L’Antropocene esiste o non esiste? Due parole in merito

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Una delle tracce del tema di maturità, quest’anno, era incentrata su un brano del filosofo della scienza Telmo Pievani e sul tema dell’Antropocene. Alcune persone hanno però fatto notare che il concetto di Antropocene era stato rigettato il 4 marzo 2024 dalla commissione responsabile del riconoscimento delle unità temporali all’interno del nostro periodo geologico più recente (la Subcommission on Quarternary Stratigraphy). Ma quindi, l’Antropocene esiste o non esiste? Lo abbiamo chiesto al giornalista scientifico Massimo Sandal, che è stato ricercatore in biologia molecolare e ha un dottorato in biofisica sperimentale all’Università di Bologna e uno in biologia computazionale in quella di Aquisgrana, e che del tema si è occupato in diverse occasioni.

Sandal, cosa si intende per Antropocene?

Per Antropocene si intende l’epoca della storia della Terra in cui la specie umana è un fattore fondamentale, o addirittura dominante, nel plasmare l’ambiente della superficie terrestre. La definizione è inevitabilmente vaga, ma certo è che questo momento storico vi rientra completamente. L’Antropocene è un momento unico nella storia del nostro pianeta, perché mai una singola specie vivente ha avuto un ruolo così globale e pervasivo su così tanti aspetti dell’ambiente: dalla temperatura, alla composizione dell’atmosfera, al consumo di suolo, alla biodiversità, ai cicli geobiochimici.

Quando si può fare iniziare questo periodo? Esiste un dibattito su questo tema?

Esiste un dibattito che è, se vogliamo, il dibattito sull’Antropocene. Come abbiamo detto sopra, se accettiamo la definizione di Antropocene è sicuro che ora vi siamo in pieno. Quello che non è affatto sicuro invece è quando sia iniziato. È questione di punti di vista. Paul Crutzen – il chimico dell’atmosfera che è considerato di norma il padre di questo concetto, anche se in realtà ci sono diversi precursori  – riteneva che l’Antropocene iniziasse circa con la Rivoluzione Industriale e quindi con l’accelerazione vertiginosa di diverse trasformazioni del pianeta, dall’immissione di anidride carbonica, all’agricoltura che ha sconvolto il ciclo dell’azoto, e così via. Se guardiamo alla biodiversità però l’impatto umano diventa dominante già millenni prima, quando la nostra specie spazza via la megafauna pleistocenica da gran parte del pianeta (eccetto l’Africa, dove le specie di grandi dimensioni avevano avuto tempo di adattarsi agli ominini), delineando l’inizio di quella che oggi chiamiamo sesta estinzione di massa. Se guardiamo a un altro evento fondamentale della biosfera, il rimescolamento delle specie, un buon punto d’inizio può essere lo sbarco degli europei nelle Americhe, che ha permesso a numerosissime specie di attraversare l’Atlantico e segna l’inizio di un rimescolamento globale di specie invasive. Non esiste una risposta ‘giusta’, in verità: l’Antropocene in realtà sfuma in tempi e modi diversi in luoghi diversi, finché lentamente diventa davvero globale. Ogni confine è in qualche modo arbitrario, anche se legato a dati di realtà.

Negli ultimi giorni c’è stata un po’ di polemica in seguito alle tracce di maturità, perché alcune persone hanno fatto notare che per alcuni geologi l’Antropocene “non esiste”. Ma quindi, qual è il suo status scientifico? Cosa hanno stabilito i geologi?

Dipende cosa si intende per “status scientifico”. Il problema è che con la parola “Antropocene” abbiamo mescolato due concetti che in realtà, col senno di poi, sarebbe stato bene separare. 

Da un lato, esiste l’Antropocene come concetto, che condensa in una parola tutta la costellazione degli impatti umani sul pianeta e, evocando un’epoca geologica, ne illumina immediatamente l’entità. In questo senso, “Antropocene” è, come tante parole, uno strumento cognitivo, con i suoi limiti e le sue forze; un concetto che ci aiuta a pensare a quanto abbiamo fatto e stiamo facendo al pianeta. Da questo punto di vista l’Antropocene è un concetto pienamente scientifico, nel senso che la comunità scientifica lo adotta e ne discute quotidianamente; questo non è in discussione, è un dato di fatto.

Dall’altro esiste l’Antropocene come effettiva proposta per delimitare una nuova epoca formale nel ‘calendario’ stratigrafico con cui i geologi descrivono la storia della Terra. Qui ci sono dei requisiti rigorosi da rispettare: in particolare, ogni suddivisione geologica deve avere una linea di demarcazione chiara e inequivocabile, concretamente verificabile in qualche strato di roccia. L’Antropocene, se vogliamo farne un’epoca geologica vera e propria, non può fare eccezione. Allo stesso tempo, questa demarcazione deve essere uno spartiacque che sia coerente col senso del concetto di Antropocene.

Qui qualcosa è andato storto. Come abbiamo visto, non abbiamo ancora un consenso su un momento netto e definito in cui inizia l’Antropocene, e anche se lo avessimo non è detto che questo coincida con un dato geologico verificabile che soddisfi le esigenze formali della geologia. C’è stata una proposta, che faceva iniziare l’Antropocene con la comparsa degli isotopi rilasciati dalle esplosioni delle prime bombe atomiche intorno al 1950. È un confine effettivamente rintracciabile nei sedimenti: il problema è che sembra un confine molto tardivo, fuori fase con l’effettivo inizio dell’impatto umano sul pianeta. Questo ha fatto sbattere la porta a diversi membri del comitato che doveva stilare la proposta sull’Antropocene come epoca geologica, e il conflitto su questo tema ha portato alla bocciatura. 

Quindi, esiste l’Antropocene? Dipende. Nelle scale dei tempi geologiche oggi in uso no, non esiste. Ma dedurre da questo che sia un concetto privo di senso scientifico, come argomentano alcuni geologi, è errato e fuorviante. Lo afferma la stessa International Union of Geological Sciences nel documento in cui rigettano la proposta formale dell’Antropocene: «Il concetto di Antropocene continuerà a essere ampiamente utilizzato non solo dagli scienziati della Terra e dagli scienziati ambientali, ma anche da scienziati sociali, politici ed economisti, nonché dal grande pubblico. In quanto tale, rimarrà un prezioso descrittore nelle interazioni uomo-ambiente. Tuttavia, non sarà riconosciuto come termine geologico formale, ma sarà più proficuamente impiegato in modo informale nelle future discussioni sugli impatti antropici sui sistemi climatici e ambientali della Terra.»

Quindi, possiamo dire che l’antropocene non esiste a livello di stratigrafia, ma che è un concetto utile per comunicare alcune cose?

Esatto. Certo, sarebbe stato carino se fosse stato possibile riconoscerlo a livello stratigrafico, ma non è certo colpa dei geologi: hanno fatto il loro mestiere in modo rigoroso, e hanno avuto tutte le ragioni per rifiutare la proposta. Inoltre non è detta l’ultima parola: è ancora possibile che in futuro una nuova proposta porti a un concetto formale, geologico di Antropocene. 

È importante sottolineare che, quali siano i confini formali, questi non cambiano nulla a livello del dato di realtà. È un po’ come decidere quando finisce il Medioevo: possiamo discutere se finisca nel 1476 con la caduta di Costantinopoli, nel 1492 con lo sbarco di Colombo a Hispaniola, con la riforma protestante nel 1517. Ma il fatto che sia difficile tracciare una riga netta non significa che il Medioevo “non esista”, e infatti gli storici, forse meno puntigliosi dei geologi, non si fanno problemi a usare il termine anche senza confini unanimi, perché comunque l’epoca di Cesare, quella di Carlo Magno e quella di Napoleone restano diverse sotto numerosi punti di vista. Lo stesso vale per la Terra di adesso rispetto a quella di 50.000 anni fa. 

Detto ciò, come ho scritto qualche tempo fa, le parole sono buone se servono a qualcosa. Antropocene serve a qualcosa? Secondo me sì: non tanto per delineare un’epoca nel tempo ma, come accennavo sopra, per descrivere in modo conciso e inequivocabile quanto sia profonda e complessa la nostra traccia, tale da creare condizioni planetarie inedite in tutta la storia della Terra. Però c’è un’osservazione dello scrittore Matteo de Giuli che mi ronza spesso in testa: in un’intervista, disse che Antropocene «è una parola potente, ma ha una strana luccicanza, è un termine che attrae quando invece dovrebbe repellere. […] mi sembra che ormai Antropocene sia un termine che viene utilizzato senza più problematizzarlo, viene estetizzato anzi, con il rischio ulteriore di consumarlo, di farlo passare di moda.»

Ecco, non so se si corra davvero questo rischio, ma è utile ricordare che potremmo essere in qualche modo ammaliati dal fascino dell’Antropocene, dall’idea di vivere un momento senza precedenti sul pianeta, senza comprenderne la portata terrificante. Pensiamo a Grimes che nel 2020 intitola un album “Miss Anthropocene” mentre era la partner di Elon Musk, il quale a sua volta propaganda l’idea velleitaria di fuggire dall’Antropocene andando su Marte. Ecco, se Antropocene è una parola che ci ferma, come se ci fermassimo ipnotizzati a guardare un vulcano in eruzione mentre la lava sta per travolgerci, allora la si può abbandonare. Se però, come credo e spero, Antropocene è un termine che ci sprona a comprendere il mondo e poi cambiarlo, stavolta in un’altra direzione, allora non solo è un termine scientifico (anche se non formalmente geologico), ma è un termine di cui abbiamo bisogno.

Foto di Ralf Vetterle da Pixabay 

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