La natura della procedura di valutazione d’impatto ambientale.

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Fiume Elsa

Rilevante pronuncia del Consiglio di Stato in tema di procedimento di valutazione d’impatto ambientale (V.I.A.).

La sentenza Cons. Stato, Sez. IV, 16 novembre 2023, n. 9852 afferma che la procedura di V.I.A. non si limita a una mera verifica tecnico-scientifica in relazione a un’astratta compatibilità ambientale dell’opera in progetto.   In realtà, implica un’ampia, complessa e approfondita analisi comparativa fra i sacrifici ambientali derivanti dalla realizzazione del progetto assoggettato a procedimento di V.I.A. e i vantaggi collettivi da esso derivanti sul piano economico-sociale (e ambientale).

L’autorità preposta al procedimento di V.I.A. ha, quindi, amplissima discrezionalità nell’esprimere il giudizio di compatibilità ambientale: in particolare, “quando viene in rilievo l’esercizio della c.d. discrezionalità tecnica (e in alcuni casi della c.d. discrezionalità mista), il sindacato giudiziale, al fine di assicurare il rispetto del principio costituzionale della separazione dei poteri, è consentito soltanto quando risulti violato il principio di ragionevolezza”.

Il giudizio di compatibilità ambientale non si limita, quindi, a un giudizio tecnico-scientifico – verificabile sulla base di oggettivi criteri di misurazione – ma presenta tipici aspetti di discrezionalità amministrativa e istituzionale, in quanto apprezza i complessivi interessi pubblici e privati coinvolti direttamente e indirettamente.

Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)

Umbria, Appennino sotto la neve

dalla Rivista telematica di diritto ambientale Lexambiente, 15 dicembre 2023

Consiglio di Stato Sez. IV n. 9852 del 16 novembre 2023
Ambiente in genere. Valutazione di impatto ambientale.

La valutazione di impatto ambientale non si sostanzia in una mera verifica di natura tecnica circa l’astratta compatibilità ambientale dell’opera, ma implica una complessa e approfondita analisi comparativa tesa a valutare il sacrificio ambientale imposto rispetto all’utilità socio-economica del progetto, in quanto nel rendere il giudizio di valutazione di impatto ambientale, l’amministrazione esercita una amplissima discrezionalità che non si esaurisce in un mero giudizio tecnico, in quanto tale suscettibile di verificazione tout court sulla base di oggettivi criteri di misurazione ma presenta al contempo profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa e istituzionale in relazione all’apprezzamento degli interessi pubblici e privati coinvolti.

N. 09852/2023 REG.PROV.COLL.

N. 07011/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7011 del 2022, proposto da La Torrazza S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Riccardo Montanaro, Mauro Renna, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Città Metropolitana di Torino, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Massimo Colarizi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Giovanni Antonelli 49;
Comune Torrazza Piemonte, in persona Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Alberto Savatteri, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Ministero della Cultura, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Comune di Torrazza Piemonte, Comune di Rondissone, Comune di Verolengo, Comune di Chivasso, Regione Piemonte, Ministero della Cultura Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio Citta Metropolitana Torino, Arpa Piemonte, Asl To 4, Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco Comando Provinciale di Torino, Societa Metropolitana Acque Torino Spa, Consorzio Irriguo Roggia Natta, Consorzio Irriguo di Chivasso, non costituiti in giudizio;

per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, Sezione seconda, n. 49 del 18 gennaio 2022.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Città Metropolitana di Torino e di Comune Torrazza Piemonte e di Ministero della Cultura;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 settembre 2023 il Cons. Luigi Furno e uditi per le parti gli avvocati, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

I fatti rilevanti ai fini del decidere possono essere sintetizzati come segue.

La Torrazza s.r.l. gestisce la discarica cd. “Fornace Nigra” nel comune di Torrazza Piemonte, composta da 7 celle, attive dal 1981 al 1993, attualmente in fase di post-gestione, e dalla cella n. 8, ad oggi quasi esaurita, deputata allo smaltimento di rifiuti anche pericolosi (tra cui l’amianto).

La cella n.8 è stata autorizzata nell’anno 2000, per il tramite di una VIA emessa con DM 2392/1996 e della successiva autorizzazione alla realizzazione, rilasciata con delibera di giunta regionale n. 9-29155 del 17 gennaio 2000.

Più in dettaglio, in relazione a quest’ultima cella, sia la valutazione d’impatto ambientale (V.I.A.), sia l’autorizzazione alla realizzazione avevano prescritto che, in considerazione dell’elevato stato di compromissione dell’ambiente, l’attività della discarica avrebbe dovuto cessare una volta colmata la vasca.

Tuttavia, con deliberazione n. 369-16125 del 30 maggio 2014, la giunta provinciale di Torino aveva successivamente autorizzato l’ampliamento della cella n. 8, pur precisando che esso dovesse «costituire l’ultimo ampliamento in termini di volumi di smaltimento dell’area in disponibilità della società La Torrazza srl».

Nel 2017, Torrazza s.r.l. presentava alla città metropolitana di Torino una nuova istanza di V.I.A. per un ulteriore ampliamento della discarica mediante la realizzazione della cella n. 9, destinata allo smaltimento di rifiuti pericolosi (incluso l’amianto in matrice sia friabile sia compatta) e non pericolosi.

Avviata l’istruttoria, la città metropolitana indiceva una conferenza di servizi con la partecipazione, tra gli altri, dei comuni di Torrazza Piemonte, Verolengo e Rondissone, dell’A.R.P.A. Piemonte (anche quale componente dell’organo tecnico) e dell’A.S.L. TO4.

Nella prima seduta della conferenza di servizi del 28 giugno 2017, a fronte del pressoché integrale dissenso delle amministrazioni intervenute, veniva espressa una valutazione preliminare sfavorevole al progetto, stante la necessità – già evidenziata nei precedenti atti autorizzativi – di concludere l’attività di discarica per evitare ulteriori compromissioni dell’ambiente, tenuto anche conto della sopravvenuta espansione residenziale in loco.

Torrazza s.r.l., ottenute due sospensioni del procedimento per poter rivedere gli aspetti emersi in sede di conferenza, presentavano delle revisioni al progetto, tra cui la riduzione della volumetria della vasca e dei conferimenti annuali di rifiuti, nonché l’inspessimento della membrana di argilla a protezione della falda sottostante l’impianto, utilizzata anche per l’approvvigionamento di acqua potabile.

Il 26 marzo 2018 si teneva una nuova riunione della conferenza di servizi nella quale le amministrazioni coinvolte ritenevano che «le soluzioni tecnico progettuali proposte dal Proponente con la revisione del progetto non hanno superato i motivi ostativi precedentemente espressi».

La città metropolitana, pertanto, inviava, ex art. 10- bis, l. 241/1990, alla società proponente il preavviso di rigetto dell’istanza motivato in base alle criticità evincibili dai verbali delle sedute della conferenza di servizi, nonché dai pareri negativi emessi dall’A.S.L. TO4 prot. n. 27467 del 23 marzo 2018 e dall’A.R.P.A. prot. n. 31524 del 10 aprile 2018.

La società faceva pervenire le proprie controdeduzioni, nonché un’ulteriore revisione del progetto contemplante, tra l’altro, la rinuncia al conferimento in discarica di amianto in matrice friabile e la previsione di una cella dedicata all’abbancamento dei rifiuti contenenti amianto in matrice compatta.

Alla luce di tale sopravvenienza, la città metropolitana di Torino richiedeva all’A.R.P.A. la conferma o meno delle proprie considerazioni negative, soprattutto in relazione al rischio di dispersione aerea delle fibre di amianto.

Con nota prot. n. 70912 del 7 agosto 2019, A.R.P.A. ha, da un lato, invitava a procedere a una verifica collegiale in sede di conferenza di servizi delle ultime modifiche progettuali e, dall’altro lato, esponeva che la rinuncia allo smaltimento dell’amianto in forma friabile e l’abbancamento dell’amianto in forma compatta avrebbero consigliato di acquisire dalla società un aggiornamento dello studio meteo diffusionale sulla dispersione di fibre di amianto.

Tuttavia, senza riconvocare la conferenza di servizi, la Città metropolitana ha assunto la determinazione conclusiva di segno negativo n. 1938 del 4 giugno 2020, in base al prevalente argomento per cui al di là dei singoli aspetti di dettaglio, la valutazione ambientale complessiva del progetto proposto è una valutazione sito-specifica che non può prescindere dal contesto e della situazione dell’area in cui il progetto andrebbe ad inserirsi, non è dunque possibile disgiungere l’intervento previsto dalla situazione attuale del sito e da aspetti di pianificazione dell’assetto del territorio derivanti da atti pregressi come nel seguito evidenziati…”.

A sostegno di tale fondamentale assunto venivano poi evidenziati i seguenti ulteriori aspetti critici di dettaglio:

1) in relazione ad aspetti pregressi e condizioni territoriali, si evidenziava che la situazione territoriale è caratterizzata da un notevole carico ambientale dovuto alla pregressa attività di discarica, che ha anche determinato una riduzione delle aree destinate a bosco e all’agricoltura nonché una maggiore vulnerabilità dei sistemi acquiferi sottostanti, che vengono emunti anche per il consumo umano; pertanto, in linea con le indicazioni dei provvedimenti autorizzativi pregressi e con la insistente opposizione della popolazione residente (manifestata per il tramite dei comuni partecipanti alla conferenza), veniva enunciata la scelta prioritaria di evitare l’ulteriore protrarsi dell’attività di discarica; è altresì esposto che l’inserimento territoriale della cella n. 9 è attualmente più critica rispetto a quanto esposto nella V.I.A. del 1996 a causa della presenza di una nuova area residenziale, tuttora in espansione, posta immediatamente a sud della zona oggetto dell’intervento ad una distanza di circa 300 m dalla progettata vasca e che, nonostante le ultime revisioni di progetto, non vi è garanzia che le emissioni di amianto permangano al di sotto della soglia di allerta, tenuto anche conto che la proponente non ha aggiornato lo studio meteo diffusionale sulla dispersione delle fibre;

2) in relazione al programma provinciale di gestione dei rifiuti 2006, si evidenziava che tale programma prevede come la collocazione di un impianto a meno di 500 m dalle aree residenziali sia un “fattore penalizzante” ai fini della realizzazione di progetti per lo smaltimento di rifiuti di amianto;

3) in relazione agli aspetti paesaggistici, si esponeva che, sebbene la Regione Piemonte avesse inizialmente prestato parere favorevole al progetto, a seguito della sua prima revisione l’ente aveva richiesto una verifica sotto l’aspetto paesaggistico delle opere per le quali erano state previste delle variazioni, ma che la proponente non aveva trasmesso quanto richiesto;

4) in relazione al pozzo idropotabile, si rilevava che la presenza (già rilevata nella V.I.A. del 1996) di un pozzo idropotabile collocato a valle della discarica rispetto alla direzione di flusso della falda era stata considerata una ulteriore fonte di pericolo rispetto all’attivazione della cella n. 9, posto che – anche se la società ha proposto varie soluzioni per assicurare la protezione della falda – nell’area di Torrazza non sempre è netta e chiaramente evidenziabile la separazione tra i sistemi acquiferi superficiali e profondi, con conseguente rischio di compromissione della qualità delle acque;

5) in relazione ad aspetti sanitari, veniva evidenziato che, sebbene le norme vigenti non imponessero di effettuare la valutazione di impatto sanitario, non erano stati eseguiti gli approfondimenti istruttori sollecitati dall’A.S.L. TO4 al fine di escludere in modo assoluto che la localizzazione dell’impianto porti ad una compromissione della salute delle popolazioni residenti in prossimità dello stesso.

Sulla base di tali ragioni, città metropolitana riteneva che il progetto, seppure tecnicamente corretto, non fosse compatibile sotto il profilo ambientale poiché, in applicazione del principio di precauzione, avrebbe dovuto essere considerata prevalente l’esigenza di proteggere la popolazione e l’ecosistema da un aggravamento della situazione ambientale.

Con ricorso in primo grado Torrazza s.r.l. impugnava la determinazione negativa conclusiva, unitamente agli atti istruttori presupposti, lamentando molteplici vizi di natura procedimentale e sostanziale, tra cui la mancata considerazione della nota “favorevole” dell’A.R.P.A. prot. n. 70912 del 7 agosto 2019 e l’omessa riconvocazione della conferenza di servizi a seguito della stessa (I° motivo di ricorso).

In sede cautelare, il Tribunale amministrativo regionale, ravvisata la plausibile fondatezza del I° motivo di ricorso, sospendeva l’esecutività del provvedimento impugnato ai fini del riavvio del procedimento.

Seguiva la riapertura dell’istruttoria procedimentale al fine di acquisire lo studio meteo diffusionale richiesto dall’A.R.P.A. con la nota prot. n. 70912 del 7 agosto 2019 e una nuova seduta della conferenza di servizi del 15 aprile 2021 per l’analisi dello studio frattanto predisposto dalla ricorrente. In tale seduta, A.R.P.A. dava atto che lo studio dimostrava come, anche nel caso di incidente che porti all’esposizione di amianto, le concentrazioni aeree di fibre si sarebbero mantenute al di sotto della soglia di allerta (1 f/l oltre la recinzione di impianto). Tuttavia, poiché lo studio era stato effettuato considerando la verificazione dell’incidente in orario notturno, l’Agenzia ha suggerito un suo affinamento assumendo la realizzazione dell’evento in orario diurno, durante l’apertura dell’impianto.

Città metropolitana accoglieva la richiesta dell’A.R.P.A., chiedendo alla ricorrente un’integrazione dello studio.

Lo studio integrativo prodotto dalla società confermava il mantenimento delle esposizioni sottosoglia anche nel caso di incidente diurno.

Tuttavia, con determinazione n. 3571, del 16 luglio 2021, città metropolitana confermava il rigetto dell’istanza richiamando tutte le argomentazioni svolte nella determinazione precedente e soggiungendo che la correttezza della modellistica di dispersione delle fibre non ha valore determinante ai fini della V.I.A., permanendo le ragioni ostative già illustrate (tra cui, in particolare, il carico ambientale pregresso sull’area di che trattasi) e il dissenso dei Comuni circostanti.

Torrazza srl. impugnava la sopravvenuta determinazione con atto per motivi aggiunti, formulando nuove censure e reiterando quelle già svolte rispetto al precedente provvedimento.

Con il I° motivo aggiunto lamentava, rispetto alla determinazione n. 3571 del 16 luglio 2021, la violazione delle norme nazionali e regionali in materia di conferenza di servizi (cfr. artt. 14 e ss. l. 241/1990, art. 25 d.lgs. 152/2006, art. 13 l.r. Piemonte 40/1998), la violazione della legge sul procedimento (sub specie artt. 3, 10 e 10 bis l. 241/1990) e l’eccesso di potere per difetto d’istruttoria, illogicità e contraddittorietà manifeste nonché l’elusione dell’ordinanza cautelare. Sosteneva, in particolare, che, nonostante il supplemento istruttorio imposto dal T.A.R., la Città metropolitana avesse disconosciuto la portata delle modifiche progettuali e del nuovo studio meteo diffusionale ai fini della valutazione d’impatto ambientale, impropriamente affermando che una corretta modellistica di dispersione delle fibre rivestirebbe importanza solo nel caso di esito positivo della V.I.A. e, in definitiva, arroccandosi sulla decisione già assunta con la determinazione n. 1938 del 4 giugno 2020. Veniva, inoltre, dedotto altresì il difetto motivazionale del nuovo provvedimento e la violazione dell’art. 10 bis l. 241/1990 per mancata rinnovazione del preavviso di rigetto.

Con il II° motivo aggiunto censurava la nuova determinazione assunta per illogicità, perplessità e contraddittorietà della motivazione, nonché per violazione delle norme euro-unitarie, nazionali e regionali sulla V.I.A. in quanto sarebbe contrario alla logica e alle finalità della valutazione privare di rilevanza un elemento dimostrativo della compatibilità ambientale dell’impianto.

Il Tar. con la sentenza 18.1.2022 n. 49 respingeva il ricorso e, in particolare,

1) dichiarava inammissibili il ricorso principale e quello per motivi aggiunti nei confronti del Ministero per i Beni e le Attività culturali e per il Turismo e del Corpo nazionale Vigili del Fuoco;

2) dichiarava improcedibile il ricorso introduttivo;

3) rigettava nel merito il ricorso per motivi aggiunti;

4) compensava le spese processuali nei confronti delle amministrazioni statali costituite;

Contro quest’ultima decisione Torrazza srl. ha proposto appello, affidato a 8 diversi motivi di cui si dirà oltre.

Si sono costituiti nel presente giudizio di appello città metropolitana di Torino e il comune di Torrazza Piemonte, chiedendo di dichiarare l’appello infondato.

In vista dell’udienza del 28.9.2023 le parti con memorie e repliche hanno argomentato diffusamente a sostegno delle rispettive linee difensive.

All’udienza del 28.9.2023 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

L’appello è infondato.

Con il primo mezzo di gravame, la parte appellante lamenta l’erroneità della sentenza impugnata per la ritenuta infondatezza del primo motivo del ricorso e del secondo motivo aggiunto, con i quali i provvedimenti impugnati erano stati in primo grado censurati per violazione dell’art. 97 Cost, degli art. 14 e ss., 3, 10 e 10-bis della legge n. 241 del 1990, dell’art. 25, d. lgs. n. 152 del 2006, della legge regionale del Piemonte n. 40 del 1998, nonché per il vizio eccesso di potere.

Ad avviso della parte appellante, la sentenza impugnata avrebbe erroneamente omesso di rilevare i vizi di carattere procedimentale che hanno preceduto la determinazione della città metropolitana sul progetto presentato da Torrazza srl., ed eluso il proprio precedente provvedimento cautelare, avallando la conclusione negativa della fase di riesame, senza considerare le risultanze della stessa, sottraendola al vaglio collegiale della conferenza di servizi.

Di qui la conclusione secondo cui la nuova determinazione finale è stata assunta da città metropolitana in violazione delle regole procedimentali fissate per la valutazione delle proposte e per la conseguente espressione del giudizio di compatibilità ambientale.

Il motivo non è fondato.

In senso contrario ricorda il Collegio che, secondo costante indirizzo interpretativo del Consiglio di Stato (cfr. Sez. VII 6.6.2022, n.4600) “l’ordinanza cautelare, essendo una pronuncia meramente interinale non è suscettibile di vincolare in alcun modo o determinare il contenuto della futura decisione della lite nel merito”. Applicando tali consolidate coordinate al caso in esame, il Collegio evidenzia che l’ordinanza di remand adottata dal T.a.r. Piemonte non recava alcun accertamento in ordine alla spettanza del bene della vita e, come tale, era insuscettibile di incidere sui tratti liberi dell’azione amministrativa lasciati impregiudicati dalla stessa.

Con l’ordinanza di remand in disamina, il giudice di primo grado si è limitato a censurare la decisione dell’autorità procedente di prescindere dalle indicazioni di A.R.P.A. fomulate nella nota prot. 70912 del 7 agosto 2019. Dal provvedimento di remand disposto dal giudice di prime cure non promanava, pertanto, alcun vincolo di risultato in ordine alla determinazione finale da adottare da parte della città metropolitana, ma soltanto l’onere, per quest’ultima, di prendere in considerazione, ai fini della determinazione finale, la nota di Arpa prot. 70912 del 7 agosto 2019.

Cosa che città metropolitana ha fatto, motivando il nuovo provvedimento di diniego sul rilevo del carattere non dirimente degli aspetti tecnico-progettuali evidenziati da Arpa, a fronte delle preminenti esigenze di difesa del territorio da ulteriori esternalità negative discendenti dalla discarica gestita dalla società appellante.

A tal riguardo, la pronuncia di primo grado ha, pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dalla parte appellante, correttamente evidenziato come i motivi del (confermato) rigetto dell’istanza di VIA non attengono ad ipotetiche lacune progettuali, ma si collocano su un piano distinto e, segnatamente, a monte delle scelte progettuali di natura squisitamente tecnica.

Ciò, in quanto la valutazione negativa d’impatto ambientale ha fatto leva prevalentemente su aspetti “locatizzativi” dell’impianto, ossia sul suo inserimento all’interno di un contesto ambientale fortemente compromesso dalla pregressa attività di discarica.

Con maggiore dettaglio, come si desume dalla lettura della determinazione n. 1938 del 4 giugno 2020 (richiamata nella determinazione n. 3571 del 16 luglio 2021), l’amministrazione pur avendo valutato, sia la correttezza tecnica del progetto, sia l’utilità socio-economica del nuovo punto di smaltimento dell’amianto, ha nondimeno ritenuto che queste caratteristiche non potessero giustificare un ulteriore sacrificio ambientale a fronte di anni di sfruttamento della zona. In questo senso si spiega l’affermazione, contenuta nella nuova determinazione n. 3571 del 16 luglio 2021, secondo la quale «una corretta e realistica modellistica di dispersione di fibre riveste importanza nel caso di esito positivo della procedura di Valutazione di Impatto Ambientale e non determinante rilievo o dirimente ai fini della valutazione stessa».

Tale affermazione tende, pertanto, a ribadire che il pregio tecnico del progetto non è sufficiente a superare le problematiche ambientali discendenti dall’eccessivo sfruttamento della zona.

La soluzione cui è giunta città metropolitana appare coerente con il consolidato insegnamento giurisprudenziale, a mente del quale la valutazione di impatto ambientale non si sostanzia in una mera verifica di natura tecnica circa l’astratta compatibilità ambientale dell’opera, ma implica una complessa e approfondita analisi comparativa tesa a valutare il sacrificio ambientale imposto rispetto all’utilità socio-economica del progetto, in quanto «nel rendere il giudizio di valutazione di impatto ambientale, l’amministrazione esercita una amplissima discrezionalità che non si esaurisce in un mero giudizio tecnico, in quanto tale suscettibile di verificazione tout court sulla base di oggettivi criteri di misurazione ma presenta al contempo profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa e istituzionale in relazione all’apprezzamento degli interessi pubblici e privati coinvolti» (Cons. Stato, sez. IV,14 marzo 2022, n. 1761).

Ciò, anche alla luce del fondamentale principio di precauzione che sovrintende alla materia in esame. Tale principio, come noto, consiste in un criterio di gestione del rischio in condizioni di incertezza scientifica.

Esso risponde, dunque, alla necessità di fronteggiare e/o gestire i c.d. “rischi incerti”.

Muovendo da tale preliminare considerazione, è possibile coglierne il principale tratto distintivo rispetto all’idea di “prevenzione”. Mentre, infatti, la prevenzione può entrare in gioco solo a fronte di “rischi certi”, ossia in presenza «di rischi scientificamente accertati e dimostrabili, ovverosia in presenza di rischi noti, misurabili e controllabili», la precauzione, al contrario, trova il proprio campo di applicazione allorché un determinato rischio risulti ancora caratterizzato da margini più o meno ampi di incertezza scientifica circa le sue cause o i suoi effetti.

Ne deriva che al concetto di precauzione è connaturata una intrinseca funzione di anticipazione della soglia di intervento dell’azione preventiva.

L’atto di nascita del principio di precauzione, sul piano del diritto positivo, viene comunemente individuato nella Dichiarazione di Rio de Janeiro sull’ambiente e lo sviluppo del 14 giugno 1992, all’interno della quale, nell’ambito del principio n. 15, è stabilito che “Al fine di proteggere l’ambiente, gli Stati debbono applicare intensamente misure di precauzione a seconda delle loro capacità. In caso di rischio di danni gravi o irreversibili, la mancanza di un’assoluta certezza scientifica non deve costituire un pretesto per rimandare l’adozione di misure efficienti in rapporto al loro costo volte a prevenire il degrado ambientale».

Il principio è ripreso in termini analoghi anche nel preambolo della Convenzione sulla diversità biologica (1992) e nell’art. 3 della Convenzione sui cambiamenti climatici (1992), nonché nella Convenzione di Parigi per la protezione dell’ambiente marino per l’Atlantico Nord-Orientale (settembre 1992).

Nello stesso anno della Dichiarazione di Rio, il principio di precauzione ha avuto ingresso anche nell’ordinamento comunitario europeo, per il tramite del trattato di Maastricht, il quale lo introdusse all’interno dell’art. 130R (poi art. 174), par. 2, del trattato CE tra i princìpi sui quali avrebbe dovuto essere fondata l’azione (poi la politica) delle istituzioni comunitarie nel settore della tutela dell’ambiente. Oggi il principio si trova menzionato, nei medesimi termini e nel medesimo contesto, all’interno del par. 2 dell’art. 191 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Grazie all’elaborazione della giurisprudenza dell’Unione Europea, il principio di precauzione ha trovato una esplicita qualificazione giuridica quale “principio generale del diritto comunitario”.

Il fondamento concettuale della logica precauzionale, come osservato in dottrina, può essere ricondotto al principio del cosiddetto maximin, in base al quale, quando si tratta di assumere una decisione in condizioni di incertezza, le scelte devono essere valutate tenendo conto del peggior scenario possibile in termini di possibili conseguenze.

La mancanza di certezza scientifica in ordine alle conseguenze dannose di determinati comportamenti o attività non può giustificare il rinvio di un’azione preventiva adeguata all’entità dei possibili rischi.

Da ciò consegue che, in nome dell’idea di precauzione, l’intervento preventivo non può attendere l’inconfutabile prova scientifica degli effetti dannosi, ma deve essere predisposto sulla base di attendibili valutazioni di semplice possibilità/probabilità del rischio, sulla base delle conoscenze scientifiche e tecniche “attualmente” e “progressivamente” disponibili.

Nel caso di specie, sulla scorta di approfondita istruttoria, che muove anche da precedenti provvedimenti amministrativi e dall’analisi degli effetti pregiudizievoli già verificatisi, l’autorità competente ha reputato che una protrazione dell’attività di discarica genererebbe rischi insostenibili. Gli elementi posti a sostengo di tale conclusione sono: (i) l’attuale evidenza di segni di compromissione ambientale, con riferimento alla riduzione del bosco e dell’agricoltura nonché con riguardo alla perdurante necessità di sottoporre le celle esaurite a monitoraggio e manutenzione; (ii) il rischio, sebbene non certo, ma comunque apprezzabile in ottica precauzionale, che una prolungata esposizione alla dispersione (seppur sotto-soglia) delle fibre di amianto possa impattare sulla salute dei soggetti residenti nelle vicinanze; (iii) la possibilità che la fonte di approvvigionamento idrico della popolazione sia intaccata da agenti inquinanti, giacché – nonostante la proposta implementazione dei sistemi di protezione – nell’area di Torrazza non sempre è netta la separazione tra il sistema superficiale e quello profondo, come avviene invece in altri settori della pianura piemontese.

Alla luce di tali risultanze istruttorie, appare immune da rilievi la decisione con cui l’amministrazione ha reiterato il divieto di autorizzazione.

Ciò, anche alla luce del costante orientamento giurisprudenziale che, proprio muovendo dall’evidenziata lata discrezionalità, non solo tecnica, sottesa al procedimento di rilascio della VIA, afferma il principio per cui il sindacato del giudice non può spingersi, come auspicherebbe la parte appellante, a censurare oltre la decisione amministrativa, laddove, come nella fattispecie in esame, non è ravvisabile il vizio di travisamento dei fatti, o di manifesta incongruità delle scelte adottate (Cons. Stato, Sez. II, 7 settembre 2020, n. 5379).

Rafforza tale conclusione il fatto che anche A.R.P.A. aveva, nella seconda seduta della conferenza di servizi del 26 marzo 2018, ritenuto che le criticità evidenziate nel corso della precedente riunione (e attinenti, ad aspetti di carattere localizzativo nel territorio di Torrazza Piemonte) fossero «difficilmente superabili solo con accorgimenti tecnico progettuali in quanto così come rappresentato in precedenza, si tratta di aspetti legati alla programmazione territoriale relativa a quel sito e al suo conseguente impatto ambientale» (pag. 4 verbale conferenza del 26 marzo 2018). Analogamente, nel parere prot. n. 31524 del 10 aprile 2018 l’A.R.P.A. aveva suggerito di richiedere alla società proponente delle modifiche tecnico-progettuali migliorative solo «qualora l’autorità competente ritenesse utile prevaricare i limiti tecnico-amministrativi del giudizio di compatibilità ambientale del DEC VIA 2392 del 22.02.1996 e dei successivi atti autorizzativi della realizzazione della cella 8» (pag. 5 parere prot. n. 31524 del 10 aprile 2018).

Non sussistono, pertanto, le carenze procedimentali di cui si duole la parte appellante in relazione al mancato esame collegiale del progetto variato alla luce del giudizio espresso da ARPA.

Come correttamente rilevato dal giudice di prime cure, pare evidente che, alla luce delle predette risultanze istruttorie, la stessa A.R.P.A. aveva considerato gli aspetti tecnici secondari rispetto agli aspetti localizzativi dell’impianto, sicché eventuali migliorie dei primi non avrebbero automaticamente potuto condurre all’approvazione del progetto. Neppure nell’ulteriore seduta della conferenza di servizi del 15 aprile 2021, parimenti incentrata sullo studio meteo diffusionale, l’A.R.P.A. ha emesso una valutazione favorevole del progetto, sicché rimane confermata, pur a seguito della riapertura d’istruttoria, il dissenso precedentemente reso dall’Agenzia e condiviso dall’autorità competente.

Analoga considerazione era stata effettuata, del resto, già nella prima seduta della conferenza di servizi, ove, in risposta alle osservazioni del rappresentante della proponente sul modello di dispersione dell’amianto, il presidente della conferenza (rappresentante della Città metropolitana di Torino) aveva affermato che «la preoccupazione di fondo però è comunque la presenza di aree residenziali a distanza prossima alla vasca in cui verrebbero movimentati materiali contenenti amianto; questo e un elemento di impatto da considerare a prescindere dalle modellizzazioni». Non vi sono dunque i presupposti per censurare l’operato dell’amministrazione, che, a fronte dell’ordine giudiziale, ha acquisito lo studio meteo diffusionale sulla dispersione delle particelle di amianto, ma – conformemente a quanto preannunciato – lo ha ritenuto non dirimente per una valutazione positiva d’impatto ambientale.

Va, inoltre, escluso che la nuova determinazione sia affetta da un vizio di motivazione, poiché essa richiama, sia pure per relationem, tutte le argomentazioni contenute nella precedente determinazione n. 1938 del 4 giugno 2020.

A tal riguardo, il Collegio ricorda che è del tutto consolidato il principio secondo cui non sussiste un obbligo di motivazione contestuale dei provvedimenti amministrativi. Tale principio ha trovato riconoscimento normativo nell’art. 3, comma 3, legge 241 del 1990, in base al quale “se le ragioni della decisione risultano da un altro atto dell’amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest’ultima deve essere indicato e reso disponibile, a norma della presente legge, anche l’atto cui essa si richiama”.

Neppure è ravvisabile il vizio di violazione dell’art. 10-bis, l. 241/1990, in quanto, secondo un costante orientamento interpretativo «in caso di riesame, per ordine del giudice, di un provvedimento amministrativo censurato in sede giurisdizionale, la comunicazione del preavviso di diniego ex art. 10-bis citato costituisce un inutile aggravamento dell’attività amministrativa, tenuto anche conto che il riesame dell’istanza è disposto per impulso giudiziale, e quindi con tutte le garanzie del contradditorio proprie del processo, e non su istanza di parte, allorché invece l’art. 10-bis legge 241/1990, come noto, trova applicazione per i soli procedimenti ad istanza di parte» (Cons. Stato, Sez. IV, 4 febbraio 2013, n. 651).

Non sussiste neanche il vizio di mancata valutazione collegiale dovuto alla mancata riconvocazione della conferenza di Servizi. In senso contrario occorre osservare che l’intera istruttoria si è svolta congiuntamente e si è articolata in una lunga e complessa attività, nel corso della quale sono state approfonditamente esaminate le osservazioni di tutti gli enti chiamati a partecipare al procedimento e sono state prese in considerazione e valutate le plurime modifiche progettuali presentate dalla proponente, la quale, a tal fine, ha anche più volte richiesto la sospensione del termine del procedimento.

La conferenza di servizi conclusiva del 26 marzo 2018 ha, quindi, esaminato le integrazioni e modifiche proposte da Torrazza s.r.l. e acquisito gli atti presentati dagli enti partecipanti e le argomentazioni e i pareri dagli stessi espressi in quella sede; ha valutato anche le osservazioni critiche della regione Piemonte, dell’ASL e dell’ARPA, nonché i pareri contrari dei comuni di Torrazza Piemonte, di Rondissone e di Verolengo; i rappresentanti della città metropolitana hanno correttamente ritenuto che le soluzioni tecnico progettuali proposte dal Proponente con la revisione del progetto non avevano superato le criticità e i motivi di inidoneità e non assentibilità del progetto già precedentemente espressi dall’organo tecnico e dalla conferenza dei servizi del 28 giugno 2017.

La scelta di non riaprire la conferenza di servizi appare in linea con il principio di conservazione dei valori giuridici (utile per inutile non vitiatur) e con quello di non aggravamento del procedimento, entrambi riconducibili al superiore principio, di ordine costituzionale, di buon andamento della pubblica amministrazione (art.97 Cost.).

Con il secondo motivo di appello, l’appellante censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato il terzo motivo del ricorso introduttivo e il quarto motivo aggiunto con i quali era stata in primo grado dedotta l’illegittimità dei provvedimenti impugnati per eccesso di potere, per violazione della pianificazione regionale in materia di smaltimento rifiuti contenenti amianto, per violazione art.199 del D. Lgs, n. 152 del 2006.

In particolare, secondo La Torrazza srl., città metropolitana avrebbe esercitato la funzione attribuitale dalla legge assumendo una posizione precostituita e pregiudiziale, considerata già in sede di Conferenza di servizi difficilmente superabile «solo con accorgimenti tecnico progettuali» che «non può prescindere dalle indicazioni contenute nel DEC.VIA n. 2392 del 22 febbraio 1996, ribadite anche dalla Regione Piemonte e dalla Provincia di Torino».

La parte appellante, nella sostanza, assume che la motivazione dei provvedimenti impugnati erroneamente conferirebbe carattere aprioristicamente ostativo alle indicazioni (circa la necessaria cessazione dell’attività di discarica) contenute nel DEC VIA n.2392 del 22.2.1996, dalle quali, di converso, non sarebbe possibile trarre la sussistenza di reali condizioni ostative all’ampliamento di un impianto di rifiuti esistente.

In tali atti non vi sarebbe, a giudizio di La Torrazza srl., alcuna indicazione di criticità ambientali gravi, perché, se così fosse stato, ne sarebbe derivato un provvedimento di diniego di VIA, mentre sia il provvedimento del 1996 che quello del 2014 hanno consentito la prosecuzione dell’attività dell’impianto.

Inoltre, ad avviso dell’appellante, l’impostazione di città metropolitana trascurerebbe di considerare il mutato quadro normativo e pianificatorio, nonché la rivalutazione delle indicazioni recate nel DEC VIA del 1996 effettuata con l’autorizzazione del 2014.

In tale quadro, conclude l’appellante, la motivazione addotta dall’Amministrazione nel “nuovo” diniego dimostrerebbe che – né prima né dopo il “remand” del TAR – vi è mai stata la reale volontà di esaminare l’effettivo impatto sulle matrici ambientali del Progetto presentato da La Torrazza srl.

Le medesime contestazioni vengono reiterate anche rispetto alla nuova determinazione conclusiva. Secondo la parte appellante, l’amministrazione avrebbe effettuato un riesame fittizio della precedente determinazione, poiché – non trovando più reali ostacoli all’accoglimento del progetto – si sarebbe barricata dietro ai precedenti atti amministrativi, attribuendo ad essi valore impeditivo dirimente. Così operando, però, avrebbe espresso un giudizio precostituito e avulso dall’istruttoria procedimentale, con conseguente l’illegittimità del provvedimento per sviamento dalla sua funzione tipica.

Il motivo non è fondato.

Contrariamente a quanto ritenuto dalla parte appellante, le precedenti autorizzazioni avevano posto chiaramente un limite temporale all’attività della discarica, in considerazione dello stato altamente compromesso dell’ambiente circostante, sia in termini di salubrità dell’area (vista anche la vicinanza della discarica alle falde acquifere e al centro abitato), sia in termini di riduzione delle zone boscate e agricole.

Il fatto che tali atti siano stati oggetto di una rivalutazione (come avvenuto, per l’appunto, nel 2014, quando la giunta provinciale ha autorizzato un ultimo ampliamento della cella n. 8) non implica, come afferma La Torrazza srl, l’elisione delle precedenti valutazioni negative di carattere ambientale, né una garanzia per l’ottenimento di ulteriori autorizzazioni pro futuro.

Diversamente da quanto ritenuto dalla parte appellante, le gravi compromissioni ambientali evidenziate negli atti in disamina oneravano città metropolitana del compito di valutare approfonditamente la perdurante compatibilità del nuovo progetto così come nei fatti è avvenuto.

A tale compito città metropolitana ha assolto evidenziando che alla pregressa precaria situazione ambientale si erano aggiunte, negli anni, ulteriori criticità, prima fra tutte l’espansione residenziale nelle immediate vicinanze della discarica e, nello specifico, a circa 300 m dal punto ove verrebbe collocata la cella n. 9.

La circostanza è stata plausibilmente considerata una fonte di aggravamento dei rischi sottesi alla generale priorità di evitare l’ulteriore protrarsi dell’attività di discarica, inducendo l’amministrazione a ritenere non ulteriormente rivalutabili gli indirizzi pregressi.

Come correttamente rilevato dalla decisione impugnata, il provvedimento di autorizzazione negativa ha tenuto in debita considerazione le indicazioni contenute nelle autorizzazioni del 1996 e del 2014, rispetto alle cui risultanze ha evidenziato ulteriori criticità connesse alla espansione residenziale determinata nei pressi della discarica e, segnatamente in corrispondenza della progettata cella n.9. Alla luce di tali rilievi, non può condividersi il giudizio della parte appellante, secondo cui l’amministrazione si sarebbe acriticamente assestata sui suoi precedenti, perché, da un’attenta disamina dell’istruttoria procedimentale, emerge che città metropolitana ha rivalutato le precedenti risultanze alla luce delle mutate caratteristiche ambientali della zona e degli apporti progettuali della proponente.

Con maggiore dettaglio, la determinazione dirigenziale 1998/2020 ha largamente motivato in relazione agli aspetti di cui la parte appellante si duole nei paragrafi titolati “atti pregressi e condizioni territoriali” (pag. da 5 a 7) e nel paragrafo “Programma provinciale rifiuti 2006” (pagg. 7 e 8), dandosi al contempo carico di esplicitare le ulteriori criticità emerse rispetto al “Pozzo idropotabile” ed agli “aspetti sanitari”.

Né, contrariamente a quanto ritenuto dalla parte appellante, a diversa conclusione avrebbe potuto condurre la valutazione del piano regionale dell’amianto. Il Piano regionale dell’amianto enuncia la necessità di incrementare i siti di smaltimento di tale sostanza, ma, come espressamente indicato nelle premesse della delibera approvativa « non costituisce quadro di riferimento specifico per progetti sottoposti a valutazione di impatto ambientale o con effetti significativi sull’ambiente soggetto a valutazione ambientale strategica, tenuto altresì conto del fatto che specifiche azioni potranno opportunamente essere valutate nell’ambito di altri atti di pianificazione, ad esempio in materia di rifiuti» (cfr. pag. 2 deliberazione del Consiglio regionale n. 124 – 7279 dell’1 marzo 2016).

Considerazioni analoghe valgono per il Piano regionale di gestione dei rifiuti speciali, il quale, pur favorendo la realizzazione di un sistema impiantistico territoriale che consenta di ottemperare al principio di prossimità di cui all’art. 199, comma 3, lett. g), d.lgs. 152/2006, perché il generico criterio della prossimità non può che assumere valenza ancillare rispetto all’esigenza di valutare la specifica compatibilità ambientale del singolo impianto con il territorio circostante.

In altri termini, non può revocarsi in dubbio che, a fronte delle generiche e non vincolanti indicazioni promananti dai menzionati Piani regionali, l’amministrazione conservava ampia discrezionalità in relazione alle determinazioni inerenti alle valutazioni di impatti ambientali di singoli progetti, implicanti il contemperamento dei plurimi interessi pubblici e degli interessi privati, positivamente o negativamente l’istanza proposta dal privato.

A tal riguardo, non appare irrilevante neanche quella parte del provvedimento impugnato in cui si pone l’accento sul dissenso dei comuni circostanti alla realizzazione di una nuova cella nonché il fatto che che “l’ulteriore Cella n. 9 si andrebbe dunque ad inserire in un contesto già contraddistinto da un elevato carico ambientale dovuto alla presenza delle esistenti 8 Celle delle discariche di località Fornace Nigra, di cui sette contenenti rifiuti tossico-nocivi e già oggetto di procedimento di bonifica a seguito di fenomeni di inquinamento delle acque sotterranee, nonché da numerose attività di cava in esercizio ed oggetto di recupero che hanno definitivamente modificato l’assetto del territorio rendendolo più vulnerabile e precluso definitivamente ad uno sviluppo più sostenibile e differente di tipo agro-forestale”.

Peraltro, contrariamente a quanto ritenuto dalla parte appellante, la D.G.P. del 2014, nel rivalutare il precedente decreto ministeriale del 1996, limitatamente all’ampliamento della cella 8, l’amministrazione ha confermato il complessivo giudizio negativo rilevando che: “in considerazione del fatto che il piano di ripristino ambientale riguarderà l’intera area comprendendo, oltre che la Cella 8, anche tutte le altre aree interessate dalle pregresse attività di smaltimento (Celle da 1 a 7) e tutte le aree di pertinenza dell’impianto al fine di rendere omogeneo nel complesso, dal punto di vista vegetazionale, il risultato finale del ripristino, si ritiene, allo stato attuale delle valutazioni effettuate, che il progetto presentato debba costituire l’ultimo ampliamento in termini di volumi di smaltimento dell’area in disponibilità della Società la Torrazza s.r.l.”.

Quanto alle censure formulate nei confronti del provvedimento che ha reiterato la valutazione negativa di impatto ambientale, come osservato nel corso dell’esame del primo motivo di appello, il riavvio dell’istruttoria si è reso necessario in ragione dell’ordinanza cautelare del Tar, la quale, come anticipato, ha lasciato l’amministrazione libera circa l’esito del riesame.

Sul piano sostanziale, nella nuova determinazione, città metropolitana ha adeguatamente illustrato le ragioni per cui l’aggiornamento dello studio diffusionale non è stato ritenuto idoneo a superare le criticità date dalla pregressa condizione ambientale del sito.

Con il terzo mezzo di gravame, l’appellante censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il quinto dei motivi aggiunti con il quale in primo grado era stata censurata l’asserita “determinante” rilevanza assegnata, nel provvedimento confermativo della CMT, all’immotivato dissenso espresso dagli enti locali nella Conferenza di servizi del 15.04.2021

Secondo La Torrazza srl., contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata, il dissenso degli enti locali si sarebbe ridotto a un’opposizione aprioristica al Progetto di ampliamento.

Il motivo non è fondato.

In senso contrario alla prospettazione della società appellante, va rilevato che il dissenso dei comuni prossimi all’impianto di che trattasi è stato costantemente reiterato in tutte le sedute delle conferenze di servizi tenutesi nel corso della procedura conclusasi nell’anno 2020, sicché, come correttamente rileva il giudice di prime cure, data l’unicità del procedimento istruttorio è irrilevante che i predetti comuni non abbiano reiterato le proprie argomentazioni nella seduta del 15.4.2021, nella quale hanno, nondimeno, ulteriormenteconfermato il loro dissenso. Già dalla prima seduta della conferenza di servizi del 28 giugno 2017, a fronte del pressoché integrale dissenso delle amministrazioni, è stata espressa una valutazione preliminare sfavorevole al progetto, stante la necessità – evidenziata nei precedenti atti autorizzativi – di concludere l’attività di discarica per evitare ulteriori compromissioni dell’ambiente, tenuto anche conto della sopravvenuta espansione residenziale in loco.

L’assenza di motivazione a sostegno delle posizioni di dissenso non trova corrispondenza nelle risultanze processuali, dalle quali si ricava che i comuni hanno argomentato, non solo in ordine al contrasto della nuova iniziativa con le prescrizioni della DGR dell’anno 2000, ma anche in ordine al peggioramento del carico ambientale derivante dalla realizzazione della nuova vasca, nonché in relazione alle ricadute in termini di rischi sanitari ed allarme sociale.

Nemmeno può essere condiviso il rilievo secondo cui città metropolitana di Torino avrebbe dato valore preponderante al dissenso espresso dagli enti locali nella seduta conferenziale del 15 aprile 2021.

Come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, tale critica incontra la dirimente obiezione per cui la motivazione della determinazione confermativa non è autosufficiente, ma si salda con la motivazione della determinazione n. 1938 del 4 giugno 2020. Pertanto, il dissenso degli enti locali è stato valorizzato nell’ambito della più approfondita considerazione degli aspetti ambientali suscettibili di essere compromessi dalla realizzazione del nuovo progetto.

Con il quarto motivo di appello viene dedotta l’erroneità della ritenuta infondatezza del quarto motivo aggiunto formulato di primo grado, col quale era stata denunciata l’illegittimità del provvedimento assunto, all’esito della procedura rinnovativa, a causa del richiamo, in esso contenuto, alla determina n.1938/2020.

Nella prospettiva di La Torrazza srl., tale determina, essendo stata sospesa dal T.a.r, non avrebbe potuto essere recuperata dalla motivazione dell’atto assunto in rinnovazione.

Il motivo è palesemente infondato.

Come più volte ricordato, l’ordinanza di remand adottata dal giudice di prime cure, conformemente alla sua natura, senza in alcun modo sospendere la determina n.1938/2020, si è limitata a censurare la decisione dell’autorità procedente di prescindere dalle indicazioni di A.R.P.A. nella nota prot. 70912 del 7 agosto 2019. Dal provvedimento di remand disposto dal giudice di prime cure non promanava, pertanto, alcun vincolo di risultato in ordine alla determinazione finale da adottare da parte della città metropolitana, ma soltanto l’onere, per quest’ultima, di procedere ad un approfondimento istruttorio limitato ad un unico aspetto problematico (quello del mancato esame delle indicazioni di ARPA in merito alla problematica della dispersione dell’amianto).

Ne discende che correttamente, all’esito di tale approfondimento istruttorio, città metropolitana si è rideterminata, motivando il proprio, rinnovato, diniego sulla scorta del ragionamento (di portata assorbente) sviluppato nel corpo motivazionale del precedente atto, richiamato per relationem per mere esigenze di sintesi.

Con il quinto mezzo di gravame viene dedotta l’erroneità della sentenza impugnata per la ritenuta infondatezza del secondo motivo del ricorso introduttivo, con il quale era stata censurata violazione delle garanzie partecipative sotto i tre seguenti profili:

-il preavviso di diniego del 17.04.2018 non conteneva la chiara enunciazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, affidandosi a una motivazione scarna e generica;

– il provvedimento finale non teneva conto di molte delle osservazioni presentate dal proponente;

– il provvedimento finale conteneva motivi mai esplicitati in precedenza.

Il motivo non è fondato.

La comunicazione dei motivi ostativi del 17 aprile 2018, richiama, per relationem,le seguenti puntuali argomentazioni che hanno indotto città metropolitana, all’esito della conferenza di servizi, a manifestare il rigetto dell’istanza: il verbale della conferenza di servizi del 28 giugno 2017 (nel quale sono evidenziate le criticità del progetto); il verbale delle conferenza di servizi di del 23 marzo 2018 ( nel quale sono indicate specificamente le criticità e gli elementi di valutazione negativa del progetto, ritenuti perduranti anche a seguito della revisione presentata dal preponente in data 19 ottobre 2017); parere dell’ARPA del 11 aprile 2018; parere dell’A.S.L.TO4 del 23 marzo 2018 .

Nessuna lesione delle garanzie partecipative appare riscontrabile a danno della parte appellante.

A riscontro dell’effettivo raggiungimento dello scopo partecipativo che anima l’istituto del preavviso di diniego, occorre considerare che l’appellante ha mostrato di ben cogliere i motivi per i quali l’Amministrazione aveva comunicato il preavviso di diniego, come dimostra il fatto che, con riferimento agli stessi, ha svolto ampie controdeduzioni (cfr. le osservazioni presentate in data 27 aprile 2018, in data 25 giugno 2019).

Nella seconda seduta della conferenza di servizi, in particolare, erano stati diffusamente illustrati gli ostacoli frapposti dalle varie amministrazioni all’accoglimento dell’istanza. Tali ostacoli erano stati ribaditi nella motivazione della determinazione n. 1938 del 4 giugno 2020 ove, con la quale l’amministrazione competente ha preso posizione in ordine alle controdeduzioni della La Torrazza srtl., disattendendole alla luce della preminente esigenza di evitare ulteriori sfruttamenti dell’area.

Parimenti infondata è la censura che fa leva sul fatto che il provvedimento finale non terrebbe conto di molte delle controdeduzioni formulate dalla parte appellante e conterrebbe motivi nuovi.

In senso contrario va rilevato che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, per un verso non si richiede un rapporto di identità tra il preavviso di rigetto e la determinazione conclusiva del procedimento, né una corrispondenza puntuale e di dettaglio tra il contenuto dei due atti, ben potendo la pubblica amministrazione ritenere, nel provvedimento finale, di dover meglio precisare le proprie posizioni giuridiche e, peraltro verso, è legittimo il provvedimento che non prende posizione in maniera lenticolare sulle single contro-osservazioni sviluppate dal destinatario del preavviso del rigetto, quando, come nella specie, le stesse sono disattese nell’ambito del complessivo ragionamento sviluppato (Cons. Stato, IV, 31 marzo 2010, n. 1834).

Come rilevato correttamente nella sentenza impugnata, l’unica distonia procedimentale ravvisabile nell’intero iter procedimentale portato avanti da Città Metropolitana è quella costituita dalla mancata attivazione dell’aggiornamento dello studio meteo diffusionale (pag. 7 determinazione n. 1938 del 4 giugno 2020), aggiornamento che era stato richiesto dall’A.R.P.A. e da cui città metropolitana aveva deciso di prescindere. Trattasi, tuttavia di una discrasia che è stata sanata per effetto del supplemento d’istruttoria e della rinnovata decisione assunta con la determinazione n. 3571 del 16 luglio 2021.

Con il sesto mezzo di gravame viene dedotta l’erroneità della sentenza impugnata per la ritenuta infondatezza del quarto motivo del ricorso principale e del terzo motivo aggiunto formulati in primo grado.

Ad avviso della parte appellante, città metropolitana avrebbe omesso, nel corso delle sue valutazioni, di adeguatamente apprezzare le positive ricadute che la realizzazione del progetto avrebbe comportato, in termini di risposta al fabbisogno di impianti per lo smaltimento dei rifiuti prodotti nel territorio metropolitano e regionale, e di coerenza con gli obiettivi di minimizzazione del consumo del suolo e dell’attività di movimentazione.

In particolare, con il IV° motivo del ricorso introduttivo l’esponente lamentava l’omissione di un effettivo bilanciamento dei valori compresenti e la mancata considerazione dell’interesse pubblico ambientale sotteso all’esecuzione dell’opera. Nello specifico, deduceva che l’amministrazione non avesse valutato i benefici sociali sottesi alla propria iniziativa e avesse frapposto ad essa indimostrati rischi per la salute dei cittadini, così applicando in modo illegittimo il principio di precauzione e incorrendo in un acritico diniego che troverebbe sostegno soltanto nel cd. effetto NIMBY (not in my backyard).

Tali censure erano interconnesse al III° motivo aggiunto, con cui era stata censurata, per i medesimi rilievi, la determinazione confermativa n. 3571 del 16 luglio 2021, ribadendo come l’amministrazione abbia omesso di apprezzare l’utilità socio-economica del progetto.

Il motivo è infondato.

Il Collegio osserva che quando, come nella specie, viene in rilievo l’esercizio della c.d. discrezionalità tecnica (e in alcuni casi della c.d. discrezionalità mista), il sindacato giudiziale, al fine di assicurare il rispetto del principio costituzionale della separazione dei poteri, è consentito soltanto quando risulti violato il principio di ragionevolezza.

L’appellante, tuttavia, non ha prospettato censure di irragionevolezza tecnica.

Le censure articolate a tal riguardo attengono, infatti, al merito delle scelte amministrative e, in quanto tali, non sono suscettibili di sindacato giudiziale.

Come si ricava dalla lettura della determinazione n. 1938 del 4 giugno 2020 (richiamata nella determinazione n. 3571 del 16 luglio 2021), l’amministrazione ha apprezzato, sia la correttezza tecnica del progetto, sia l’utilità socio-economica del nuovo punto di smaltimento dell’amianto, ma ha ritenuto che queste caratteristiche non potessero giustificare un ulteriore sacrificio ambientale a fronte di anni di sfruttamento della zona, circostanza – questa – che vale, di per sé, a escludere l’invocato effetto NIMBY.

Con il settimo mezzo di gravame viene dedotta l’erroneità della sentenza impugnata per la ritenuta infondatezza del quinto motivo del ricorso introduttivo con il quale era stata dedotta la violazione degli artt. 23 e seguenti del d.lgs., n. 152 del 2006, degli artt. 12 e seguenti della legge regionale del Piemonte n. 40 del 1998, del d.lgs. n. 36 del 2003 e la violazione del PRGC del Comune di La Torrazza Piemonte, oltre che il vizio di eccesso di potere.

In particolare, con il V° motivo del ricorso introduttivo La Torrazza srl. censurava la parte della determinazione n. 1938 del 4 giugno 2020 che, facendo applicazione del Programma provinciale di gestione dei rifiuti 2006, considera la presenza di un’area residenziale a meno di 500 m dalla cella n. 9 quale “elemento penalizzante” per l’istanza.

L’amministrazione, ad avviso dell’appellante, non avrebbe considerato che l’area oggetto d’intervento è collocata – secondo la pianificazione comunale di La Torrazza Piemonte – in zona “SP. II/d – Zone per attività di interesse collettivo – Attrezzature per discarica di categoria B”.

Inoltre, a giudizio di La Torrazza srl., il Programma provinciale di gestione dei rifiuti 2006 sarebbe inapplicabile, sia in quanto sottoposto a validità temporale sino al 2011, sia perché contrastante con il punto 2.1 dell’Allegato 1 al d.lgs. 36/2003, che escluderebbe la fissazione di precostituiti limiti di distanza dalle discariche. In ogni caso, la distanza accertata (compresa tra i 500 e i 300 m) non avrebbe valore escludente l’istanza.

Il motivo non è fondato.

Come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, non trova corrispondenza in atti la circostanza per cui l’amministrazione abbia omesso di considerare la destinazione urbanistica della zona. Dalla lettura del verbale della seconda seduta della conferenza di servizi si ricava, per un verso, che la localizzazione della cella n. 9 (spostata in esito alla prima revisione progettuale) appare coerente con la destinazione d’uso fatta dallo strumento urbanistico comunale, e , per altro verso, che siffatta circostanza, determinando semplicemente la superfluità di una variante urbanistica, non era dirimente ai fini dell’accoglimento dell’istanza (cfr. pag. 2 verbale della seduta del 26 marzo 2018). Va, inoltre, disattesa la censura che fa leva sulla non applicabilità del Programma provinciale di gestione dei rifiuti 2006.

La scadenza temporale fissata al 2011 nella delibera di approvazione del Programma è meramente ordinatoria, poiché connessa all’esigenza di aggiornamento della pianificazione. Ne discende che, in difetto di approvazione di un nuovo programma, le previsioni del precedente, contrariamente a quanto ritenuto dalla parte appellante, non hanno mai perso efficacia.

Non vi sono, inoltre, elementi di difformità rispetto alla fonte primaria di cui all’Allegato 1 del d.lgs. 36/2003: da un lato, il punto 2.1 di tale Allegato non esclude la predeterminazione di limiti spaziali rispetto alle discariche; dall’altro lato, tali limiti sono stati fissati in esplicazione delle competenze provinciali enunciate all’art. 197 d.lgs. 152/2006, le quali comprendono l’individuazione, mediante atti di pianificazione e programmazione, «delle zone idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti, nonché delle zone non idonee alla localizzazione di impianti di recupero e di smaltimento dei rifiuti» (art. 197, comma 1, lett. d).

In relazione alla parte del provvedimento impugnato nella quale si afferma che la vasca sia posta a circa 300 metri da case di civile abitazione costituisce una “situazione meno cautelativa rispetto alla situazione in essere ed ancor meno rispetto alle valutazioni di rischio effettuate dal Ministero”, l’appellante, come anticipato, ritiene che il punto 1.2 dell’allegato 1 al d.lgs. n. 36 del 2003 non fissi limiti di distanza specifici ma preveda che la valutazione debba essere effettuata caso per caso, mentre nel caso in esame un simile esame non sarebbe stato compiuto anche in ragione del fatto che l’Amministrazione non avrebbe tenuto conto delle caratteristiche del nuovo impianto rispetto al preesistente e della rinuncia da parte della società a smaltire alcune tipologie di rifiuti.

Contro questa prospettazione depone, tuttavia, chiaramente la motivazione del provvedimento impugnato, nella parte in cui si afferma che:

“Le aree residenziali più prossime all’area di intervento si trovano oggi ad una distanza di oltre 600 m dal bordo della vasca della Cella 8 oggetto del DEC VIA. Con la realizzazione della cella 9 in direzione sud verso il centro abitato, con conseguente sensibile riduzione della distanza dal nuovo bordo vasca, tali aree si verrebbero a trovare invece ad una distanza dell’ordine di circa 300 metri dall’opera in progetto, situazione meno cautelativa rispetto alla situazione in essere e ancor meno rispetto alle valutazioni di rischi effettuate dal ministero”;

-“per le discariche di rifiuti speciali, le aree ricomprese nella fascia del 500 m siano da considerarsi fattore penalizzante. Nel caso in questione, con le aree residenziali ad una distanza di circa 300 metri dal bordo vasca della nuova cella 9, è dunque evidente un fattore penalizzante per la realizzazione del progetto”.

Parimenti nel verbale della conferenza dei servizi del 28 giugno 2017 si legge: “…dal punto di vista del Piano Provinciale Gestione Rifiuti del 2006 (PPGR). Il Piano contiene alcune condizioni escludenti e penalizzanti per la realizzazione di discariche. Una di queste è il rispetto della fascia di 200 m da centri abitati dalle discariche di rifiuti speciali (come la discarica in esame); il PPGR dice che in sede di microlocalizzazione di VIA si può valutare l’ampliamento della fascia di rispetto fino a 500 m in base ad una serie di criteri (caratteristiche rifiuto, emissioni, presenza di barriere fisiche o infrastrutture, uso agricolo del suolo); in ogni caso, per le discariche di rifiuti speciali, le aree comprese nella fascia di 500 m sono da considerarsi penalizzate. Il Proponente ha verificato che le aree residenziali sono al di fuori della fascia dei 200 m. Fa osservare però che dal bordo vasca della cella 9 le aree residenziali sono fra i 250 e 400 m, quindi determinano criteri penalizzanti sull’area.

In base alle disposizioni del Programma provinciale di gestione dei rifiuti 2006, la distanza dall’area residenziale è stata, pertanto, correttamente considerata un elemento non escludente (quale sarebbe stata la distanza inferiore ai 200 m), bensì penalizzante, dunque concorrente al giudizio d’incompatibilità ambientale.

Con l’ottavo mezzo di gravame viene dedotta l’erroneità della sentenza impugnata per la ritenuta infondatezza del sesto motivo di ricorso con il quale in primo grado era stata dedotta la violazione degli artt. 4 e 5 del D. Lg n. 152 del 2016 e il vizio di eccesso di potere.

In particolare, con il sesto motivo del ricorso di primo grado La Torrazza censurava l’infondatezza intrinseca dei restanti aspetti posti dall’amministrazione alla base della determinazione di segno negativo di cui alla determina n. 1938 del 4 giugno 2020 (rischio di dispersione delle fibre di amianto, aspetti paesaggistici, aspetti sanitari, pozzo idropotabile), anche alla luce delle valutazioni amministrative contenute nella relazione tecnica redatta dal proprio.

Anche in relazione a tale motivo di appello, il Collegio ribadisce che quando viene in rilievo l’esercizio della c.d. discrezionalità tecnica (e in alcuni casi della c.d. discrezionalità mista), il sindacato giudiziale, al fine di assicurare il rispetto del principio costituzionale della separazione dei poteri, è consentito soltanto quando risulti violato il principio di ragionevolezza.

L’appellante, tuttavia, non ha prospettato in relazione al motivo in esame censure di irragionevolezza tecnica.

Le censure articolate a tal riguardo attengono, infatti, al merito delle scelte amministrative e, in quanto tali, non sono suscettibili di sindacato giudiziale.

Peraltro, come rilevato dal giudice di prime cure, i rilievi che sorreggono il presente motivo di appello appaiono anche irrilevanti, poiché attinenti ad aspetti che sono stati considerati elementi del tutto ancillari, nella motivazione del provvedimento che ha negato l’autorizzazione, rispetto alla principale ragione d’incompatibilità ambientale data dall’esigenza di evitare una protrazione dell’attività di discarica.

Come già si è avuto modo di rilevare, il superamento della problematica relativa alla dispersione aerea delle fibre è stato, in maniera non irragionevole, ritenuto dall’amministrazione un elemento non idoneo a mutare l’esito negativo del procedimento autorizzatorio. Allo stesso modo risulta secondaria, nell’apprezzamento complessivo effettuato dall’amministrazione, la questione inerente all’omessa trasmissione di una relazione di compatibilità paesaggistica delle varianti progettuali. Quanto agli aspetti prettamente sanitari, il rilievo per cui la proponente non ha prodotto studi dimostrativi dell’inesistenza di pregiudizi alla salute della popolazione tende ad avvalorare il ricorso al principio di precauzione, fermo restando che la permanenza della discarica avrebbe ugualmente comportato dei pregiudizi all’ecosistema circostante. Giova, sul punto, precisare che sarebbe stato comunque onere della proponente adempiere alla richiesta istruttoria dell’A.S.L. TO4 per addurre ulteriori elementi a sostegno della propria posizione. Con riferimento, infine, alla questione relativa al pozzo idropotabile, dalla motivazione del provvedimento di diniego dell’autorizzazione emerge che la stessa è stata ragionevolmente considerata una ulteriore fonte di pericolo ostativa alla protrazione dell’attività di discarica vicino alla falda, anche in ragione della considerazione per cui, a prescindere dalle misure di contenimento adottabili, non vi sarebbe comunque la certezza che il sistema acquifero possa essere ritenuta al riparo dalle contaminazioni.

Anche tale motivo deve, pertanto, essere disatteso.

Va, infine, respinta la richiesta di consulenza tecnica reiterata dall’appellante anche nel presente giudizio di appello, apparendo la stessa meramente dilatoria, non ravvisando il Collegio, dall’esame della documentazione prodotta in giudizio, una situazione di incertezza fattuale che necessiti di essere superata mercé l’incombente istruttorio richiesto.

Alla luce delle complessive ragioni che precedono l’appello deve essere respinto.

La particolarità della questione giustifica l’integrale compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge nei sensi di cui in motivazione.

Compensa tra le parti integralmente le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 settembre 2023 con l’intervento dei magistrati:

Vincenzo Neri, Presidente

Vincenzo Lopilato, Consigliere

Luca Lamberti, Consigliere

Michele Conforti, Consigliere

Luigi Furno, Consigliere, Estensore

 
 
L’ESTENSOREIL PRESIDENTE
Luigi FurnoVincenzo Neri
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO

pubblicata il 16 novembre 2023

Venezia, Isola di San Giorgio in Alga, una delle poche di proprietà pubblica

(foto D.M., S.L., S.D., archivio GrIG)

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