Nino Pecoraro, il medium che “visse” più volte

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di Paolo Cortesi

Il medium Nino Pecoraro rappresenta un caso unico in tutta la storia dello spiritismo.

Iniziò la sua carriera nel modo più tradizionale, scoprendo con costernazione fin da bambino – disse – di essere al centro di fenomeni incontrollabili e paurosi, come spostamento d’oggetti, improvvise apparizioni spettrali, gemiti e grida provenienti da figure sconosciute che apparivano per un istante o gli passavano accanto, sfiorandolo, in un vento gelido. Emigrato negli Stati Uniti, iniziò la sua professione di medium (dico professione, perché agiva dietro compenso). Arthur Conan Doyle, appassionato quanto ingenuo spiritista, lo riconobbe medium autentico e dotato di grandi poteri.

Nel 1931, Nino Pecoraro dichiarò pubblicamente di avere sempre usato trucchi nelle sue sedute, di avere sempre prodotto lui stesso le manifestazioni spiritiche, di essere certo che nessuno avesse mai veramente visto e tantomeno evocato uno spirito. Pochi anni dopo, Pecoraro riprese la sua attività di medium come non avesse mai sottoscritto questa sua formale dichiarazione. Addirittura, nel 1937, pubblicò una indignata protesta contro chi metteva in dubbio le sue facoltà medianiche.

E, cosa ancora più sorprendente, nessuno trovò strano questo suo comportamento.

Inizi di una carriera da medium

Scopritore delle pretese facoltà medianiche di Pecoraro fu il dottor Anselmo Vecchio, un medico italiano emigrato negli Stati Uniti all’inizio del Novecento, spiritista e amico della celebre Eusapia Palladino, il quale fu anche colui che creò la fama del giovane napoletano, scrivendo su riviste di metapsichica e sui giornali delle sue mirabolanti capacità.

Nino Pecoraro – scrisse il suo mentore, a cui lascio la responsabilità di tutta la seguente biografia del medium – nacque a Napoli il 13 marzo 1899. La sua medianità si rivelò fin dall’età di sei anni e fu una brutta scoperta, perché l’incontro di Ninetto col mondo degli spiriti fu terrificante: gli apparivano nella penombra 

«persone strane e sconosciute che gli camminavano dappresso; sentiva il calpestio dei loro passi; avvertiva, a volte, l’azione delle loro mani che gli davano delle strappate al colletto della giacca».

Col crescere del piccolo medium inconsapevole, crescevano i fenomeni, anzi peggioravano: di notte, il suo letto era agitato violentemente, terrorizzando Nino e suo fratello Icilio con cui dormiva. «Ed anche questo strano fenomeno» raccontò il dottor Vecchio sulle pagine della rivista Luce e Ombra «fu tanto vero e reale che il Ninuccio non potè mai più dormire solo, né coi fratelli. Soltanto la buona mamma pare che agisse da scongiuro, e che sino al giorno della sua morte, avvenuta per colera nel 1911, dové tenerlo a dormire nel proprio letto».

Nel 1913 morì anche il padre, Gennaro, e Nino lasciò la scuola (aveva poco meno di 13 anni), per fare il venditore ambulante di profumi. In seguito, dopo due anni trascorsi come operaio nel cantiere Ilva di Bagnoli, il Pecoraro fu chiamato al servizio militare «a soli diciotto anni e mezzo». Scrive Vecchio: 

«Servì onorevolmente la Patria sino alla fine della guerra, e nel 1918, congedato fece ritorno a casa».

Nino Pecoraro compiva diciotto anni e mezzo nel settembre 1917; ebbe dunque un tempo molto breve per servire onorevolmente la Patria.

Ma a Joseph Dunninger, che incontreremo fra poco, Nino raccontò una storia molto diversa: 

«Nato e cresciuto in Italia, Nino aveva un’avversione per il servizio militare. Quando si avvicinò il momento di arruolarsi nell’esercito, divenne eccentrico. Si scoprì capace di assumere uno stato simile alla trance, accompagnato da spasmi incontrollati. Per sua stessa confessione, Nino fu rinchiuso in un manicomio. Lì, ha continuato i suoi attacchi folli. Venne legato; riuscì a sciogliersi. Questo gli piacque. Quando si comportò in modo più selvaggio di prima, gli misero la camicia di forza e fu di nuovo in grado di liberarsi. Il suo caso divenne sconcertante. Infine si mostrò più ragionevole, e così fu dichiarato non pazzo né idoneo al servizio militare».

Da Napoli a New York

Il 16 dicembre 1920, il giovane napoletano emigrò negli Stati Uniti per raggiungere un fratello che si trovava lì da un paio d’anni. Sbarcato a New York il 12 gennaio 1921, seguì la sorte di migliaia di emigrati italiani: trovò lavoro come cameriere nel ristorante Vesuvio in Second Avenue; riprese poi la vecchia attività di venditore ambulante.

Nel settembre di quel 1921, iniziò la carriera di Pecoraro come medium, ed iniziò in un modo strano: «trovandosi a chiacchierare con un amico» scrisse il dottor Vecchio «si ebbe per equivoco, da un poliziotto, due colpi di randello, che gli fratturarono il braccio sinistro. Fu in tale contingenza dolorosa che capitò nel mio ufficio e sotto la mia osservazione».

Curioso: il dottor Vecchio – che pure racconta la storia di Nino nei dettagli, dandoci perfino il nome del piroscafo (Brago) con cui sbarcò in America – su questo episodio è reticente; sembra voler dire e non dire; accenna e svia: perché un poliziotto avrebbe dovuto dare due violenti colpi di manganello ad un tale che sta chiacchierando con un amico? Si trattava forse di una rissa? Di un assembramento? Si fracassa un osso «per un equivoco»? Purtroppo sì, ma Vecchio, che sapeva com’erano andati i fatti, avrebbe potuto dirci qualcosa di più.

A New York 

«gli Abitatori del Mondo Occulto non lo lasciarono una sola settimana in pace. […] mai una notte tranquilla; mai tre ore di sonno placido: lamenti, invocazioni, grida forsennate, ecco la cronaca notturna».

Nino abitava presso il fratello che, esasperato dalle continue manifestazioni spaventose, lo pregò di andarsene; il giovane fu così ospitato dal dottor Vecchio, che scrive: 

«Il medium, a quel tempo, era già impiegato nella mia farmacia, ed io provvidi anche al suo alloggio, come già sino allora avevo sempre provveduto al suo mantenimento».

Teniamo a mente questo dettaglio importante: l’attività medianica è stata, per Nino, una fonte non irrilevante di guadagno, e per motivi economici, come vedremo, abbandonerà (temporaneamente) lo spiritismo. E probabilmente per lo stesso motivo tornerà qualche anno dopo a fare il medium.

Il dottor Vecchio era spiritista molto prima di conoscere «l’esaltato giovanotto»; nel 1914 aveva pubblicato a New York un volume, Spiritismo. Pagine sparse, che raccoglieva i suoi articoli usciti dal 1910, alcuni dei quali erano dedicati a sedute spiritiche condotte con la famosa Eusapia Palladino. Inutile dire che Vecchio era convintissimo della realtà dello spiritismo, «questa novella scienza» scrisse al termine del suo libro «che soddisfacendo il cuore e l’intelletto è inesorabilmente destinata a divenire la religione vera di un prossimo avvenire».

Una seduta con Arthur Conan Doyle

La sera del 14 aprile 1922, presso il laboratorio della American Society for Psychical Research in New York, ebbe luogo la seduta alla presenza di Arthur Conan Doyle che fece di Pecoraro, «il medium le cui manifestazioni avevano orientato l’autore di Sherlock Holmes verso le scienze occulte», come leggiamo sulla Stampa e sul Corriere della Sera dell’11 aprile 1931.

In realtà, quando incontrò il medium napoletano, A. C. Doyle frequentava l’al di là da molti anni; aveva aderito alla British Society for Psychical Research fino dal 1893; nel 1916 aveva scritto: 

«Lo spiritismo è una nuova Rivelazione, il più grande evento religioso dopo la morte di Cristo. L’esistenza degli spiriti è provata». 

Nel 1920 aveva iniziato, con la moglie, un tour di conferenze in sostegno dello spiritismo che lo portò in Europa, Stati Uniti, Australia e Nuova Zelanda.

La fede di Conan Doyle negli spiriti era assoluta, veramente cieca. Ritenne autentico ogni fenomeno che credette di vedere nelle decine di sedute cui partecipò, non ebbe mai alcun dubbio su ogni affermazione di ogni medium, e davanti all’abilità di prestigiatore di Houdini (che sapeva replicare ogni preteso intervento spiritico) si convinse che questi era un potentissimo medium inconsapevole.

Insomma, ingannare Arthur Conan Doyle non era difficile.

Nella seduta del 14 aprile 1922, a Pecoraro vennero legate mani e caviglie con filo di ferro; quindi il medium sedette dietro la tenda che, in un angolo della stanza, isolava il cosiddetto gabinetto medianico (che era per i credenti lo spazio in cui fluiva dal corpo del medium l’ectoplasma, o la misteriosa energia, che originava i fenomeni fisici). Nella serata – descritta sinteticamente dal dottor Vecchio in una sua relazione – si udì il suono di un pianoforte giocattolo e di un tamburello che erano stati posti su un tavolo vicino al gabinetto medianico, dal cui interno vennero lanciati in seguito cinghia dei pantaloni, colletto e cravatta del medium, un campanello venne suonato.

Si trattò di una seduta a manifestazioni fisiche, nella quale protagonisti furono solo gli oggetti, che si credettero mossi dagli spiriti dato che Pecoraro era ritenuto immobilizzato e in profonda trance dietro la tenda. Ninuccio, come lo chiamava Vecchio che faceva anche da interprete, non era un medium intellettuale, non dava messaggi morali, non faceva filosofia e non metteva in comunicazione coi vivi le anime dei grandi morti, ma si limitava a produrre movimenti di cose, nella completa oscurità.

In trance, Pecoraro era guidato (così affermava) dallo spirito di Eusapia Palladino, la celebre medium, che come lui parlava dialetto napoletano. Quella sera, davanti a Sir Conan Doyle e signora, Hereward Carrington e Allerton Cushman, della A.S.P.R., una voce in falsetto uscì dalla tenda: «Io che ero usa evocare gli spiriti, ora vengo tra voi come spirito io stessa», secondo la traduzione di Vecchio.

La difficoltà di Ninuccio con le lingue era evidentemente la stessa di Eusapia: durante una seduta, un osservatore tedesco di nome Stroening chiese di poter interrogare qualche entità nella sua lingua; scrive Vecchio: «la buona Eusapia ha subito risposto: Terisco…e chi ‘u capisce. Chella a Germania à perso… N’ata vota, dotto’, n’ata vota…». Esilarante l’osservazione sul fatto che la Germania aveva perso la guerra, come fosse un valido motivo per non avere dialogo con spiriti tedeschi.

Immagine: Nino Pecoraro e Arthur Conan Doyle, col disegno che mostra Pecoraro nel corso della sua prima seduta medianica negli Stati Uniti (dal quotidiano “Bakersfield Californian” del 26 aprile 1922 – Wikimedia Commons, pubblico dominio)

Il medium nel sacco

Per le sue prestazioni, Nino Pecoraro esigeva di essere rinchiuso dentro un sacco di tela da cui sbucava solo la testa; le mani erano infilate in guanti senza dita che venivano cuciti alle maniche, i polsi erano legati con più giri di spago e i nodi erano sigillati con la ceralacca.

Queste che sembravano precauzioni invincibili contro i trucchi, erano invece le condizioni che lui stesso poneva per esibirsi e, come vedremo, creavano l’ambiente in cui poteva meglio divincolarsi. Certo non era facile estrarre una mano dai guanti e tagliare il sacco, l’operazione era lunghissima: per circa tre ore si attendevano al buio che iniziassero i fenomeni spiritici, tre estenuanti ore durante le quali Pecoraro contorceva mano e braccio e, per non fare udire il rumore dei movimenti, parlava in falsetto fingendo di essere Eusapia Palladino e chiedeva ai presenti di conversare fra loro e anche di cantare.

Nel dicembre 1923, Nino Pecoraro partecipò ad un premio di 2.500 dollari messo in palio dalla rivista Scientific American per il medium che fosse riuscito a produrre effetti fisici sotto il controllo di una commissione di esperti di cui faceva parte anche Houdini.

Pecoraro tenne quattro sedute, al termine delle quali il comitato arrivò alla conclusione che il giovane medium con l’auto-ipnosi tentava inconsciamente di liberarsi dalle corde: vi erano chiari indizi che rivelavano come egli cercasse di sciogliersi dai nodi, perfino segni di denti sulla stoffa e saliva sui guanti, nodi manomessi, sue impronte digitali sulle campanelle, un potente odore d’aglio che emanava dalla bocca del medium ma anche dalla tromba da cui usciva la sedicente voce di Eusapia. In sostanza: ogni manifestazione nella seduta avrebbe potuto essere realizzata senza ipotizzare un qualsiasi intervento soprannaturale, ma solo grazie ad una grande, umana abilità. Una volta, sporgendosi troppo avanti per raggiungere gli oggetti che doveva muovere (la solita roba: trombetta, tamburello, campanello), Nino legato alla sedia perse l’equilibro e crollò a terra, ferendosi al naso.

E tuttavia, la maggioranza del comitato non dubitò dell’autenticità della trance di Pecoraro, e giunse alla conclusione che avevano trovato un medium che non si poteva definire come un imbroglione consapevole (we find a medium whom we cannot characterize as a conscious fraud). Va detto che questa non era l’opinione di Houdini, che una volta legò il medium in modo tale per cui non avvenne nessuna pretesa manifestazione di spiriti.

Pur non avendo convinto pienamente la commissione dello Scientific American, Nino Pecoraro continuò la sua professione di medium con successo. Nel novembre del 1929, ad esempio, la direzione della rivista metapsichica The Psychic World, ingaggiò il trentenne napoletano per una serie di sedute, che si svolsero a casa di Hugh F. Munro, il quale fu il “controllore” e scrisse la relazione finale.

Nino ripetè tutto il repertorio collaudato: suono e lancio della trombetta, scuotimento del tavolo accanto al gabinetto medianico, campanello agitato, colpi, soffi, sbuffi. La conclusione di Munro fu solenne: 

«Per quanto riguarda la percezione sensoriale, abbiamo visto le leggi fisiche più saldamente stabilite apparentemente neutralizzate dall’azione di qualche altro agente o forza invisibile, e non mancano indicazioni secondo cui non è lontano il giorno in cui la scienza ortodossa dovrà fare i conti con tali esperienze». (As far as sense perception goes, we have seen the most firmly established of physical laws apparently neutralized by the action of some other invisible agent or force, and indications are not lacking that the day is not far distant when orthodox science will have to reckon with such experiences).

La confessione

Nel 1931, Nino fu il protagonista di un «punto di svolta nella storia attuale dello spiritualismo», come affermò Joseph Dunninger (1892-1975), un mentalista professionista e uomo di spettacolo che smascherava i trucchi dei medium. Il 9 aprile 1931, durante una affollata conferenza stampa, Nino affermò: 

«conosciuto negli ultimi undici anni come un medium spiritico, dichiaro che sono in possesso della innata naturale abilità di liberarmi da ogni tipo di legature e diverse forme di contenimento, in modo tale da permettermi di fare ogni cosa, come scrittura di messaggi, suono di tromba, spostamento di oggetti, scrittura di messaggi su carta e creare ogni tipo di effetto fenomenale. Dichiaro che, nel presente come nel passato, ho fatto queste cose personalmente e assolutamente senza alcuna assistenza e con ciò affermo che, poiché faccio queste cose da solo e ne sono strettamente cosciente, non sono mai stato aiutato da nessuno spirito, né da alcuna forza spiritualistica di sorta. Quindi credo che nessuno abbia mai visto un autentico spirito, in quanto in tutti gli undici anni della mia esperienza non ne ho mai visto uno e non credo che nessun altro abbia mai visto uno spirito. Io ho prodotto personalmente ogni effetto che fu visto dai miei esaminatori, senza alcun aiuto spiritualistico di sorta». (La traduzione dall’inglese è mia).

La dichiarazione era sottoscritta da Nino Pecoraro e da sei testimoni. Nel libro di Joseph Dunninger Inside the medium’s cabinet (New York, David Kemp and Company, 1935) è pubblicata la fotografia del documento; la stessa fotografia si può vedere anche a pagina 215 del fascicolo di luglio 1931 della rivista Science and Invention. In questo numero, è presente pure un’intervista col finto medium il quale, tra l’altro, disse: 

«Veramente, mi sono spesso guardato attorno dentro al mio gabinetto, sperando di osservare qualcuno di quegli spiriti che i miei spettatori credenti (believers) dicevano di vedere. Se c’erano, mi erano del tutto invisibili. Penso che il mio pubblico abbia molte allucinazioni».

La confessione di Pecoraro fece scalpore; molti giornali statunitensi la riportarono, ripresa anche da diverse testate italiane.

Il Corriere della Sera titolava: «Duro colpo alla scienza occulta. Noto medium che svela i trucchi». Nell’articolo si poteva leggere: 

«A un uditorio, composto in massima parte da giornalisti, secondo quanto si apprende da Nuova York, il Pecoraro ha fatto questa sensazionale confessione: Abbandono l’occultismo – egli ha protestato – perché sono stanco di vivere in topaie e mangiare male. Ha aggiunto poi che il mestiere di medium non gli procurava quanto basta a vivere e che è suo proposito di compiere un giro di conferenze per svelare i trucchi degli spiritisti. […] Per dare prova di quanto affermava, il Pecoraro si è fatto legare le mani dietro la schiena e ha fatto vedere come facilmente sia capace di liberarsi. Egli ha inoltre imitato numerosissime calligrafie dei presenti e di varie personalità».

Il Giornale del Friuli del 24 aprile 1931 dedicò quasi due colonne alla dichiarazione-shock del medium “pentito”. Ma piuttosto si dovrebbe dire deluso, perché il motivo per cui Nino gettò la maschera e abbandonò l’attività fu esclusivamente economico. Commentava il giornale: 

«La va male per i medium. La concorrenza è viva, da quando persone sempre più numerose si dedicano alla nobile professione, e l’aumentata offerta ha talmente depresso l’onorario che si paga per una trance, che il Pecoraro, ad esempio, ha irrevocabilmente deciso di cercarsi un nuovo mestiere e minaccia il mondo degli spiritisti di farsi commerciante di cementi».

Nonostante questa dichiarazione, nel 1935 ritroviamo in Italia Pecoraro che teneva sedute secondo il solito copione, invitato (e pagato) da gruppi spiritistici, esaminato nelle sue dichiarate facoltà medianiche. E ciò che davvero stupisce è che nessuno abbia mai ricordato la dichiarazione dell’aprile 1931, e neppure vi abbia fatto il minimo cenno.

Ma fu proprio in Italia che Nino venne colto mentre imbrogliava.

Le sedute in casa Maiocco

Nel giugno 1935, l’avvocato Domenico Maiocco (che nell’immediato dopoguerra sarà figura di spicco della Massoneria di Piazza del Gesù) ingaggiò Pecoraro per una serie di sedute medianiche da tenersi a Roma. Trovato l’accordo sulla parte economica (spese di viaggio, spese di soggiorno a Roma e onorario), il medium partì da Napoli, portando con sé un sacco, un paio di grossi guanti di pelle e una tenda nera per formare il gabinetto.

Fin dalla prima seduta, Nino – che pure si mostrava affabile, gioviale, loquace e allegro – pretese di essere chiuso nel sacco, e non accettò la proposta di essere solo legato a mani e piedi. Fu preparato nel solito modo: rimasto in mutande e canottiera, con le mani chiuse nei guanti sigillati, le gambe legate alla sedia da più giri di corda.

A due metri di distanza dalla tenda, era collocato un tavolo su cui stavano una tromba, un tamburello, un campanello e delle nacchere, che portavano striscette di carta fosforescente. Fatto il buio, Pecoraro cadde in trance e iniziò a parlare in falsetto: la sedicente Eusapia Palladino chiese che il tavolo fosse avvicinato al gabinetto medianico, a non più di 15 centimetri di distanza da esso. E già questa richiesta avrebbe dovuto mettere qualche pulce nell’orecchio…

Dopo una lunghissima attesa, iniziarono i fenomeni: suoni di tromba, nacchere e tamburello, lancio di oggetti, scuotimento del tavolo. Quando lo “spirito” concesse di accendere la luce elettrica, si trovò Nino, pallidissimo, che stava lentamente svegliandosi dalla trance. Si controllarono i nodi e i sigilli e tutto fu trovato intatto.

Sulla rivista Mondo Occulto, commentò il chimico Francesco Leti, che partecipò alle sedute: 

«Sebbene gli oggetti posti sul tavolo, con l’aver noi portato il tavolo a circa dieci centimetri dal gabinetto medianico, venissero tutti a trovarsi a portata di mano del medium, tuttavia avendo noi ritrovato il medio nelle stesse condizioni in cui l’avevamo lasciato con le legature apparentemente intatte, e intatti i sigilli, il trucco sembrava doversi escludere e i fenomeni sembravano doversi attribuire a forze occulte estranee al medium».

Durante una seduta, Leti chiese di poter toccare la mano dello spirito che si era presentato come suo prozio Giuseppe. Allungò la mano nel buio e se la sentì stretta e agitata 

«a lungo calorosamente ma con tale forza da farmi quasi male. Io pure stringevo con forza, e sentii con mia meraviglia che la mano era solida, resistente, materializzata al 100%, madida di sudore, ossuta».

E qui accadde una scenetta grottesca, perché Leti non mollava la mano del presunto spirito, e questo voleva rabbiosamente svincolarsi. Dopo una breve silenziosa lotta, Pecoraro (che interpretava la buonanima di prozio Giuseppe) dette «uno strappo violento; il quale anzi fu così energico che io caddi riverso sul tavolo», scrisse Leti.

Il medium colto a “barare”

Raccontando la seduta del 18 luglio 1935, in cui Pecoraro fu colto in flagrante inganno, Leti iniziò col chiarire: 

«Il nostro circolo si componeva di persone a mentalità non fideistica, ma piuttosto ipercritica. L’orientamento delle nostre ricerche essendo del tutto scientifico, noi non potevano esimerci dall’escogitare qualche altro controllo, non potendoci noi del tutto appagare del controllo del sacco, che sebbene sembrasse così rigoroso, era al postutto, non dimentichiamolo, la forma di controllo impostaci dal Pecoraro».

Leti scrisse pure: «Noi non avevamo serie ragioni di sospettare del Pecoraro», e questo significa che nessuno del gruppo spiritico conosceva la confessione del medium fatta solo quattro anni prima. O forse la si credeva estorta?

La perplessità iniziò con una cartolina postale datata 13 luglio 1935; era stata spedita a Leti da un amico spiritista a cui aveva descritto le prime sedute fatte con Pecoraro e che erano sembrate tutte soddisfacenti. Il collega spiritista gli fece sapere:

«In quanto al Pecoraro anche qui le prime manifestazioni parvero buone; ma poi sarebbe troppo lungo narrarle come fu sorpreso, e come e dove dovette nascondere quei mezzi dei quali si serviva per liberarsi dal sacco. Se continua a sperimentare si ricrederà come ci siamo ricreduti noi».

Leti fece leggere la cartolina a Domenico Maiocco e a Ugo Bazoli, amico del celebre prof. Ernesto Bozzano. Maiocco decise che avrebbe acceso la luce all’improvviso, nel bel mezzo dei fenomeni, per vedere chi o cosa li stava producendo. Bisogna ricordare che il primo comandamento del decalogo spiritista imponeva di non accendere mai la luce durante la trance del medium; si assicurava che questo avrebbe potuto causare danni gravissimi, forse irreversibili, forse la morte o la pazzia, del soggetto. Questo divieto ovviamente era stato inventato dai medium, che potevano così eseguire con calma i loro giochetti di prestigio nell’oscurità inviolabile.

Maiocco, però, non credeva a questo gravissimo pericolo, e decise «una congiura» con altri due partecipanti: il dottor Liuzzo e il dottor F. avrebbero puntato le loro torce elettriche sulla tenda del gabinetto medianico, Maiocco avrebbe subito dopo acceso la luce del grande lampadario della camera. Sentite cosa accadde: 

«Mentre la tromba luminosa volteggiava sospesa nell’aria, due lampadine tascabili si puntarono inesorabili sul medio, e ne rischiararono la persona, mentre un istante dopo si accendeva il grande candelabro. Una visione inaspettata e agghiacciante (specie per chi aveva creduto fino allora alla buona fede del medium) si presentò a noi: il medium aveva un braccio libero che fuoriusciva dal sacco. Ma come aveva fatto il Pecoraro a mettere una mano in libertà, se il sacco continuava ad essere chiuso ed aderente intorno al collo del medio? È presto detto! Il braccio aveva trovato un’altra via di uscita, invece che dal collo del sacco, che era la via naturale, il braccio fuoriusciva da un taglio praticato lateralmente. Il medio, vistosi scoperto, tentava di nascondere il braccio, tenendolo ripiegato, e aderentissimo al torso. Nello stesso tempo urlava ad altissima voce dando la sensazione di sentirsi molto male. Tanto che uno dei presenti che non si era ancora avveduto del sacco lateralmente tagliato e del braccio libero, e ancora credeva alla buona fede del medio, gridava che si togliesse la luce, perché il medio correva pericolo. Ma la luce fu mantenuta, ed il medio per un po’ continuò a lamentarsi, mosso evidentemente dalla speranza che noi si rifacesse buio, ma poi accortosi che ogni lamento era vano, desistette e aprì gli occhi. Era in condizioni di salute perfettamente normali, come tutti potemmo constatare; la luce non aveva esercitato su di lui la più piccola azione funesta».

I trucchi di Pecoraro

Ora, dopo la drammatica scoperta, fu molto facile ricostruire cosa faceva al buio il sedicente medium. «I guantoni» scrive Leti «invece di costituire per il nostro una difficoltà, al contrario gli facilitavano il compito. Se le legature fossero state eseguite sulla carne viva, forse che il trucco non sarebbe riuscito. Ma i legami posti sul cuoio, nella parte dei guanti in corrispondenza dei polsi, sebbene strettissimi ed aderentissimi, gli davano adito di far scivolare la mano; ciò avveniva, è naturale, soltanto dopo sforzi inauditi e chi sa quali contorsioni. […] Insomma il Pecoraro con abilità da perfetto contorsionista era riuscito a far sgusciare la mano dal guantone, come una spada dalla guaina».

Ma come faceva Pecoraro a tagliare e ricucire il sacco? Lo spiegò a Leti quel suo amico che già aveva provato la frode del medium: al termine di una seduta, 

«a terra fu rinvenuto un involtino di pelle minutissimo, premeditatamente costruito, con dentro un filo rosso, un ago speciale, che mi dicono gli amici, non aver mai visto di simili piccolissime proporzioni, e un angolo di lama gillette: il tutto esalava un cattivo odore di sfintere che indicava la cavità dove era stato introdotto, e dove il tacere è bello».

Gli spiritisti romani, giustamente arrabbiati, chiesero a Pecoraro delle spiegazioni. Lui ne dette due diverse; prima cercò di cavarsela dicendo di non sapere come mai avesse il braccio destro libero e perché ci fosse un taglio nel sacco. Poi spiegò che sì, aveva imbrogliato, ma solo perché «la trance naturale tardava a manifestarsi, egli si sentì spinto e come obbligato a determinare i fenomeni con l’artificio, simulando la trance»: la solita storiella irragionevole e ridicola, che tuttavia era stata così tante volte presa per buona dai devoti dello spiritismo da diventare un salvagente per i medium beccati a ingannare.

Quella sera, però, non funzionò: la delusione era stata così forte che tutti se ne andarono senza salutare Ninetto e ignorando la sua proposta di rifare una seduta chiudendolo in una cassa da morto.

E infine, «il Pecoraro, prima di ripartire per Napoli, poche ore dopo la seduta nella quale fu sorpreso a ingannare, si incontrò separatamente con l’avv. Maiocco e con il generale C., e ad entrambi espresse il desiderio di dedicarsi all’arte prestigiatoria, e domandò loro se erano in grado di aiutarlo e di spingerlo in quest’arte con le loro relazioni e conoscenze».

Maiocco forse pensava ai quattrini buttati in quella squallida avventura, e ricorrendo al suo self-control si limitò a dire al finto medium che non contasse affatto su di lui.

Un medium inaffondabile

In ogni altra attività umana, questo brutto episodio avrebbe causato la fine della carriera di Pecoraro; ma evidentemente la coerenza in parapsicologia è fluttuante e impalpabile come gli ectoplasmi che crede di studiare.

E infatti, per quanto incredibile, qualche anno più tardi, nel 1939, apparve sulla rivista Ali del pensiero datata maggio-giugno, una «Presentazione del medium Nino Pecoraro», come facesse conoscere per la prima volta questo singolare personaggio.

L’articolo è firmato dal generale Giacomo Carpentieri, e se questi fosse lo stesso Generale C. che abbiamo incontrato in occasione dello smascheramento di Pecoraro, saremmo in pieno nonsense.

Scrive il generale che 

«Nino Pecoraro è un giovane semplice e modesto che possiede forti ed autentiche qualità medianiche che esplica quasi esclusivamente in una ristretta cerchia di amici, con assoluto disinteresse: entusiasta come un fanciullo quando i risultati soddisfano pienamente le finalità scientifiche degli studi psichici».

Pecoraro, nel 1939, tanto giovane non era perché aveva 40 anni, ma in effetti ne dimostrava meno, come notiamo nelle foto del tempo che mostrano un uomo di bassa statura, magro anzi gracile, dalla faccia ossuta, gli zigomi prominenti, lo sguardo da faina.

Carpentieri era assolutamente certo della genuinità dei fenomeni medianici prodotti da Pecoraro: «le manifestazioni» scrive «sono soddisfacenti, malgrado i controlli più rigorosi e la luce rossa che non viene mai spenta durante la seduta». Pecoraro aveva migliorato e arricchito la sua performance, evidentemente per rimediare alla brutta fama che si era fatto di medium imbroglione: 

«Lo spirito-guida, prima di ottenere fenomeni importanti, fa accendere la luce bianca ed invita i presenti a riverificare i controlli e toccare il medium; spenta la luce bianca e lasciata accesa quella rossa, sollevata la tenda del gabinetto, la guida invita alcuni dei presenti ad avvicinarsi al medium per assistere al fenomeno».

E tuttavia, Carpentieri accenna vagamente anche agli incidenti che segnarono la carriera medianica del giovane semplice e modesto; non fa parola, ovviamente, della sua spontanea dichiarazione di avere imbrogliato per un decennio, ma lascia trapelare – pur non dando al Pecoraro la minima responsabilità – che è successo qualche pasticcio: 

«Nino Pecoraro risiede in Napoli, ma è stato parecchi anni in America. […] Purtroppo la medianità del Pecoraro fu oggetto di morbosa pubblicità ed anche di esosa speculazione da parte di alcuni affaristi. Come sempre accade in simili casi, la estrinsecazione dei fenomeni ebbe delle oscillazioni dannose, i giudizi furono quanto mai disparati, i giornali americani se ne interessarono come di un qualsiasi fatto di cronaca, senza indagare, senza approfondire, tanto per sentito dire. Purtuttavia attraverso gli articoli di giornali ed i verbali di sedute non sempre chiari ed obiettivi, si nota una quasi unanime affermazione sulla genuinità di fenomeni».

E queste inesatte affermazioni sarebbero le prime che sceglierei per una antologia delle false narrazioni della metapsichica o parapsicologia.

La cosa più significativa è, fra le righe, l’invito del generale a non essere troppo severi nel controllo del medium partenopeo: 

«Concludo che Nino Pecoraro è un forte medium che può sviluppare poteri eccezionali, sempre quando gli esperimenti si svolgano in ambiente sereno e armonico. Né luci, né rigorosi controlli disturbano la estrinsecazione dei fenomeni che, per la delicatezza psichica del medio, possono invece essere compromessi solo dalla disarmonia e dalla indisciplina degli assistenti».

Nella temuta indisciplina dei presenti ci vedo un’eco della improvvisa accensione della luce durante la “storica” seduta del 18 luglio 1935.

Nino e i marziani

Nel 1950, Ninuccio cinquantenne mise i suoi poteri eccezionali al servizio di una delle mode del tempo: i dischi volanti.

Un settimanale che si occupava di cronaca nera, Crimen, raccontò la seduta del 22 marzo 1950, a Roma, durante la quale il medium in trance rispose ad alcune domande sui dischi volanti. In quell’articolo, Pecoraro era definito «medium veggente», ovvero capace «di vedere nel passato e nel futuro». Nella breve descrizione del medium, si dice stranamente che «ha vissuto per molti anni in Inghilterra»; sono riferite poi due profezie che il veggente dice di ricevere dal suo spirito guida Eusapia Palladino: nel 1950 avverranno «la morte di due grandi capi politici uno a oriente e uno a occidente»; l’altra assicura che «nel 1950 avremo due grandi scoperte mediche, e cioè sarebbero stati definitivamente debellati il cancro e la tubercolosi».

Su questi argomenti, sappiamo che Nino (o Eusapia) si è sbagliato del tutto. Sugli UFO, le profezie non furono più corrette di queste. Il medium («con quella strana voce un po’ sincopata, quasi meccanica, che la respirazione affannosa rendeva talvolta incomprensibile») dichiarò che i dischi volanti erano «macchine che girano nel margine esterno ma all’interno stanno ferme», ospitano fino a cinque extraterrestri, le cui missioni consistono nel venire sulla terra «a vedere per riferire », però non possono sbarcare; e tuttavia si riveleranno mandando messaggi redatti «in una specie di sanscrito antico», «scritti in bianco su un tessuto color cenere». Il clamoroso evento sarebbe dovuto accadere circa un mese più tardi, cioè «nell’ultima decade di aprile», ma anche «in maggio e in giugno, e quella che voi chiamate umanità sarà molto scossa da quei messaggi».

Nell’estate del 1950, l’umanità sarà scossa da una ennesima guerra, quella di Corea, e le sarà risparmiato lo shock dell’apparizione pubblica degli extraterrestri. Francamente, sarebbe stato meglio il contrario.

Nino l’artista “astrale”

L’ultima fase della lunga e composita carriera del medium Nino Pecoraro fu di tipo artistico. Sul numero di marzo 1972 de Il giornale dei misteri, il decano delle pubblicazioni del genere, Rodolfo Talamo con stile barocco parla dell’«uomo che sarà ricordato negli anni a venire con attributi incandescenti», il quale «onora l’Italia ed è vanto della nostra Napoli, fecondissima genitrice di geni».

Sappiamo dunque che Pecoraro era «prevalentemente dedito alla sua pittura, da lui definita astrale», spinto a dipingere da «un imperativo incognito, misteriosissimo che gl’impone di astrarsi»; «spesso egli viene come preso da una febbre creativa di nuovo genere, la sua mano (sinistra per lo più) traccia linee aggrovigliate, senza schema, anzi ambigue, assurde e subito pennello e colori entrano in azione e l’opera risulta un insieme che, nella maggior parte dei casi, illustra e riproduce visioni astrali che non sono tali per arbitraria definizione di lui, ma chiaramente rispecchiano zone celesti. Da notare che Nino Pecoraro è del tutto sprovvisto di studi e cognizioni astronomiche». E si vede.

Il medium pittore continuò, comunque, ad essere informato da entità extraterrestri, che gli rivelavano messaggi allora comuni a tutti i “contattisti”: 

«Non basta la pittura astrale, perché egli capta, dall’Infinito, voci, minacce, previsioni che non sempre rivela, per evitare di colpire certe immaginazioni delicate, la psiche sensibile, le menti, facili prede di distorsioni e di terrore. Egli ha visto navigare nei cieli navi spaziali, che da millenni sono celate alla nostra vista, eppure sono sempre esistite […] Messo sulla via delle confidenze, Nino Pecoraro ci ha detto che l’Umanità dovrà finire di scannarsi e di guerreggiare, dovendosi piuttosto preoccupare del non lontano approdo di esseri da altri Mondi, non tanto dissimili da noi, ma di noi migliori, per sentimenti, altissima civiltà e inoffensivi se non verranno imprudentemente combattuti».

Pecoraro aveva già previsto, ventidue anni prima, l’approdo di esseri dagli altri mondi, ma non lo dice.

Il 27 aprile 1973, l’Ansa comunicò la morte del medium, avvenuta quel giorno: «colto da un improvviso malore è morto stamani il professor Nino Pecoraro, medium di fama internazionale». Si trovava a Napoli, con un amico davanti al teatro San Ferdinando, quando si afflosciò senza un gemito. Morì sull’ambulanza che lo portava al pronto soccorso.

Immagine di apertura di kalhh da Pixabay 

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