Sequestro preventivo di strutture abusive ormai ultimate.

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Pula, Agumu, abusi edilizi dentro le serre Palomba, cartello di sequestro (aprile 2017)

Importante decisione della Corte di cassazione in tema di sequestro preventivo di strutture abusive.

La sentenza Corte cass., Sez. III, 28 febbraio 2024, n. 8671 affronta la fattispecie del sequestro preventivo (art. 321 cod. proc. pen.), che può ben riguardare anche opere abusive ultimate, assegnando al Giudice la valutazione “in ordine al pericolo che la libera disponibilità della cosa pertinente al reato possa agevolare o protrarre le conseguenze di esso o agevolare la commissione di altri reati, va diretta in particolare ad accertare se esista un reale pregiudizio degli interessi attinenti al territorio o una ulteriore lesione del bene giuridico protetto (anche con riferimento ad eventuali interventi di competenza della p.a. in relazione a costruzioni non assistite da concessione edilizia, ma tuttavia conformi agli strumenti urbanistici) ovvero se la persistente disponibilità del bene costituisca un elemento neutro sotto il profilo dell’offensività (Sez. U, n. 12878 del 29/01/2003, Innocenti, Rv. 223722)”.

In particolare, “l’obbligo di motivazione deve dunque riguardare le conseguenze della libera disponibilità del bene sul regolare assetto del territorio (Sez. 3, n. 52051 del 20/10/2016, Giudici, Rv. 268812), ciò che può assumere carattere pregiudizievole anche nel caso di utilizzo dell’opera in conformità alle destinazioni di zona, allorquando il manufatto presenti una consistenza volumetrica tale da determinare comunque un’incidenza negativa concretamente individuabile sul carico urbanistico, sotto il profilo dell’aumentata esigenza di infrastrutture e di opere collettive correlate (Sez. 3, n. 42717 del 10/09/2015, Buono e a., Rv. 265195)”.

Il sequestro preventivo, in tale frangente, costituisce, quindi, un ulteriore presidio di legalità ambientale.

Gruppo d’intervento Giuridico (GrIG)

Roma, Corte di cassazione

dalla Rivista telematica di diritto ambientale Lexambiente,  11 marzo 2024

Cass. Sez. III n. 8671 del 28 febbraio 2024 (CC 15 feb 2024)
Pres. Ramacci Est. Reynaud Ric. Alcamo
Urbanistica. Sequestro preventivo di opere edilizie abusive ultimate.

Nel caso di sequestro preventivo di opere costruite abusivamente la cui edificazione sia ultimata, la valutazione che il giudice di merito ha il dovere di compiere in ordine al pericolo che la libera disponibilità della cosa pertinente al reato possa agevolare o protrarre le conseguenze di esso o agevolare la commissione di altri reati, va diretta in particolare ad accertare se esista un reale pregiudizio degli interessi attinenti al territorio o una ulteriore lesione del bene giuridico protetto (anche con riferimento ad eventuali interventi di competenza della p.a. in relazione a costruzioni non assistite da concessione edilizia, ma tuttavia conformi agli strumenti urbanistici) ovvero se la persistente disponibilità del bene costituisca un elemento neutro sotto il profilo dell’offensività. L’obbligo di motivazione deve dunque riguardare le conseguenze della libera disponibilità del bene sul regolare assetto del territorio, ciò che può assumere carattere pregiudizievole anche nel caso di utilizzo dell’opera in conformità alle destinazioni di zona, allorquando il manufatto presenti una consistenza volumetrica tale da determinare comunque un’incidenza negativa concretamente individuabile sul carico urbanistico, sotto il profilo dell’aumentata esigenza di infrastrutture e di opere collettive correlate.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 18 maggio 2023, il Tribunale di Palermo ha rigettato la richiesta di riesame proposta da Atanasio Alcamo avverso il decreto di sequestro preventivo di alcuni manufatti abusivamente realizzati in zona sismica e paesaggisticamente vincolata, disposto in relazione ai reati di cui agli artt. 44, comma 1, lett. c), 83, 93, 95 d.P.R. 380/2001 e 181, comma 1, d.lgs. 42/2004.

 2. Avverso l’ordinanza, a mezzo del difensore fiduciario, l’indagato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo, con il primo motivo la violazione di legge per inesistenza del periculum in mora. Allegando che i principali manufatti oggetto di contestazione (l’abitazione ed il contiguo magazzino) erano stati ultimati in un arco di tempo prossimo all’anno 2018 e che solo alcune opere minori risultavano incomplete – come verificato dalla polizia giudiziaria operante, documentato dalle fotografie e testualmente attestato nel decreto di sequestro –, il ricorrente, dopo aver richiamato il principio di proporzionalità operante anche per le misure cautelari reali, si duole che l’ordinanza abbia ritenuto in re ipsa il periculum in mora, senza spiegare in che modo la libera disponibilità di immobili già ultimati possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato ovvero agevolare la commissione di altri illeciti.
Si allega che la lesione al regolare assetto del territorio non sarebbe conseguenza della libera disponibilità del manufatto abusivo, ma effetto connaturato alla sua realizzazione che permane anche se l’immobile si trovi in sequestro. Richiamando la necessità che il pericolo attinente alla libera disponibilità del bene sequestrato debba presentare i caratteri della concretezza e attualità, ci si duole, inoltre, che l’ordinanza si limiti ad un astratto e sterile richiamo ad un non meglio definito “aumento del carico urbanistico” del quale non sarebbero in alcun modo individuabili natura ed entità.

3. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione di legge per l’utilizzo di elementi d’indagine acquisiti successivamente alla scadenza del termine  massimo semestrale di compimento delle indagini preliminari, essendo questo scaduto il 28 febbraio 2023, con la conseguente tardività della richiesta di proroga del termine avanzata soltanto il successivo giorno 1° marzo. 

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza, genericità e perché proposto per ragioni non consentite.
1.1. In diritto va premesso come non sia revocabile in dubbio che il periculum in mora richiesto per l’adozione del sequestro preventivo impeditivo debba presentare i caratteri della concretezza e dell’attualità, ciò che questa Corte ha da tempo avuto modo di precisare con orientamento sempre ribadito (Sez. U., n. 23 del 14/12/1994, dep. 1995, Adelio, Rv. 200114; Sez. 3, n. 42129 del 08/04/2019, M., Rv. 277173;  Sez. 6, n. 56446 del 07/11/2018, Deodati, Rv. 274778). Pertanto, spetta al giudice del merito cautelare compiere, con adeguata motivazione, un’attenta valutazione del pericolo derivante dal libero uso della cosa pertinente all’illecito penale. 
Nel caso di sequestro preventivo di opere costruite abusivamente la cui edificazione sia ultimata, la valutazione che il giudice di merito ha il dovere di compiere in ordine al pericolo che la libera disponibilità della cosa pertinente al reato possa agevolare o protrarre le conseguenze di esso o agevolare la commissione di altri reati, va diretta in particolare ad accertare se esista un reale pregiudizio degli interessi attinenti al territorio o una ulteriore lesione del bene giuridico protetto (anche con riferimento ad eventuali interventi di competenza della p.a. in relazione a costruzioni non assistite da concessione edilizia, ma tuttavia conformi agli strumenti urbanistici) ovvero se la persistente disponibilità del bene costituisca un elemento neutro sotto il profilo dell’offensività (Sez. U, n. 12878 del 29/01/2003, Innocenti, Rv. 223722). L’obbligo di motivazione deve dunque riguardare le conseguenze della libera disponibilità del bene sul regolare assetto del territorio (Sez. 3, n. 52051 del 20/10/2016, Giudici, Rv. 268812), ciò che può assumere carattere pregiudizievole anche nel caso di utilizzo dell’opera in conformità alle destinazioni di zona, allorquando il manufatto presenti una consistenza volumetrica tale da determinare comunque un’incidenza negativa concretamente individuabile sul carico urbanistico, sotto il profilo dell’aumentata esigenza di infrastrutture e di opere collettive correlate (Sez. 3, n. 42717 del 10/09/2015, Buono e a., Rv. 265195).
1.2. Nella vicenda in esame, il Tribunale ha attestato la sussistenza del pericolo di aggravamento della lesione dell’interesse protetto dai reati ipotizzati sia in relazione al fatto che i lavori erano ancora parzialmente in corso di esecuzione – sicché è evidente che, con riguardo a questi, il pericolo di aggravamento che determina la necessità del sequestro è connesso al rischio di prosecuzione delle opere abusive – sia con riguardo alle opere ultimate, atteso l’aumento del carico urbanistico su un’area destinata a verde agricolo, con conseguente pericolo, concreto ed attuale, di lesione degli interessi presidiati dalle normative edilizia, paesaggistica e sismica (e con particolare riguardo a questi ultimi immobili è dunque evidente che il sequestro risponda alla necessità d’impedirne l’utilizzo). 
1.3. La pur succinta motivazione, reputa il Collegio, dà dunque conto della sussistenza del  periculum in mora e le contestazioni mosse in ricorso sono generiche e manifestamente infondate.
Ed invero, per un verso, il ricorrente non spende parola sul sequestro degli immobili abusivi la cui esecuzione non è ancora ultimata; per altro verso, essendo, per quanto detto, manifestamente infondato il rilievo secondo cui la lesione al regolare assetto del territorio non sarebbe conseguenza della libera disponibilità del manufatto, il ricorso non contiene specifiche doglianze che consentano di ritenere mancante, o apparente, la motivazione resa sull’aumento del carico urbanistico e sul pericolo concernente la violazione delle norme sismiche, profilo, quest’ultimo, neppure affrontato nell’impugnazione. Si tratta, più in generale, di doglianze concernenti un giudizio di merito – dal ricorrente non condiviso e ritenuto non provato – che non possono essere proposte in questa sede di legittimità, mentre la conclusione attestata nell’ordinanza impugnata dà adeguato conto dell’iter logico-giuridico della decisione, trattandosi, appunto, di manufatti ad uso abitativo realizzati in zona agricola, sismica e paesaggisticamente vincolata.
Con particolare al sequestro impeditivo di manufatti realizzati in zona agricola, peraltro, questa Corte ha già affermato – e il principio va qui ribadito – che l’aggravio del carico urbanistico può essere desunto sulla base della mera consistenza delle opere, della loro destinazione d’uso e della destinazione urbanistica dell’area ove esse insistono, trattandosi di elementi idonei a fornire una oggettiva indicazione dell’incidenza dell’intervento sulle esigenze urbanistiche di zona (cfr., in motivazione, Cass. Sez. 3, n. 51604 del 18/09/2018, Monfrecola, sul punto non massimata).
1.4. In ogni caso, com’è noto, il ricorso per cassazione proposto contro provvedimenti adottati in sede di impugnazione in materia di sequestri è consentito – a norma dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen. – soltanto per violazione di legge e, quanto alla giustificazione della decisione, costituisce violazione di legge deducibile mediante ricorso per cassazione soltanto l’inesistenza o la mera apparenza della motivazione, ma non anche la sua illogicità manifesta, ai sensi dell’art. 606, comma primo, lettera e), cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, Zaharia, Rv. 269119; Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, Angelini, Rv. 248129). E’ ben vero che la motivazione può essere definita soltanto apparente, ciò che integra gli estremi della violazione di legge di cui all’art. 125, comma 3, cod. proc. pen. deducibile anche nel ricorso per cassazione avverso provvedimenti cautelari reali, quando sia fondata su argomentazioni che non risultano ancorate alle peculiarità del caso concreto (Sez. 4, n. 43480 del 30/09/2014, Giovannini, Rv. 260314) o quando si tratti di un vizio tanto radicale da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza che consentano di rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli e a., Rv. 269656; Sez. 3, n. 4919 del 14/07/2016, Faiella, Rv. 269296; Sez.  6, n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele, Rv. 254893), ma, per quanto osservato, nella specie nessuna di tali ipotesi sussiste, né è stata specificamente argomentata in ricorso. 

2. Al di là della questione sulla tempestività o meno della proroga delle indagini preliminari richiesta dal pubblico ministero in data 1° marzo 2023, il secondo motivo di ricorso è inammissibile per irrimediabile genericità dell’eccezione di inutilizzabilità “degli esiti investigativi successivi alla scadenza del termine massimo per le indagini preliminari”.
Il ricorrente, difatti, si limita a rilevare che il fumus assunto a presupposto del sequestro trarrebbe origine da un’informativa di reato del 15 marzo 2023, a fronte di un termine che sarebbe scaduto il precedente 28 febbraio, con conseguente tardività della richiesta di proroga depositata il giorno successivo.
In disparte il fatto che, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, non viene a questo neppure allegato l’atto processuale richiamato, nella giurisprudenza di questa Corte è consolidato il principio giusta il quale, al fine della verifica della inutilizzabilità prevista per gli atti compiuti dopo la scadenza del termine di durata per le indagini preliminari, deve farsi riferimento alla data in cui i singoli atti di indagine sono compiuti e non a quella della informativa che li riassume (Sez. 6, n. 12104 del 05/03/2020, Sautto, Rv. 278726; Sez. 5, n. 19553 del 25/03/2014, Naso, Rv. 260403). Il generico ricorso non indica quando furono compiuti gli atti di indagine utilizzati dai giudici del merito cautelare per ricostruire il fumus commissi delicti, né precisa quali essi siano, sicché, non risultando ciò dal provvedimento impugnato, questa Corte non è in grado di compiere al riguardo alcuna valutazione circa la loro tempestività o meno rispetto ad un termine di durata delle indagini preliminari che lo stesso ricorrente indica come spirato soltanto quindici giorni prima della data di redazione della informativa di reato.

3. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., oltre all’onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della cassa delle ammende della somma equitativamente fissata in Euro 3.000,00. 

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 15 febbraio 2024. 

Roma, Corte di cassazione

(foto S.D., archivio GrIG)

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