Per capire il cambiamento climatico i record sono niente, la tendenza è tutto

1 month ago 20

di Antonio Scalari

Attorno alla metà di marzo 2024 si sono registrate temperature molto elevate nell’area di Rio de Janeiro, in Brasile, con valori di 42 °C. L’indice di calore ha toccato i 62.3 °C. Si tratta del parametro che indica qual è la temperatura percepita dal corpo umano se quella registrata viene combinata con il valore dell’umidità relativa. In un primo momento alcuni media hanno riportato questa notizia in modo impreciso, suggerendo che 62.3 °C fosse la temperatura registrata, invece dell’indice di calore. L’errore ha spinto alcuni, sui social media, a prendersi gioco della notizia e a trattarla come una dimostrazione del sensazionalismo che vizierebbe il racconto del cambiamento climatico. Nelle interpretazioni più malevole, il fatto che la temperatura non abbia davvero raggiunto un valore così estremo diventa la prova che il cambiamento climatico è un’esagerazione o, peggio, una bufala. I media sono attratti dai record perché, come tali, fanno notizia e generano scalpore. Ma un record climatico è significativo se viene collocato all’interno di una tendenza di medio o lungo periodo. Una temperatura record, in una singola località, calda o fredda, non conferma né smentisce il riscaldamento globale. La scienza, peraltro, ha oggi i mezzi per attribuire singoli eventi estremi, come le ondate di calore, al riscaldamento globale antropico. Nello stesso tempo, osserva come sta evolvendo il sistema climatico terrestre nel suo complesso e a livello globale. 

L’ultimo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) afferma che «è praticamente certo» che gli estremi caldi siano diventati più frequenti e più intensi nella maggior parte delle regioni terrestri a partire dagli anni ’50, mentre gli estremi freddi sono diventati meno frequenti e intensi. Alcuni caldi estremi che si sono verificati negli ultimi dieci anni, aggiunge l’IPCC, sarebbero stati estremamente improbabili senza l’influenza delle attività umane sul sistema climatico, prodotta dalle emissioni dei combustibili fossili. «Le anomalie della temperatura media stagionale sono cambiate marcatamente negli ultimi tre decenni, soprattutto in estate», scrivono alcuni esperti tra cui il celebre climatologo James Hansen, sulla rivista scientifica PNAS. Ciò significa che cambia la distribuzione di probabilità delle anomalie della temperatura, cioè di quei valori che si discostano da quelli di riferimento. La curva della distribuzione delle temperature si sposta verso valori più elevati della norma (che si tratti o meno di temperature record), che diventano così più probabili. Ciò che fino a non molti anni fa era estremo oggi diventa più ordinario. Anche gli inverni stanno diventando più caldi e la copertura nevosa durante la stagione sta diminuendo.

Se il 2023 è l’anno più caldo finora registrato è proprio perché il clima sta cambiando su scala globale e ha imboccato una tendenza che, già nel breve arco temporale di 150 anni, appare significativa (e preoccupante). In assenza del riscaldamento globale antropico, non ci aspetteremmo che i 10 anni più caldi finora registrati coincidano, tutti, proprio con gli ultimi 10 anni. Se fosse stato solo per la variabilità naturale, in assenza di fattori esterni come le attività umane, non avremmo registrato questa tendenza recente. Perciò, quando parliamo di cambiamento climatico, i record stanno alla tendenza un po’ come il proverbiale dito sta alla luna: indicano qualcosa, ma è proprio a quel qualcosa che dobbiamo rivolgere lo sguardo. Afferrare questo concetto è indispensabile per capire cosa sia il cambiamento climatico e per realizzare la sua portata. E per non farsi ingannare dalla disinformazione.

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