[STATIUNITI] Gm, Ford e Stellantis reagiscono allo sciopero con migliaia di licenziamenti di rappresaglia

7 months ago 82

Riceviamo e pubblichiamo questo contributo dai compagni della redazione Il Pungolo Rosso, già disponibile sul loro sito (vedi qui):

Nell’ultimo nostro post sulla lotta degli operai dell’auto negli Stati Uniti ricordavamo i milioni di dollari che Amazon investe ogni anno per impedire la nascita di organismi sindacali nei suoi magazzini. La speciale ferocia dei padroni statunitensi (come dell’imperialismo statunitense in generale) ha avuto nei giorni scorsi una conferma nella decisione presa da GM, Ford e Stellantis di licenziare “temporaneamente” per rappresaglia alcune migliaia di lavoratori che, per effetto degli scioperi (mirati) in corso, sono rimasti “senza lavoro”. Il tentativo è di mettere, e se possibile mobilitare, gli operai che ancora non sono entrati in sciopero contro gli scioperanti (inizialmente solo 13.000 in tre stabilimenti). Quello in atto, infatti, è uno sciopero “a macchia di leopardo” (“stand-up-strike”) dal momento che avviene solo in alcuni stabilimenti delle “Big Three”, ma ha effetti a cascata sull’intera filiera produttiva.

Ford ha deciso di lasciare a casa circa 600 lavoratori nel suo impianto di assemblaggio del Michigan, chiamando in causa le “reazioni a catena” originate dagli scioperi della UAW nei reparti di assemblaggio finale e verniciatura della struttura.

La General Motors ha dichiarato giorni fa che si aspetta che 2.000 lavoratori nello stabilimento di Fairfax Assembly in Kansas “rimarranno inattivi” a breve per l’“effetto domino negativo” dello sciopero della UAW – che spesso nella stampa statunitense viene etichettato come “storico”. Stellantis pare avviata su questa stessa strada.

Da parte sua la direzione della UAW ha promesso che “tutti i lavoratori licenziati nell’ultimo attacco delle Big Three non rimarranno senza reddito. Ci organizzeremo [anche solo] per un giorno in più di quanto loro siano capaci, e andremo fino in fondo per vincere sul piano della giustizia economica e sociale presso le Big Three”. Di più, ha fatto entrare in sciopero 38 magazzini di distribuzione dei ricambi di GM e Stellantis, ritenendo i boss di queste due imprese i più ostili a prendere in seria considerazione la piattaforma presentata dal sindacato. E, facendosi forte dei sondaggi di opinione secondo cui la maggioranza dei cittadini intervistati sostiene le richieste degli operai in lotta, ha lanciato un appello a rafforzare i picchetti in corso. Sullo sfondo, agitato forse senza molta convinzione, rimane il ricorso allo sciopero generale del settore con il coinvolgimento di tutti gli stabilimenti in produzione.

La novità assoluta per la storia della lotta di classe negli Stati Uniti di uno sciopero congiunto contro i tre colossi storici della produzione di auto sta smuovendo le acque anche intorno alla Tesla del “mafioso creativo” Elon Musk, in realtà più mafioso che creativo, nemico giurato dell’organizzazione sindacale sui luoghi di lavoro – nel febbraio scorso licenziò nello stabilimento di Buffalo decine di operai colpevoli di aver tentato di introdurvi il sindacato. Incoraggiati dalla lotta degli operai dell’auto si dichiarano anche i 26.000 assistenti di volo organizzati nell’APFA e gli stessi attori e sceneggiatori di Hollywood – a riprova del fatto che il risveglio del proletariato industriale può essere il catalizzatore di un malessere sociale di tutto il mondo del lavoro salariato che in America è profondo. Alle viste c’è anche il più ampio sciopero di sempre nel settore della sanità con l’entrata in agitazione degli 85.000 dipendenti della Kaiser Permanente, spesso definita “il volto buono della società americana”, epicentro ancora una volta in California…

L’ampliamento e la radicalizzazione della lotta degli operai dell’auto avrebbe senza dubbio un effetto moltiplicatore. Ma questa dinamica non può essere data per scontata. Perché, nonostante le sue taglienti dichiarazioni, il presidente dell’UAW Shawn Fain ha già lanciato un segnale di accreditamento della direzione della Ford che, a suo dire, avrebbe dimostrato apertura verso la soppressione dei tre distinti livelli di salario e verso la reintroduzione di meccanismi di rivalutazione dei salari in relazione all’inflazione, sospesi dopo la crisi del 2008: “Ford ha un atteggiamento serio rispetto alla possibilità di concludere un accordo; con GM e Stellantis è tutta un’altra storia”.

Gli sviluppi dei tavoli negoziali sono tutt’altro che chiari, se è vero che, secondo la Reuters, Stellantis avrebbe portato la sua offerta di aumento salariale a quasi il 21% per tutta la durata del contratto, un livello appena superiore a quello di Ford e GM sono ferme rispettivamente al 20% e al 18%, in tutti e tre i casi, comunque, molto lontano dalla richiesta del sindacato che, a seconda dei calcoli, variano dal 36% a circa il 40% nei quattro anni di durata del nuovo contratto. Le richieste sindacali continuano ad essere attaccate duramente dai padroni come esorbitanti, ma sta di fatto che negli ultimi due decenni il salario medio orario degli operai del settore auto è caduto, negli Stati Uniti, del 30% – ecco un’altra, inequivocabile misura dell’inesorabile declino di potenza dell’imperialismo americano e dell’altrettanto inesorabile riaccensione del conflitto di classe negli Stati Uniti.

I vari Sanders e Ocasio-Cortez si prodigano in dichiarazioni “forti”, quale questa della deputata di New York che, rivolta al presidente della Ford Jim Farley, ha scritto sui social media: “Non è possibile continuare a sprecare centinaia di milioni di dollari nel riacquisto delle proprie azioni per manipolare i prezzi e aumentare la retribuzione degli amministratori delegati a livelli ridicoli, il tutto facendo morire di fame i lavoratori che effettivamente realizzano il prodotto che vendi. QUESTO è ciò che è insostenibile. Paga i tuoi lavoratori”.

Avendo conosciuto deputati “barricaderi” (a parole) di questo tipo (vi dice niente il nome di un tal Bertinotti?), e ricordando che la Ocasio Cortez non profferì parola quando Biden vietò lo sciopero generale dei ferrovieri nei mesi scorsi, ci auguriamo che gli operai in lotta si fidino soprattutto della propria forza e determinazione, della propria organizzazione di lotta, allarghino ancora il proprio fronte usando l’arma dello sciopero generale, e si rivolgano ai milioni di lavoratrici e lavoratori che vivono in altri comparti le loro stesse pene e guardano verso di loro, restando vigili nei confronti delle manovre in corso dietro le loro spalle.

Fonti: Common Dreams, Truthout, Labor Notes, Counterpunch.

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