[ITALIA] 25 novembre: perché non sia soltanto una data !

5 months ago 28

Riceviamo a pubblichiamo questo contributo dalle compagne del Comitato 23 settembre, già disponibile sulla loro pagina (vedi qui):

25 novembre: perché non sia soltanto una data !

– Comitato 23 settembre

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa presa di posizione del Comitato 23 settembre. Naturalmente le questioni implicate sono tante, a tal punto complicate e interconnesse, che in ogni singola presa di posizione c’è sempre qualcosa che “manca”. Ad esempio, ci sarebbe da considerare il peso tuttora significativo delle tradizioni del patriarcalismo individuale pur in tempi di prevalente patriarcalismo collettivo; il ruolo della religione e della Chiesa cattolica (tuttora all’attacco delle donne in tutto il mondo sull’aborto, e non solo); la funzione dei “modelli” offerti e propagandati dai personaggi pubblici, a cominciare dai cd. leader politici – un tema sul quale abbiamo detto qualcosa a proposito del berlusconismo, ed altro ancora.

Ma di sicuro il testo del Comitato 23 settembre non manca di spunti validi e pungenti specie in questa giornata in cui tutti, all’unanimità, a cominciare dalle istituzioni dello stato (!!!) per finire con la generalità dei compagni, sono o b b l i g a t o r i a m e n t e “dalla parte delle donne”Di tal che viene da direma allora è proprio vero che i femminicidi sono opera di singoli criminali o pazzie che la disuguaglianza di genere è una panzana inventata dalle “femministe”

Le posizioni a cui fa riferimento il Comitato 23 settembre sono state pubblicate in una serie di interventi, spesso riportati anche da noi, e nell’opuscolo “La posta in gioco”, di cui abbiamo pubblicato tempo fa l’Introduzione e che può essere richiesto a com.internazionalista@gmail.com (Red.)

PERCHÉ IL 25 NOVEMBRE NON SIA SOLO UNA DATA!

Abbiamo in questi giorni assistito all’ennesimo femminicidio, frutto di violenza sistemica perché trasversale alle classi sociali, alle età e alle epoche storiche.

Mai come oggi siamo immersi in una società violenta per sua intrinseca natura e per la sua necessità di combattere con ogni mezzo la sua decadenza.

Anche sui recenti fatti di cronaca ci sono buone probabilità, grazie alla ideologia patriarcale sempre all’opera, di ritrovarci ad ascoltare valutazioni che tenderanno a sminuire il gesto criminale dell’ennesimo “bravo ragazzo” senza patologie e dipendenze, abituato comunque fin da piccolo a godere di privilegi di potere all’interno delle relazioni intime.

Ma esistono davvero i “bravi ragazzi”? E quanti sono gli adulti sordi e ciechi?

Psicologi e criminologi ( spesso donne ) sottolineano che, oltre all’influenza di una mentalità patriarcale il problema sia più complesso, richiamando molteplici concause quali la mancanza di affetto, di responsabilizzazione dei giovani (e spesso degli adulti), dell’individualismo coltivato nell’isolamento dei social….

VERO, TUTTO VERO MA… BASTA! Perché se non può bastare limitarsi a cercare responsabilità negli individui che certamente sono colpevolmente i peggiori, si cercano le responsabilità nell’educazione dei figli o nelle scuole e quindi nelle donne stesse, madri o insegnanti che siano…

E ovunque si insinua la perfida domanda: “Se l’è cercata?”

Le donne denunciano e si mobilitano, fanno i cortei, qualcuno (e il nostro comitato tra questi) allarga la denuncia al sistema capitalistico e al suo uso sistematico della violenza per imporsi al mondo, ma… a quando una denuncia, un’esame di coscienza dei maschi in quanto tali? A quando una riflessione dei compagni, un rifiuto esplicito di usare quella falsa libertà che è arbitrio assoluto, dominante nei rapporti personali? Questo l’appello di Elena, la sorella di Giulia Cecchettin, e va preso sul serio. Come va presa sul serio la dimensione politica della violenza sulle donne.

Ma andiamo per punti:

1) Le donne, che questo sistema economico e sociale continua e sempre di più a considerare il pilastro della famiglia monogamica per la riproduzione di forza lavoro, e al tempo stesso merci da usare o da buttare se non si adeguano al desiderio di possesso dei loro compagni, sono lasciate sole e sprovviste di mezzi materiali a fronteggiare situazioni tossiche. Nei casi di maggiore fragilità, sono relegate ad una condizione di secondo rango nell’accesso all’occupazione e a salari dignitosi, quindi costrette alla dipendenza economica. Da qui a cascata le altre conseguenze che le vedono partire svantaggiate materialmente e nella relazione con l’altro sesso. Uno svantaggio che è troppo spesso accresciuto dall’introiezione dei sensi di inferiorità, di colpa, o di dedizione alla cura.

2) Sulla stampa si cita la Convenzione di Istanbul sul diritto di qualsiasi individuo a vivere libero dalla violenza: donne, bambini, anziani e perfino le donne immigrate! La convenzione cita 3 punti fondamentali: oltre alla prevenzione, la protezione della vittime e la denuncia e il controllo degli autori. Di questo controllo, se non a fatti estremi compiuti, non se ne vede traccia, in quanto le “forze dell’ordine”, in linea col machismo che le contraddistingue, hanno sempre altro di cui occuparsi, come dimostrano, solo per citare l’ultimo tragico evento, le chiamate al 112 di testimoni delle prime aggressioni di Filippo Turetta a Giulia Cecchettin, andate a vuoto.

3) Per quanto riguarda la PREVENZIONE, citata come primo punto perché fondamentale, la traccia è ancora più inesistente! Che tipo di istituzione è la scuola attuale che dovrebbe preoccuparsi di essere a fianco delle famiglie nell’educazione al rispetto dell’altro in senso lato?

Questo sistema sociale non prevede da decenni alcuna destinazione di risorse a questo proposito: né consultori funzionanti per le donne e gli adolescenti nè corsi con personale qualificato per studenti e corpo docente. Al contrario da troppo tempo nelle scuole, a partire dall’infanzia, si è sostituito questo tipo di programmi con altri, che promuovono la presenza di “forze dell’ordine” ed esercito a coltivare la cultura dell’ordine costituito, delle gerarchie e della sottomissione. Alla speranza di un futuro per la maggioranza dei giovani si sostituisce così l’accettazione dello schiavismo nel mondo del lavoro, della guerra come contrapposizione tra lavoratrici/lavoratori, della sopraffazione del ricco sul povero, del “normale” sul “diverso”, dell’uomo sulla donna, nel vano tentativo di garantirsi individualmente la possibilità di una vita migliore o appena decente. Che influenza possiamo immaginare che questo abbia sulla mentalità di giovani che si affacciano alle relazioni di amicizia, affettive e sessuali? Un’influenza positiva o l’utilizzo di queste relazioni come sfogo su chi è percepito come inferiore o di tua proprietà? Come rivincita sulle frustrazioni nel sentirsi esclusi da questo sistema a cui vorrebbero appartenere?

Molteplici fatti di cronaca ci dicono che questa società non fa altro che agire e insegnare violenza, un substrato in cui trovano spazio autolesionismo, dipendenze, molestie psicologiche o bullismo come si vogliono chiamare, stupri individuali e di gruppo e abusi di ogni genere… ben tollerati da governo, da opposizioni e istituzioni tutti insieme appassionatamente in un complice e muto silenzio-assenso!!

Possiamo solo piangere le vittime, sfilare con le fiaccole, accettare “il minuto di silenzio nelle scuole” (al quale fortunatamente tanti studenti hanno opposto rifiuto) o accontentarci dell’ultimo progetto Valditara anch’esso senza risorse necessarie per una reale efficacia? Certo che no!

Esigiamo una scuola diversa, consultori che supportino le difficoltà dei più fragili, di donne e giovani, obiettivi minimi che ognuno/a nel proprio settore di intervento deve difendere con la lotta. Ci battiamo perché tutti coloro che dicono di voler cambiare o addirittura rivoluzionare questa società si interroghino sul silenzio che circonda la violenza sulle donne. Essa pervade tutti i rapporti personali e sociali come parte essenziale del potere della classe dominante, sia che si eserciti a livello individuale o di massa, in una guerra strisciante nella quotidianità o apertamente manifesta come vediamo oggi in Palestina. Consapevoli di dover combattere per la prospettiva e la costruzione di un mondo senza la sopraffazione di una classe che vive sullo sfruttamento dei poveri e prevede la distruzione di questo pianeta, senza le quali non ci sarà possibilità di alcuna reale emancipazione, chiamiamo tutte e tutti alla denuncia e alla lotta, contro la barbarie che ci sovrasta!

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