[PALESTINA] La provocatoria proposta degli Stati Uniti: dopo il massacro, insediare a Gaza il loro “uomo”, Abu Mazen

5 months ago 36

Riceviamo e pubblichiamo questo contributo dai compagni della redazione Il Pungolo Rosso, già disponibile sul loro sito (vedi qui):

Giornali e media di tutto il mondo hanno comunicato che l’assedio di Gaza City è completato e che si attende l’inizio della battaglia di terra. In realtà, molti scontri sono già avvenuti, e le forze d’occupazione hanno subìto serie perdite grazie al coraggio e alla determinazione della resistenza palestinese.

Nel frattempo, prosegue il genocidio della popolazione della Striscia. Su Gaza continuano incessanti i bombardamenti a tappeto, con migliaia di tonnellate di esplosivo che devastano ogni struttura. Se metà delle abitazioni sono state distrutte, la stessa sorte è toccata agli ospedali, non ultimo quello di Al Ahli dove sono stati uccise più di 500 persone tra malati, rifugiati – adulti e bambini –, medici e paramedici. Tel Aviv ha vanamente cercato di attribuire questo crimine ad Hamas, falsificando video e costruendo in house un finto colloquio fra miliziani palestinesi nel tentativo, sbugiardato da esperti indipendenti, di suffragare la propria tesi, e cercando inutilmente di far dimenticare il tweet con il quale l’agente sionista Hananya Naftali, esperto di “guerra digitale” del governo Netanyahu, esultava per il riuscito attacco all’ospedale da parte dell’aviazione israeliana.

Sorte analoga è toccata a quasi tutte le infrastrutture civili di Gaza (centrali elettriche, fognature, dissalatori), distrutte da bombardamenti mirati espressamente a rendere impossibile la sopravvivenza della popolazione – a Gaza non si muore di soli bombardamenti. I telegiornali hanno mostrato file di persone costrette a diluire l’acqua di mare con quanto resta di quella potabile per dissetarsi. Ma, si capisce, “l’unica democrazia del Medioriente” non può farsi frenare da questi insignificanti dettagli nella sua incessante opera di difendersi (!) da “animali con sembianze di umani”… eliminare quanti più Palestinesi sia possibile è per la banda Netanyahu (e chi la protegge) un imperativo morale e politico assoluto. La tremenda contabilità dei morti ha già superato quota 10.000, con migliaia di bambini uccisi (“piccoli serpenti”, secondo il linguaggio ripugnante del governo, della cui uccisione il rabbinato ultra-sionista ha fornito la giustificazione secondo i dettami della Torah…). I bombardamenti non hanno risparmiato nessuno: l’OMS ha comunicato che sono 160 i medici assassinati, oltre a decine di giornalisti e più di 80 operatori dei centri di assistenza UNRWA dell’ONU. È prevedibile che il massacro di massa perpetrato da Israele non avrà nulla da invidiare – anzi! – al rapporto di 10 a 1 stabilito dalle rappresaglie naziste, della cui criminale attività lo Stato sionista ha già da tempo mostrato di essere un degno erede.

L’obbiettivo ultimo di Tel Aviv nella Striscia di Gaza, oltre al massacro del maggior numero di Palestinesi, è l’imposizione di una nuova Nakba, dopo quella del 1948, con la deportazione dei suoi abitanti nella penisola egiziana del Sinai, usando il sud della Striscia come “deposito temporaneo” dove ammassare i profughi in attesa della “soluzione finale”. Al riguardo, sono già trapelati pubblicamente piani dettagliati del governo e dei suoi think-tank per sfruttare in tal senso la situazione.

È in questo quadro che si colloca la sedicente “mediazione diplomatica” degli USA che, dopo essersi opposti in sede ONU a qualunque istanza di cessate il fuoco ed anche ad una semplice “tregua umanitaria”, hanno ora aggiunto alle loro portaerei che incrociano nel Mediterraneo un sommergibile nucleare al largo delle coste di Gaza, in funzione, neanche a dirlo, di “stabilizzazione dell’area”. Al contrario, la deterrenza USA, serve di monito ai Palestinesi e alla loro resistenza: se non vi piegate alla pulizia etnica di Israele, potremmo entrare in campo direttamente noi con le nostre armi di distruzione di massa.

Da quando la guerra in Ucraina ha sdoganato il tabù nucleare, l’olocausto atomico viene agitato sempre più spesso. E se esso viene fatto balenare alternativamente da Washington e Mosca, sono solo gli USA a detenere l’orrido primato di aver dimostrato coi fatti che il genocidio atomico non è solo un’astratta deterrenza, ma un’opzione concreta, anche se di ultima istanza. Non a caso, il New York Times riferisce che “…nelle conversazioni private con le controparti americane, i funzionari israeliani hanno fatto riferimento a come gli Stati Uniti e altre potenze alleate ricorsero a devastanti bombardamenti in Germania e Giappone durante la Seconda Guerra Mondiale, incluso il lancio delle due testate atomiche a Hiroshima e Nagasaki, per cercare di sconfiggere quei paesi”.

Blinken, dunque, nel dispiegare la sua “attività diplomatica”, avanza una proposta che è poco definire provocatoria. Si tratterebbe di affidare all’Autorità Nazionale Palestinese di Abu Mazen il governo della Striscia, ovviamente dopo averla rasa al suolo e creato centinaia di migliaia di nuovi profughi.

Netanyahu ha pubblicamente aggiunto a queste considerazioni il proposito di Israele di “garantire la sicurezza” nella Striscia di Gaza per un tempo indefinito, affermazione che avrebbe incontrato l’opposizione di Washington, fautrice di una forza multinazionale sotto egida ONU. È presto per dire chi prevarrà fra i due criminali di guerra, se Biden o Netanyahu. Di certo, in passato Israele ha sempre respinto qualunque tentativo di “internazionalizzare” il conflitto israelo-palestinese, trovando costantemente l’appoggio dei suoi padrini yankee. A maggior ragione, Tel Aviv farà di tutto per impedire una missione ONU per la gestione di Gaza, che i sionisti considerano territorio loro in cui operare una pulizia etnica radicale.

La proposta di mettere l’ANP al governo della Striscia a sua volta è la conferma evidente che Abu Mazen non è altro che un burattino di Israele, un Quisling (*) al servizio del regime di occupazione sionista, un politico corrotto a tal punto che i 75 anni dalla Nakba sono stati commemorati da lui e dalla sua cricca con … una sfilata di moda in uno dei più lussuosi alberghi di Ramallah! (lo riferisce su la Repubblica di oggi, 8 novembre, Lucio Caracciolo)

L’ANP, che non ha mosso un dito in Cisgiordania contro l’incessante espansionismo dei coloni israeliani, arrivati quasi a un milione, né contro le loro violenze ai danni degli abitanti palestinesi e che dal suo insediamento collabora con le forze d’occupazione, dovrebbe governare un “mini-Stato” palestinese, costituito sui brandelli della Striscia scampati alla furia sionista e su altrettanti brandelli di territorio della Cisgiordania. E dovrebbe farlo grazie alle forze di polizia e agli apparati di sicurezza addestrati in tutti questi anni dai servizi israeliani e dai consiglieri USA!

La linea “due popoli due Stati” era già liquidatoria per l’autodeterminazione palestinese quando fu elaborata, ipotizzando il ritiro di Tel Aviv da tutti i territori occupati nel 1967 con la Guerra dei Sei Giorni. Oggi, la Cisgiordania è terreno per le scorrerie dei coloni ultrasionisti. Gli insediamenti ebraici sono aumentati a dismisura, protetti da un soverchiante apparato militare e forti della licenza di uccidere che è stata loro concessa, fino alla realizzazione di veri e propri pogrom, come accaduto a Huwwara e Turmusayya; non si contano le aree militari interdette ai Palestinesi, le strade chiuse ad uso esclusivo dei coloni, le torri di controllo e i check-points che sottopongono a vessazioni continue gli abitanti palestinesi. Ogni continuità di territorio è per essi preclusa, appannaggio esclusivo degli occupanti che, come avviene ora, possono ad esempio impedire che da Betlemme si arrivi a Ramallah o a Gerico. Dagli accordi di Oslo del ’93 ad oggi, l’espulsione dei Palestinesi dalla loro terra, la demolizione delle loro case, la distruzione della loro economia hanno fatto enormi passi avanti, fino a diventare insostenibili.

Il provocatorio piano statunitense contiene, evidentemente, anche il tentativo già esperito negli anni passati di scatenare una guerra intestina alle rappresentanze palestinesi – a cui si aggiungono le manovre (coperte) per favorire divisioni e scontri anche all’interno della resistenza palestinese attiva. Provocatorio il piano lo è di sicuro, ma ha anche dei tratti grotteschi quando rilancia, con l’ovvia approvazione dell’Unione europea e del governo Meloni, l’ipotesi “due popoli, due Stati”. Ad oggi un’ipotesi del genere servirebbe solo a sancire la costituzione formale di un regime di apartheid sul modello sudafricano, con una incredibile molteplicità di bantustan e homelands in cui confinare e dividere i Palestinesi, per utilizzarli come forza-lavoro a basso costo per l’economia israeliana, privati di ogni diritto, espropriati di qualunque prospettiva. Uno scenario che persino il rapporto della Commissione Economica e Sociale per l’Asia Occidentale (ESCWA) dell’ONU, redatto nel 2017, riconosce come un esempio incontestabile di razzismo istituzionale e di apartheid.

E’ presto per intravvedere il futuro di Gaza nei prossimi mesi o anni. Di certo, quello immediato non è privo di incognite, non solo per i Palestinesi, sottoposti da più di un mese ad un martirio incessante, ma anche per le forze d’occupazione. Sul quotidiano israeliano Maariv, è intervenuto il generale della riserva Yitzhak Brik che ha detto senza mezzi termini: un’incursione di terra nelle profondità dei quartieri della Striscia causerebbe pesanti perdite di soldati e mezzi, calcolando che un sistema di tunnel stimato in circa 500 chilometri non potrebbe essere neutralizzato facilmente. E ha messo l’accento – questa la cosa più significativa – sulle conseguenze di un’operazione bellica che potrebbe richiedere molti mesi. Tali conseguenze si svilupperebbero su tre piani: Cisgiordania, Israele e alleati di Israele. In Cisgiordania, i continui massacri a Gaza potrebbero incendiare definitivamente quell’area e scatenare una rivolta difficile da contenere. A livello internazionale, la prosecuzione sine die dello sterminio della popolazione civile palestinese potrebbe rendere sempre più problematico l’appoggio aperto a Tel Aviv da parte dei governi amici. Ma anche all’interno di Israele, che già deve fare i conti con la mobilitazione di migliaia di riservisti e i problemi economici legati a questa mobilitazione (nei tanti uffici e imprese in cui i riservisti lasciano dei vuoti) e alla massa degli sfollati dalle zone limitrofe a Gaza, le contraddizioni potrebbero deflagrare e l’unità del paese essere messa a rischio.

A scanso di equivoci: il generale Brik (non potrebbe essere diverso) non è certo “una colomba”, uno che ha a cuore le sorti del popolo palestinese. La sua ricetta è quella di continuare a bombardare Gaza con missili e “soffocarla” con la privazione del carburante, ma senza ingaggiare un’invasione su vasta scala. Dentro l’establishment israeliano si fa strada a sprazzi la consapevolezza che lo stesso Israele è investito da una crisi crescente, che l’unità reazionaria costruita dal sionismo attorno all’occupazione della Palestina e all’oppressione dei Palestinesi non è senza limiti e potrebbe sgretolarsi. Alla lunga, il puro aumento della violenza statale senza la capacità di stabilire un ordine nel proprio dominio, capace di assicurarne la stabilità, mostra la corda, come stanno sperimentando gli stessi Stati Uniti, sempre capaci di distruggere ma sempre meno in grado di esercitare egemonia politica, sempre più socialmente polarizzati al proprio interno con crescenti segnali di risveglio della lotta di classe su uno sfondo di crescenti rischi di guerra civile.

Un’ulteriore considerazione va fatta. Noi abbiamo sempre considerato con la massima attenzione ogni segnale di critica, di opposizione, di de-solidarizzazione proveniente dall’interno dello Stato israeliano. Lo abbiamo fatto perché siamo convinti che la soluzione della questione palestinese necessita che la spaccatura della società israeliana vada avanti e si creino le condizioni (che al momento non ci sono ancora) perché gli sfruttati di Israele cooperino e lottino insieme alla massa degli oppressi palestinesi, così da poter aggredire e distruggere la macchina del sionismo dall’esterno e dall’interno. Ma rimandiamo al mittente come sciocchezze opportuniste le lamentazioni di chi pensa che tale prospettiva si debba tradurre nel rinviare la resistenza palestinese a quando il proletariato di Israele si mostrerà capace di spezzare la sua complicità col regime sionista.

Quanto sta avvenendo in questi giorni ci mostra che solo la lotta più risoluta contro l’occupazione, per l’autodeterminazione della nazione palestinese, è in grado di aprire contraddizioni nel fronte avversario. Al contrario, l’accettazione dell’oppressione, l’assenza di una battaglia aperta, hanno rafforzato sempre più l’arroganza coloniale e la violenza aperta degli occupanti.

Israele tenta da 75 anni di annichilire la resistenza palestinese, ma questa puntualmente risorge come l’Araba Fenice. Essa saprà ancora una volta mostrarsi come esempio di indomita volontà e capacità di resistere agli oppressori, indicando la strada della lotta e dell’aperta ribellione agli sfruttati e ai diseredati della regione arabo-islamica e di tutto il mondo.

(*) Prendiamo la voce Quisling, una volta tanto, da Wikipedia (da maneggiare con molta, molta cura):

Vidkun Abraham Lauritz Jonssøn Quisling (Fyresdal18 luglio 1887 – Oslo24 ottobre 1945) è stato un militare e politico norvegese.

Ufficiale dell’esercito e fondatore nel 1933 del partito fascista norvegese, il Nasjonal Samling, fu uno dei più famosi collaborazionisti, mettendosi al servizio di Hitler e delle forze armate tedesche che all’inizio della seconda guerra mondiale avevano occupato la Norvegia. Durante l’invasione capeggiò un governo fantoccio che aveva il compito di tradurre in atto la volontà degli occupanti, diventando il Primo ministro della Norvegia dal febbraio 1942 alla fine della seconda guerra mondiale, mentre il legittimo governo socialdemocratico di Johan Nygaardsvold si trovava in esilio a Londra.

Nel corso del conflitto il termine “quisling” fu perciò usato per indicare i capi dei governi collaborazionisti con i nazisti. Tale denominazione si adopera ancora oggi nei confronti dei governi che si mettono al servizio degli occupanti stranieri[1]. Al termine della guerra Quisling venne fatto prigioniero dal Fronte patriottico norvegese. Dopo un processo per alto tradimento, fu condannato a morte e giustiziato il 24 ottobre 1945.

(Sembra che il giorno dopo il suo incontro con Blinken, Abu Mazen sia stato il bersaglio di un attentato fallito… – quel che risulta è che un certo numero di appartenenti ai servizi segreti si sia dichiarato indisponibile a seguire i suoi ordini)

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