che, scaduto il termine fissato dalla normativa di settore, vale la regola generale del silenzio assenso. Di conseguenza il parere della Soprintendenza per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica reso tardivamente nell’ambito di una conferenza di servizi è da considerarsi tamquam non esset” (così la citata sentenza n. 8610/2023).

8. Applicando le suesposte coordinate esegetiche al caso all’esame, va dunque accolto il primo motivo di appello, essendosi definitivamente formato il silenzio assenso sulla richiesta di parere obbligatorio formulata ai sensi dell’art. 167, comma 5, D.lgs. n. 42/2004 dalla Regione Molise alla Soprintendenza, dal momento che il definitivo parere sfavorevole è stato emanato in data 3 maggio 2018, ossia a distanza di quasi un anno dalla richiesta inoltrata dalla Regione Molise, datata 15 giugno 2017, e dunque ben oltre il prescritto termine di 90 giorni, così risultando inutiliter dato.

Sulla base degli atti e dei documenti di causa, infatti, non risulta che si siano verificate le previste cause di sospensione o interruzione del termine, accadimenti che comunque sarebbe stato onere delle Amministrazioni interesse dimostrare.

Né può essere ritenuta idonea ad interrompere il suddetto termine la comunicazione del preavviso di parere sfavorevole della Soprintendenza, sia in quanto inoltrata alla sola Regione Molise e non anche alla società richiedente, sia in quanto trattasi di atto endo-procedimentale privo di una rilevanza volontaristica all’esterno, e dunque autonomamente e immediatamente impugnabile solo ove conosciuto dal destinatario e lesivo per la sua sfera giuridica.

Ai fini della riedizione del potere, pertanto, la Regione Molise dovrà pronunciarsi sull’istanza di rilascio dell’accertamento di conformità paesaggistica presentata dalla società ricorrente, prescindendo dal richiedere un ulteriore parere alla Soprintendenza, dovendosi lo stesso ritenere già reso ai sensi del combinato disposto degli artt. 167, comma 5, D.lgs. n. 42/2004 e 17-bis, legge n. 241/1990.

9. Va pure accolto il secondo motivo di appello, dal momento che la Regione Molise ha respinto la richiesta di accertamento di conformità paesaggistica sulla sola base del parere tardivo e sfavorevole emesso dalla Soprintendenza, senza cioè svolgere una istruttoria e una valutazione incentrata sui valori del paesaggio e sulla compatibilità in concreto dell’intervento edilizio con i suddetti valori ai sensi dell’art. 167 del codice dei beni culturali, essendosi limitata, in senso contrario, ad affermare che sull’area di interesse insiste un vincolo archeologico.

Ma che sull’area di interesse insista un vincolo archeologico non è cosa che sia mai stata contestata da alcuno: sono difatti le concrete modalità di realizzazione delle opere edilizie che devono essere valutate, dovendosi cioè apprezzare il fatto se le stesse possano o meno ritenersi compatibili con il paesaggio, una volta appurato, certamente, che si è all’interno dei limiti dettati dal vincolo archeologico.

Il che è esattamente quanto afferma essere avvenuto la società ricorrente, la quale non riesce a comprendere le ragioni per quali la propria recinzione, che pure è conficcata a 40/50 cm nel terreno, e dunque entro il limite dei 70 cm previsti dal vincolo, non sia (anche) compatibile con il paesaggio circostante.

Ai fini della riedizione del potere, pertanto, la Regione Molise, oltre a dovere prescindere dal parere della Soprintendenza come si è già illustrato al punto 8, rivaluterà, previa integrale rinnovazione dell’istruttoria, il giudizio di compatibilità delle opere rispetto alla tutela del paesaggio, raffrontando in concreto le opere così come descritte nell’istanza presentata dalla società ricorrente, il contenuto e i limiti del vincolo archeologico e il contesto ambientale e paesaggistico circostante in cui si collocano le opere medesime.

Nel fare ciò, anche al fine di prevenire nuovi rischi di contraddittorietà dell’agire amministrativo, la Regione Molise terrà conto anche del contenuto della propria nota datata 15 giugno 2017, inoltrata alla Soprintendenza e corredata del suo iniziale parere favorevole (“in riferimento alla conformità delle opere realizzate in assenza di autorizzazione rispetto ai valori paesaggistici riconosciuti dal vincolo, dalla documentazione agli atti si rileva che l’intervento risulta compatibile con le norme del Piano Territoriale Paesistico Ambientale di Area Vasta n. 5 ricadendo in area AX2 del Piano e ove si applica la modalità di tutela TC1 (produttivo agricolo) e VA (pericolosità geologica) per le opere assimilabili alla categoria di uso antropico b.5, 6 ammissibili pertanto dalla normativa di piano. Esaminati gli elaborati prodotti ed effettuate le verifiche di compatibilità paesaggistica rispetto ai vincoli che gravano sull’area, per quanto di competenza, si ritiene l’intervento compatibile paesaggisticamente ai sensi dell’art. 167 del D.lgs. 42/04 e ss. mm. ii.”), che non risulta sia stata mai revocata o annullata, ma soltanto contraddetta dal diniego definitivo qui impugnato.

10. In definitiva, l’appello va accolto e, in riforma della sentenza impugnata, vanno accolti i motivi aggiunti di primo grado e per l’effetto annullati gli atti impugnati.

Per completezza espositiva, va precisato che la statuizione di riforma della sentenza impugnata non riguarda la declaratoria di improcedibilità del ricorso avverso il silenzio, capo non gravato dalla società appellante (e dunque da ritenersi oramai passato in giudicato), in quanto l’iniziale inerzia serbata dalle Amministrazioni competenti è stata superata con gli atti e i provvedimenti qui impugnati, ora definitivamente caducati.

11. La riedizione del potere, ferma la discrezionalità dell’Amministrazione, dovrà tenere conto degli obblighi conformativi nascenti dal presente giudicato, nei sensi di cui in motivazione (in particolare, i punti 8 e 9).

12. Le spese del doppio grado del giudizio sono liquidate in dispositivo secondo la regola della soccombenza e sono poste a carico di tutte le Amministrazioni intimate, anche quelle non costituite, in solido fra di loro, e il loro pagamento è riconosciuto in favore del difensore della parte appellante, dichiaratosi antistatario delle medesime.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, in riforma della sentenza impugnata, accoglie i motivi aggiunti di primo grado e annulla gli atti impugnati, fermi gli ulteriori provvedimenti nei sensi di cui in motivazione (in particolare, i punti 8, 9 e 11).

Condanna le Amministrazioni appellate a rifondere le spese del doppio grado del giudizio, liquidate in complessivi euro 3.000,00, oltre spese generali, IVA e CPA se dovute come per legge, in favore del difensore della parte appellante, dichiaratosi antistatario delle medesime.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2023 con l’intervento dei magistrati:

Marco Lipari, Presidente

Daniela Di Carlo, Consigliere, Estensore

Carmelina Addesso, Consigliere

Marina Perrelli, Consigliere

Ofelia Fratamico, Consigliere

 
 
L’ESTENSOREIL PRESIDENTE
Daniela Di CarloMarco Lipari
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO

depositata il 2 febbraio 2024

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(foto S.D., archivio GrIG)

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