Industrie verdi, il piano Ue rischia di andare a due velocità lasciando indietro l’Italia

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Il piano industriale green presentato ieri, mercoledì 1° febbraio, dalla Commissione Ue, rischia di diventare un treno a due velocità: più rapido, efficace e competitivo per la Germania e gli altri Paesi con bilanci solidi (i cosiddetti “frugali”), più lento e con meno risorse per i Paesi, come Italia e Spagna, che hanno minori margini di intervento fiscale.

Questo perché il piano si basa essenzialmente su un ulteriore allentamento dei vincoli agli aiuti di Stato, fino a dicembre 2025, al fine di consentire ai singoli Stati membri di concedere maggiori sussidi alle imprese che operano nei vari settori delle tecnologie pulite.

Invece la proposta per un nuovo fondo sovrano Ue arriverà – salvo ripensamenti – in estate e i negoziati su questo fronte si annunciano complicati, perché Berlino continua a essere contraria.

Così il governo italiano ha condensato i suoi timori e le sue richieste in un documento inviato a Bruxelles.

Il piano Ue verrà discusso al Consiglio europeo del 9-10 febbraio. La posta in gioco è alta: la Ue vuole rispondere agli Stati Uniti di Biden, dove le imprese potranno contare su 369 miliardi di $ di sussidi per gli investimenti verdi in America.

È anche una risposta alle politiche industriali e commerciali della Cina, in modo da ridurre la dipendenza europea dalle importazioni di veicoli elettrici, batterie al litio, materie prime critiche, pannelli solari e così via.

Tuttavia, secondo il governo italiano (neretti nostri nelle citazioni), “lo snellimento delle regole Ue sugli aiuti di Stato non deve trasformarsi in un lasciapassare per tutti, che darebbe un vantaggio competitivo agli Stati membri con maggiore margine fiscale o maggiori possibilità di sottoscrivere il debito a condizioni vantaggiose”.

Ciò, infatti, innescherebbe “una corsa ai sussidi” portando a una frammentazione del mercato unico.

Anche la commissaria Ue alla competitività, Margrethe Vestager, nel presentare le nuove regole sugli aiuti di Stato, ha evidenziato “i rischi rilevanti” che esse comportano “per la integrità del mercato unico e per la nostra coesione“.

La Germania, da sola, ha usato oltre metà (53%) dei 672 miliardi di euro approvati finora dalla Ue con il quadro temporaneo di crisi per gli aiuti di Stato. Germania e Francia insieme hanno coperto il 77% di questa cifra, come riassume il grafico sotto, pubblicato dalla agenzia Euractiv.

Il punto è che non tutti i Paesi hanno lo stesso spazio fiscale per utilizzare gli aiuti di Stato.

Secondo il governo italiano “è necessaria una politica di semplificazione e flessibilità, ma deve essere proporzionata“, evitando “sussidi generici e indiscriminati”, mentre “bisognerebbe restringere i settori da sostenere, tenendo conto delle specificità nazionali”.

Tra le principali proposte di Bruxelles figurano le seguenti:

  • innalzare le soglie di notifica per attuare direttamente le misure di aiuto, senza doverle notificare ex ante alla Commissione per la sua approvazione;
  • sostenere la diffusione di tutte le fonti energetiche rinnovabili, tra cui produzione di batterie, pannelli solari, turbine eoliche, pompe di calore, elettrolizzatori, uso e stoccaggio del carbonio, nonché le materie prime critiche necessarie per la produzione di tali dispositivi;
  • concedere aiuti per le tecnologie meno mature, ad esempio la produzione di idrogeno rinnovabile, senza una procedura di gara competitiva, a condizione che vengano adottate misure di salvaguardia per garantire la proporzionalità del sostegno pubblico;
  • incentivare gli investimenti che permettono una riduzione significativa delle emissioni, prevedendo massimali di aiuto più elevati e calcoli semplificati degli aiuti (ad esempio, come quota percentuale dei costi di investimento).

Inoltre, ci sarebbe la possibilità di concedere sussidi maggiori per “pareggiare” i sussidi offerti da Paesi terzi extra Ue, in modo da attirare gli investimenti in Europa.

Ma per il governo italiano la vera svoltasarebbe la creazione di fondi europei finalizzati a finanziare progetti strategici, stimolare la competitività delle industrie europee e colmare gli squilibri creati da sovvenzioni estere e/o distorsioni nei mercati delle materie prime”.

Pertanto, “la proposta di istituire un fondo di sovranità europeo, mirato ai settori più strategici, è un passo nella giusta direzione. Grazie agli effetti di ricaduta, tutti gli Stati membri potrebbero beneficiare di questo strumento”.

Serve insomma una “capacità fiscale centrale”, si legge nella lettera italiana, proprio quella che la Germania non vede di buon occhio perché non vuole gonfiare il debito comune europeo.

Anche se il ministro tedesco degli Affari economici, Robert Habeck, ha lasciato qualche spiraglio affermando che la Germania “si impegnerà in modo costruttivo in questo dibattito”.

Intanto, nel breve termine, bisognerà fare affidamento sui fondi europei esistenti, perché il piano Ue non prevede nuovi canali di finanziamento a livello comunitario.

Si parla soprattutto dei prestiti (225 miliardi di euro) e delle sovvenzioni (20 miliardi), che rimangono dal Recovery Plan da 800 miliardi predisposto da Bruxelles per il rilancio economico post-pandemia. A disposizione ci sarebbero anche le risorse di altri programmi (InvestEU, Innovation Fund), che potrebbero mobilitare investimenti green per altre decine di miliardi di euro nei prossimi anni.

Vedremo se questi strumenti finanziari saranno un “ponte” sufficiente per rilanciare le industrie verdi europee, senza creare disparità e squilibri sul mercato interno, in attesa che si definisca la posizione europea sul fondo sovrano.

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