Ci hanno segnalato la presenza sempre più comune di spot pubblicitari facenti capo all’account ufficiale del ministero degli esteri di Israele.
Fino a pochi giorni fa, gli spot erano focalizzati sul conflitto Israelo-Palestinese e riprendevano folle di Palestinesi festanti mentre una voce fuori campo generata artificialmente riportava affermazioni forti riguardanti il costante impegno di Israele nella striscia di Gaza.
Dopodichè sono iniziati gli spot focalizzati sul conflitto con l’Iran, anch’essi tradotti in diverse lingue:
In questo caso l’obiettivo primario dei video è quello di evidenziare la pericolosità dello Stato Iraniano in relazione ai paesi occidentali, sottolineando come il paese stia sviluppando nuovi missili a lunga gittata in grado di colpire l’Europa:
Sebbene anche in questi ultimi casi vengano usati toni propagandistici e venga implicitamente suggerito allo spettatore che lo scopo di questi sviluppi militari sia quello di colpire l’Europa, rispetto ai video su Gaza c’è una differenza sostanziale: i video contro l’Iran prendono spunto da fatti veri o presunti tali e reinterpretati secondo la narrazione scelta dal governo Israeliano, i video su Gaza partono invece da premesse non verificabili.
Poiché lo scopo del nostro servizio NON è quello di offrire un’interpretazione politica della realtà, ma solamente di trattare le tematiche inerenti presunte attività di disinformazione, nell’articolo di oggi ci concentreremo esclusivamente sugli argomenti inerenti il fact checking, e quindi i video su Gaza.
A questo riguardo, possiamo affermare che le argomentazioni riportate nel video sono fuorvianti e prive di verificabilità, oltre che in controtendenza rispetto alle testimonianze riportate dalle fonti ufficiali secondo cui la situazione a Gaza sarebbe diametralmente opposta, con la popolazione costretta a sopportare la fame da diversi mesi e l’ONU che ha definito Gaza come il luogo più affamato al mondo, in cui il 100% della popolazione è a rischio di fame.
Il video si inserisce nella serie di iniziative di comunicazioni relative alla strategia del governo Israeliano detta “hasbara” – termine ebraico che indica lo sforzo comunicativo per migliorare l’immagine di Israele all’estero – una strategia basata sulla diffusione di video apparentemente informativi, ma contenenti informazioni di natura politica.
La guerra dell’informazione…o della DISinformazione?
Un’espressione che da diversi anni corre parallela ai conflitti armati è quella di guerra dell’informazione, definizione con cui si tendono a raggruppare tutte quelle attività volte a deviare e manipolare l’opinione pubblica a scopi politici.
In quello che possiamo tranquillamente definire una nuova linea del fronte – internet – la guerra dell’informazione condivide con la propria sorellastra più tradizionale un principio cardine: in guerra tutto è permesso.
Proprio per questo motivo, osservando ciò che da anni accade in quella che è ormai conosciuta come epoca della post-verità, non di rado succede che – a fini puramente propagandistici – le autorità decidano di oltrepassare il limite di ciò che possa essere considerato “vero” avvicinandosi ad un concetto ancora più oscuro ed al limite della legalità: la guerra della DISinformazione.
Se una volta avremmo parlato di pericolo di disinformazione, con l’inizio dell’anno in corso e la pubblicazione del Global Risk Report 2025, la disinformazione è ascesa al poco ambito ruolo di minaccia globale, essendo il nostro periodo storico riconosciuto come trasversalmente esposto a questo pericolo, le cui conseguenze – in termini umani, sociali ed economici – la rendono uno di quelli potenzialmente più dannosi per la nostra specie.
Le implicazioni della pubblicità online
Uno degli aspetti più sottovalutati, perchè strettamente intrecciato con tematiche di business sconosciute ai più, è il finanziamento indiretto della disinformazione attraverso la pubblicità online.
Il settore della pubblicità digitale in Italia vale 5,4 miliardi di euro all’anno, ed è come prevedibile in costante crescita.
Proprio per la complessità del settore, dominato da algoritmi e tecniche che privilegiano logiche di ottimizzazione della reach piuttosto che di posizionamento logico, né i brand né i creator hanno la certezza di cosa possa comparire sui propri canali, contrariamente ai vecchi media completamente proprietari dei propri spazi, visto che a gestire questi spazi pubblicitari sono in primis gli intermediari e le piattaforme (YouTube, Google, Instagram, etc.) su cui queste pubblicità compaiono: capita quindi di ospitare sui propri canali contenuti su cui il singolo creator non ha potere d’azione, come denunciato da diversi creator italiani.
In queste falle si inseriscono gli organi propagandistici statali, per cui già l’Unione Europea si era dichiarata profondamente preoccupata, creando contenuti facilmente viralizzabili (il video in questione conta già circa 1.000.000 di visualizzazioni in Italiano, senza considerare le versioni in altre lingue) e poco verificabili.
Conclusioni
La guerra dell’informazione è ormai una componente centrale dei conflitti contemporanei. Il caso israeliano non solo solleva interrogativi cruciali sul ruolo delle piattaforme digitali e sull’urgenza di meccanismi di verifica indipendenti e trasparenti, ma inserisce un nuovo tassello che rischia di normalizzare un’attività pericolosa, rendendo gli utenti assuefatti e minando la credibilità del giornalismo vero e serio.
In un mondo sempre più polarizzato, la verità è ormai essa stessa terreno di battaglia.
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