No, il Wef non ha ordinato ai governi di imprigionare le persone che condividono notizie false

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Il 9 maggio 2023 la redazione di Facta.news ha ricevuto una segnalazione via WhatsApp che chiedeva di verificare lo screenshot di un testo diffuso sulla stessa applicazione di messaggistica. Nel testo si legge che il World economic forum (Wef) avrebbe «ordinato ai governi mondiali di vietare i media indipendenti», di «rendere illegale la lettura di fonti di notizie non mainstream» e di «riempire le prigioni di persone che condividono opinioni o articoli ritenuti “falsi” dai cosiddetti fact-checker». Secondo il messaggio i cittadini in Canada che «condividono articoli o post online ritenuti “falsi” dai verificatori di fatti sono passibili di arresto e di una pesante pena detentiva».

Questa notizia è falsa ed è priva di fondamento.

Non esiste alcun riscontro né sui media nazionali e internazionali né in alcun comunicato ufficiale del Wef di una simile richiesta fatta dall’organizzazione internazionale indipendente ai governi. 

Non ha poi fondamento nemmeno la notizia secondo cui in Canada c’è una legge in base alla quale i cittadini possono essere arrestati se condividono online informazioni verificate e classificate come false dai siti di fact-checking. 

Entrambe queste notizie false sono state pubblicate per la prima volta l’8 maggio 2023 da The People’s Voice, precedentemente conosciuto come NewsPunch, sito noto per diffondere notizie false e infondate su svariate tematiche. Nel suo articolo The People’s Voice cita in maniera fuorviante il disegno di legge C-11, noto anche come “Online Streaming Act”, approvato in via definitiva lo scorso 27 aprile dal Parlamento canadese. 

Questa nuova legge non prevede il carcere se si condividono le notizie ritenute false dai fact-checker, ma stabilisce che i servizi di streaming, come Netflix e Spotify, paghino per supportare i contenuti multimediali canadesi, come musica e programmi TV. La nuova legge afferma inoltre che le aziende online devono promuovere e raccomandare contenuti canadesi, sia nelle lingue ufficiali che nelle lingue indigene. Il disegno di legge è stato criticato dai partiti di opposizione perché ritenuto un attacco alla libertà di espressione. Anche società come Google hanno criticato il testo perché inciderebbe sui contenuti online. Per esempio, secondo l’azienda, YouTube non potrebbe più consigliare a un utente contenuti in base alle proprie preferenze, ma secondo criteri stabiliti per legge.

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