[STATIUNITI] “No Justice, no Jeeps!”. Sullo sciopero degli operai dell’auto nelle fabbriche Ford, General Motors e Stellantis

7 months ago 40

Riceviamo e pubblichiamo questo contributo dai compagni della redazione Il Pungolo Rosso, già disponibile sul loro sito (vedi qui):

“No Justice, no Jeeps!”.

Sullo sciopero degli operai dell’auto

negli Stati Uniti

Che cosa c’è di rilevante nello sciopero degli operai dell’auto in corso negli Stati Uniti?

Anzitutto lo sciopero. Alla Ford non si scioperava dal 1978… Nelle due grandi agitazioni degli ultimi mesi non si riuscì a far partire lo sciopero: lo sciopero dei ferrovieri fu vietato da Biden, che ora, spettacolo nauseante, s’atteggia a difensore dei lavoratori dell’auto; l’entrata in sciopero dei dipendenti dell’UPS fu evitata da un accordo in extremis con la multinazionale.

Quindi, lo sciopero congiunto degli operai di General Motors, Ford e Stellantis. Nel 2019 c’era stato uno sciopero di 40 giorni alla General Motors che coinvolse 46.000 lavoratori, ma rimase isolato, ed anche quell’isolamento consentì di raggiungere solo dei risultati immediati piuttosto magri – nonostante ciò, costò alla GM un mancato introito di 3,6 miliardi di dollari.

A seguire: i “strong, jubilant pickets“, i forti picchetti pieni di entusiasmo, e la massiccia adesione allo sciopero di operai e operaie.

Ancora: la solidarietà espressa dalla sezione locale 299 dei Teamsters (camionisti) di Detroit che si è impegnata a non forzare i picchetti, e non è la sola. Mentre ai picchetti, salutati con i clacson di approvazione da molte auto che sfilano davanti a loro, si uniscono piccoli gruppi di operai e lavoratori di altre fabbriche: negli States questa è una rarità, non siamo mica ai picchetti del SI Cobas…

Anche la piattaforma rivendicativa presentata dall’United Automobile Workers (UAW) è, dopo tantissimi anni, aggressiva: 1) aumenti salariali pari al 40% in quattro anni; 2) unificazione dei livelli di paga, ora molto differenziati in tre gradini (tiers), in uno solo; 3) un meccanismo di adeguamento dei salari all’inflazione (una sorta di scala mobile); 4) riduzione della settimana lavorativa a 32 ore. Benché le prime due rivendicazioni siano di sicuro le più sentite tra i lavoratori, non manca certo chi nota come nel 2023, anche solo per mantenere lo stesso tenore di vita, si è costretti a lavorare più ore e accettare carichi di lavoro più pesanti. Nelle parole di un esponente sindacale: “Abbiamo tutti a disposizione una quantità di tempo limitata. Pochissime persone, se si guardano indietro, sono contente di avere passato così tanto tempo in fabbrica, anzi hanno molti rimpianti su ciò che potevano fare e non hanno fatto, e forse non faranno più in tempo a fare”.

Infine, benché la cosa sia limitata ad alcune dichiarazioni, emerge tra gli operai in lotta un sentimento di solidarietà con i lavoratori del Messico discriminati, che “fanno il nostro stesso lavoro” e sono pagati una miseria – una solidarietà attiva che è la sola arma a disposizione della classe operaia statunitense contro le delocalizzazioni nell’area delle maquilladoras appena oltre il confine sud degli Stati Uniti.

Nella documentazione che vi sottoponiamo c’è anche qualche scampolo di euforia – nasce da una situazione che è per queste fabbriche del Missouri (Wentzville), dell’Ohio (Toledo) e del Michigan (Detroit) in gran parte nuova: “We are making history today, baby“. La grande maggioranza dei lavoratori è su di giri anche per la fiducia che nutre nella nuova direzione del sindacato entrata in carica nel marzo di quest’anno espressione dell’United All Workers for Democracy, impersonata da Shawn Fain (alcune delle brave persone che componevano la vecchia direzione sono attualmente in carcere). “Questa è un battaglia della classe operaia contro i ricchi”, ha tuonato Fain; frasi del genere incoraggiano l’atteggiamento dei lavoratori che non vogliono, questa volta, accontentarsi di un “compromesso”.

Il seguito, però, è tutto da vedere. In prima battuta Ford, GM e Stellantis hanno dichiarato che accettare il 40% di aumento del salario significherebbe, per loro, fallire – nel 2022 i loro utili dichiarati sono stati pari, rispettivamente, a 23, 10, 17 miliardi di dollari. Particolarmente provocatorio il comportamento del boss di Stellantis Mark Stewart, che non ha voluto interrompere le sue vacanze dorate ad Acapulco per presenziare al tavolo di trattative, invitando al contempo il sindacato ad attenersi al “realismo economico” accettando quel che i padroni “offrono”. In seguito, davanti alla determinazione dei lavoratori, le tre imprese monopoliste del settore auto statunitense hanno iniziato a fare parziali, modeste aperture sul salario ed anche sui tempi di scorrimento da un livello salariale all’altro (livelli che sono distanziatissimi negli Stati Uniti), sempre con la cura a creare o sfruttare divisioni nel seno della classe operaia, e facendo finta di non aver neppure sentito le rivendicazioni sul recupero dell’inflazione, la riduzione degli orari, le prestazioni di welfare per i nuovi assunti. A sua volta il tonante Fain già ha iniziato a dare segnali di disponibilità a trattare prima che la scintilla, per ora è solo una scintilla, dia fuoco alla prateria. L’endorsement ai lavoratori dell’auto compiuto, tutto in chiave elettorale, da un lato da Trump, dall’altro da Biden e Sanders (non sovrapponiamo i due, ma alla fine Sanders porta acqua al mulino dei Biden e dei Clinton, c’è poco da fare), per quanto ne amplifichi l’eco, pone su questa lotta un’inquietante cauzione.

La classe operaia degli Stati Uniti sta reimparando a lottare. Ed in questo suo nuovo apprendistato dovrà fare i conti anzitutto con i suoi spietati nemici di classe (tanto per dirne una: nel 2022 Amazon ha speso più di 14 milioni di dollari per impedire la nascita del sindacato nei suoi magazzini), ma anche con i suoi tiepidi o del tutto falsi amici. Ci vorrà tempo e fatica, anche amare disillusioni, ma il cammino di ripresa è cominciato. Buone notizie, quindi, dalla nostra America – quella totalmente ignorata dagli anti-americani sedicenti di sinistra per cui l’Amerika è solo dollaro&Pentagono, non esiste nient’altro.

Di seguito i link ad alcuni dei testi da cui sono tratte le informazioni richiamate:

‘No Justice, No Jeeps!’ Scenes from the Auto Workers Strike, di Keith Brower Brown, Luis Feliz Leon, Jane Slaughter (testimonianze dai picchetti in corso al 15 settembre 2023);

Auto Workers Strike Plants at All Three of the Big 3, di Luis Feliz Leon, Jane Slaughter (sulle condizioni che hanno portato allo sciopero e le battute iniziali dello stesso);

The Slanted Media Coverage of the Pending UAW Strike, di Bernie Sanders (critica di stampo istituzionale ai mega introiti degli amministratori delegati di Ford, Stellantis e General Motors, accompagnata alla denuncia – anche questo caso fin troppo posata – delle campagne di disinformazione attuate dai media).

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