[INTERVISTA] Ecuador: tra narcos e malgoverno, gli indigeni indicano ai lavoratori la strada della lotta

3 months ago 36

L’Ecuador in questi ultimi anni è salito alle cronache internazionali per il dilagare di violenze efferate, omicidi mirati e massacri da parte di una rete di bande armate (i più noti sono Los Lobos) e organizzazioni criminali che stanno tenendo in ostaggio il paese, seminando un clima diffuso di terrore e paralisi della società ecuadoregna.

Dell’Ecuador ricordiamo anche le immagini raccapriccianti durante la pandemia di covid-19 che mostravano cadaveri abbandonati nelle strade e davanti alle porte di casa, segno di un sistema sanitario inesistente e di una popolazione lasciata a sé stessa.

Ne parliamo con Angel, delegato SI Cobas alla Lsm / Zust Ambrosetti di Landriano (MI); con lui cercheremo di dare un quadro più comprensivo e meno episodico del paese, secondo la prospettiva della classe lavoratrice che ci caratterizza.
L’Ecuador è un paese di piccole dimensioni che comprende altopiani vulcanici, foresta amazzonica e regioni costiere, abitato da poco più di 18 milioni di persone.

Su quali risorse si basa la sua economia? E chi ne detiene la proprietà?

A: La nostra economia ha sviluppata prevalentemente la componente primaria ed è orientata all’esportazione di prodotti come banane, caffè, cacao. Altri importanti settori sono l’allevamento di gamberi, l’estrazione di petrolio e di minerali preziosi. Le isole Galapagos, patrimonio dell’Umanità, sono una meta molto frequentata dal turismo internazionale; ma il recente deteriorarsi delle condizioni di sicurezza del paese ha fortemente ridotto la presenza di turisti sul nostro territorio.
Le risorse sono in mano a pochi gruppi economici: alcune grandi famiglie, banche, multinazionali. Per fare alcuni esempi: il Banco de Pichincha è proprietario del principale canale di informazione nazionale, Tele Amazonas, che ha un’influenza quasi totale sull’opinione pubblica, è un potente filtro sull’informazione e la percezione della realtà. Il petrolio è in mano a Texaco ed altre compagnie statunitensi. Abbiamo una scarsa capacità di raffinazione, la maggior parte del petrolio viene raffinato in Venezuela e la parte che torna nel nostro paese viene venduta a prezzi estremamente elevati. L’esplorazione e l’industria mineraria sono state concesse per lo più alla Cina, durante il governo Correa (Rafael Correa è stato presidente dell’Ecuador dal 2007 al 2017, ndr).

Come si caratterizza il mercato del lavoro nei vari settori economici? E quali sono oggi i principali problemi che il proletariato e i lavoratori ecuadoregni nello specifico devono affrontare?

A: La maggior parte del lavoro si colloca nel settore agricolo e primario; non abbiamo una forte industria manifatturiera e i servizi risentono della debolezza dell’apparato statale. I posti di lavoro migliori e più tutelati sono quelli dell’industria petrolifera, ma pochi riescono ad accedervi.
Un ecuadoregno su 10 è disoccupato (il tasso di occupazione a giugno era del 46,4%; il PIL pro-capite nel dicembre scorso era di 5590$, ndr) e l’abbandono scolastico è elevatissimo. Abbiamo un salario minimo di circa 450$ e medio di 525$; i salari sono fermi rispetto all’inflazione. L’informalità è diffusa in ogni settore.
Ne deriva una precarietà generale e un indice di povertà e di estrema povertà elevati. Non c’è nessun impegno né investimenti dello stato su queste problematiche, nessuna attenzione per gruppi sociali vulnerabili come bambini, adolescenti, donne. Questi sono i problemi alla base dello stato di insicurezza, di precarietà e conseguentemente della crescente piccola criminalità informale.
Hai citato i morti per covid-19. Ufficialmente sono stati 36.000, ma non c’è nessuna certezza sui dati. Le immagini che hanno fatto il giro del mondo non rappresentano però tutto il paese ma la città di Guayaquil, particolarmente colpita per la politica di tagli sostenuta dal governatore nell’assistenza sanitaria e al personale, ma anche per un mercato del lavoro caratterizzato da una forte componente informale, da una forte disoccupazione e dalla inaccessibilità per la popolazione alla sanità privata.
Non c’è dubbio che a livello governativo ci sia stata una forte impreparazione e sottovalutazione del problema; il sistema sanitario insufficiente e di scarsa qualità ha aggravato la situazione. L’Ecuador ha un ente statale per la politica sanitaria, l’Iess, ma gli investimenti in questo settore sono scarsi, mancano i medici, i salari dei lavoratori sono miseri, i servizi ridotti al minimo e le liste di attesa troppo lunghe; tutto questo costringe le persone a rivolgersi ai privati, ma solo pochissimi possono permetterselo.
Abbiamo anche un grosso problema di tipo geopolitico: l’Ecuador si trova al centro della rotta della droga. I cartelli colombiani e messicani (come quello di Sinaloa) hanno messo radici nel nostro paese in seguito alla svolta monetaria del 1999 e alla relativa tregua concordata dai precedenti governi con i gruppi narcos locali. Queste circostanze hanno spianato la strada ai cartelli della droga, che si sono insediati nel nostro paese. Siamo diventati un polo di attrazione per il lavaggio del denaro sporco, un lavoro qui più semplice da realizzarsi che non negli Usa, attraverso società fittizie, investimenti pubblici e l’infiltrazione di vari gruppi
malavitosi, tra cui molto potente è la mafia albanese.
Il Presidente Guillermo Lasso, del partito di centrodestra Creando Opportunità (Creo), proprio perché compromesso con quest’ultima, a maggio di quest’anno per evitare l’impeachment ha sciolto il parlamento e ha indetto nuove elezioni. I giornalisti del quotidiano digitale indipendente La Posta che hanno rivelato il suo coinvolgimento, hanno dovuto abbandonare il paese. Due omicidi eccellenti di figure politiche di primo piano hanno dato una svolta inattesa alla campagna elettorale e sono stati attribuiti ai narcos.
Non sono casi isolati; in Ecuador i fatti di cronaca ci dimostrano che governo e forze dell’ordine sono implicati nella rete del narcotraffico.
Recentemente la malavita straniera si è coalizzata con trafficanti locali come Los Choneros. La mafia albanese organizza anche la tratta della prostituzione femminile.

Sindacati e organizzazioni sociali: come e in che misura il proletariato ecuadoregno lotta per la propria emancipazione? Puoi farci qualche esempio di lotte significative?

A: Esistono vari sindacati di categoria, i più importanti sono quello degli insegnanti e dei trasporti. Ma sono sindacati gialli, non di lotta; indicono scioperi ma con scarsi risultati, anche per la complicità dei mezzi di informazione che pongono il blackout totale su certi argomenti, come il licenziamento di lavoratori. Sono lotte per lo più locali. Gli ecuadoregni si iscrivono al sindacato per risolvere i loro problemi individuali, lasciando mano libera ai padroni su orari, salari e organizzazione del lavoro.
Invece un buon lavoro di base viene fatto dalle organizzazioni sociali che si impegnano sui problemi di cui parlavo precedentemente. Le loro lotte subiscono spesso la repressione dello stato. Un esempio sono le case di accoglienza per le vittime della tratta o della violenza di genere.
L’organizzazione sociale più importante in Ecuador è la Conaie (Confederazione delle Nazionalità Indigene dell’Ecuador), che lavora in difesa dei diritti e per la tutela delle popolazioni indigene. Raccoglie e rappresenta molti gruppi indigeni sia dell’Amazzonia, sia della ‘sierra’, sia della costa, dove vivono gruppi afroamericani e i Montubios. La sua organizzazione è capillare, si costituisce dalla base dei territori indigeni, dalle singole comunità. Queste esprimono propri dirigenti e propri meccanismi di governo. Conaie è soggetta a campagne di diffamazione, ostacolata quando organizza manifestazioni, marce e blocchi stradali e tutte le sue attività si scontrano con una forte repressione da parte delle forze dell’ordine. Tuttavia anch’essa ultimamente è stata colpita da casi di connivenza con l’apparato statale, che hanno guastato la sua immagine. Ma il suo modello organizzativo rimane valido per abbattere le divisioni nella classe e il razzismo presenti nella nostra società, che colpiscono e indeboliscono la popolazione già fragile. Le mobilitazioni contro le politiche governative sono continue, in aumento in questi ultimi anni e ricevono un considerevole appoggio anche dalla popolazione urbana. Durante il governo di Lenin Moreno Conaie ha organizzato una marcia delle comunità indigene verso le città del paese, portando una piattaforma rivendicativa di 15 punti, tra questi: il ripristino dei sussidi per la benzina e i trasporti, un’educazione scolastica multiculturale e la richiesta di un tavolo di lavoro che affronti tutte le loro istanze. Famiglie con bambini e anziani sono confluite dalle loro terre in massa, ma nella capitale sono state accolte dalle armi e dai lacrimogeni della polizia, inseguite persino nella Casa della Cultura, dove parte di loro si era riunita, subendo morti e feriti. Gli studenti della privata Università Cattolica hanno sbarrato loro la strada con una catena umana per impedire si parlasse di indigeni e dei loro problemi all’interno dell’istituto. La mobilitazione ebbe successo sia per il livello di partecipazione che per aver esplicitato a tutto il paese problematiche altrimenti poco discusse; ma riguardo ai risultati concreti, il successo fu parziale: i sussidi furono ripristinati, ma al tavolo negoziale il presidente Lasso non si presentò e non mantenne nessuna delle sue promesse.
Un altro motivo delle proteste delle popolazioni indigene è l’inquinamento e la compromissione dell’integrità delle loro terre e della loro salute provocati dalle attività minerarie e di estrazione del petrolio.
Conaie ha anche conquistato una rappresentanza politica all’interno del governo con il partito Pachacuti, la cui efficacia però è scarsa.
Il panorama delle lotte popolari in Ecuador è quindi occupato principalmente dalle realtà indigene; le principali rivendicazioni degli indigeni incontaminati dell’Amazzonia sono principalmente il rispetto per la terra, la cultura e l’integrità dell’ambiente naturale; gli altri nativi chiedono anche servizi di supporto all’attività agricola, l’adeguamento dei prezzi delle merci da loro prodotte ai costi di produzione e la tutela contro la concorrenza aggressiva dei grandi gruppi agroalimentari. Per far fronte a queste ultime problematiche recentemente gli indigeni impiegati nell’attività agricola si stanno consorziando.

Nel 1999 il governo Mahuad ha avviato la dollarizzazione dell’economia; il sucre, moneta nazionale, è stato sostituito dal dollaro con il motivo di sostenere il peso del debito e far fronte all’iperinflazione. Quali conseguenze ha avuto questa manovra per la popolazione?

A: Nel 1999 ad un dollaro corrispondevano 25.000 sucre. La dollarizzazione ha provocato un generale aumento della povertà: sia per il conseguente default delle banche, che ha cancellato in un solo colpo i risparmi su cui contava buona parte della popolazione; sia per il fallimento di società e la chiusura di molte attività, con perdita di posti di lavoro. Grandi gruppi economici hanno speculato sui prezzi delle merci, che aumentarono in modo insostenibile. Ne seguì un’ondata di suicidi e l’avvio di un’emigrazione di massa verso gli Stati Uniti e l’Europa che deve ancora terminare. Negli anni immediatamente seguenti questo shock monetario l’economia si è sostenuta grazie alle rimesse degli immigrati (a giugno 2023 le rimesse erano pari a 1353 milioni di $, ndr). Gli immigrati sono stati il principale supporto economico anche durante la crisi pandemica.
Oggi si è raggiunta una certa stabilità, ma non è certo una situazione desiderabile. Siamo privati di una politica monetaria nazionale e continuiamo ad essere un polo attrattivo per il narcotraffico e il mercato nero. Con questo non voglio dire che i governi che si sono succeduti in questi ultimi anni senza la dollarizzazione avrebbero dato più respiro all’economia nazionale e al benessere della popolazione.
Infine parliamo dell’esito delle recenti elezioni. Guillermo Lasso, ex banchiere e uomo dell’Opus Dei, ha governato un Parlamento monocamerale con una maggioranza in mano all’opposizione. Per sfuggire all’impeachment ha applicato la “muerte cruzada”, un’opzione costituzionale che consiste nello sciogliere il Parlamento e indire elezioni anticipate, salvando la pelle. Viene eletto Presidente Daniel Noboa, imprenditore di 35 anni e figlio dell’uomo più ricco del paese, un magnate che ha costruito la sua fortuna sull’esportazione di banane.

Come ti spieghi questo voto?

A: Il paese è diviso tra corrente ‘correista’ e ‘anti-correista’. Entrambe raccolgono il consenso del 30-35% della popolazione. Durante la campagna elettorale risultava un 20% di indecisi, soprattutto tra i giovani. La propaganda elettorale dapprima equilibrata tra le due parti ha avuto una brusca svolta dopo un duplice assassinio: quello del sindaco di Manta, una città della costa che è uno snodo cruciale per il narcotraffico; e quello del giornalista e candidato alla presidenza Villavicencio, già minacciato dal cartello di Sinaloa.
Inizialmente la responsabilità venne attribuita al correismo e gli causò una grande perdita di consensi. Al loro primo dibattito televisivo Luisa Gonzales, la candidata correista favorita, non si posizionò bene, al contrario di Noboa, che sfoggiava una bella presenza e portava argomenti molto popolari. All’ultimo dibattito invece Noboa ha deluso, ma ormai la propaganda sostenuta dagli abbondanti finanziamenti dei poteri forti del paese e la campagna mediatica di Tele Amazonas, lo portano alla vittoria, conquistando il voto degli indecisi, i giovani.
Ma non saranno i risultati elettorali né i presidenti di turno a cambiare il paese. L’Ecuador ha bisogno di organizzazioni popolari forti, unite, di una maturazione politica delle coscienze, che gettino il seme della rivoluzione e sconfiggano la guerra tra poveri e il razzismo diffuso nella nostra società.

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