L’eolico offshore fa perdere 3,9 miliardi a Ørsted

5 months ago 42

Ritardi e rincari nella catena di fornitura, aumento dei tassi di interesse, mancanza di un accordo sui compensi del parco eolico in mare Sunrise Wind a New York e, soprattutto, la cancellazione di un altro progetto statunitense di turbine offshore, Ocean Wind.

Ci sono le difficoltà economiche dell’eolico in mare (di cui parlavamo di recente) dietro la svalutazione da 28,4 miliardi di corone danesi (circa 3,8 miliardi di euro), sui primi 9 mesi del 2023, annunciata ieri da Ørsted, la multinazionale danese che sei anni fa ha spostato il suo focus dall’Oil&Gas all’energia pulita, abbandonando il nome di Dong.

Perdite per 19,9 miliardi di corone (2,6 miliardi di euro) sono infatti dovute allo stop al progetto da 2.250 MW Ocean Wind nelle acque del New Jersey, anche se nel complesso i guadagni dall’offshore del gruppo da gennaio a settembre di quest’anno sono cresciuti di 6,8 mld di corone (oltre 900 mln di euro) rispetto allo stesso periodo 2022, arrivando a 13 mld di corone (1,74 mld di euro), grazie all’incremento di Hornsea 2 e Greater Changhua 1 e 2.

“I significativi sviluppi avversi derivanti dalle sfide della catena di fornitura, che hanno portato a ritardi nella pianificazione del progetto, e l’aumento dei tassi di interesse, ci hanno portato a questa decisione e ora valuteremo il modo migliore per preservare il valore mentre interrompiamo lo sviluppo dei progetti”, spiega riferendosi a Ocean Wind il presidente di Orsted, Mads Nipper. Lo stesso Nipper precisa però che l’azienda procederà alla fase di costruzione di un altro progetto, Revolution Wind, parco in mare da 704 MW al largo di Rhode Island (sempre negli Usa, in New England), per il quale parla di “una creazione di valore futuro attraente”.

Il gigante danese ad agosto ipotizzava 16 mld di corone di svalutazione: l’annuncio di un valore quasi doppio ha fatto crollare le azioni di Ørsted in borsa con un calo del 26% nella giornata di ieri (cui oggi sta seguendo una moderata ripresa) e S&P ha messo sotto osservazione l’azienda in vista di un possibile downgrade.

Quella che arriva da Ørsted è solo l’ultima notizia che ci mostra quanto l’eolico in mare, oggi, sia spesso economicamente in cattive acque.

La settimana scorsa ad esempio BP ha segnalato una svalutazione da 540 milioni di dollari legata ai parchi eolici offshore Empire Wind e Beacon Wind, entrambi negli Usa.

Nei mesi scorsi, un altro megaprogetto eolico offshore, il Norfolk Boreas, nel Regno Unito, da 1,8 GW, è stato cancellato da Vattenfall, perché i ricavi previsti ormai non riuscirebbero più a coprire le spese necessarie a completarlo.

A far saltare i progetti, come spiegavamo, sono i tassi di interesse, che si sommano all’aumento nei costi lungo tutta la filiera.

Secondo Bloomberg, il capex per un parco eolico offshore è aumentato del 57% dal 2021: l’inflazione sul costo dei componenti e della manodopera pesa per circa il 40% degli aumenti, mentre il resto è legato all’impennata dei tassi di interesse.

Secondo Fortune, ci sono circa 9,7 GW di impianti eolici offshore in progetto negli Usa che rischiano di essere cancellati.

La competitività dei parchi eolici in mare insomma ha fatto un grosso passo indietro da quando si erano registrate aste al ribasso addirittura con prezzi negatici ( ad esempio nel 2022 in Danimarca, dove il vincitore di un’asta ha pagato 375 milioni al governo, pur avere il sito). Almeno per ora, questa tecnologia chiave per la transizione energetica ha bisogno di sostegno pubblico.

The post L’eolico offshore fa perdere 3,9 miliardi a Ørsted first appeared on QualEnergia.it.
Read Entire Article